Per secoli fu raffinata astuzia dell’ars amandi. Poi venne il sesso in pillole
di Umberto Silva
"Lavate voi i piatti, mie buone signore, non lasciate che le mani delle vostre serve li tocchino. Voi non sapete cosa esse veramente fanno nelle ore libere, persino nelle vostre dimore”. Tuonava dal pulpito il parroco di Santa Maria Segreta, arrossivano le dame milanesi, i mariti chinavano il capo. Erano parole sregolate anche per quel tempo di robusto classismo e, benché appena quindicenne, forse avrei protestato suscitando uno scandalo, se un fremito ancora più forte dello sdegno non mi avesse travolto. Si gonfiavano i miei pantaloni mentre la Bruna, una linda camerierina venuta dal Friuli a dar man forte alla tata lombarda, birichina faceva capolino da una nuvola nera accanto al predicatore, alzandosi la gonna. Questi erano i miracoli! A ottant’anni suonati il vecchio demonio era riuscito a erotizzare ogni angolo della chiesa e i suoi occhi fiammeggianti vagavano soddisfatti. Dopo quella predica tutto quanto, fuori e dentro casa, prese a brillare di nuova, conturbante luce: calzoni e calzette, magliette e mutande, vasca da bagno e lenzuola… cosa non toccavano le mani delle cameriere!?
Correva l’anno 1958, per poco tempo ancora il cattolicesimo sarebbe stato quello di una volta e così i desideri degli umani, stretti tra Dio e Satana come certi aderentissimi tailleur che facevano esplodere i sederi delle sciure. Legare l’eros al peccato fu fin da subito la più divina delle invenzioni cristiane: nessuno sguardo cadde più nel nulla, ogni gesto era dedicato. Non ci fu più bisogno di accanirsi in ostentate nudità, complicate orge, stravagante oggettistica e torbide droghe; proibita, qualsiasi cosa si caricò di eros. Se nell’antichità il mondo era popolato di dei, col cattolicesimo si popolò di diavoli tentatori ma anche tentatrici; l’emancipazione della donna passò di qui.
Una donna capace di portare l’uomo alla rovina, un onore ancora più grande dell’essere la madre di Dio, poiché da diavolessa la donna entra in diretta e spesso vittoriosa competizione con il suo Fattore. Da riposo del guerriero la donna divenne il perturbante intorno a cui interrogarsi giorno e notte, vanamente. Come conoscere quel che neppure ella sa, la natura della sua jouissance? perplesso si chiedeva Jacques Lacan. Ma ben prima, per le mille travolgenti pagine del “De Civitate Dei” sant’Agostino cercò d’intendere se le dame romane stuprate dai barbari avessero o meno goduto, e se questo costituisse peccato, e se potevano non godere e se l’Onnipotente avesse dovuto intervenire… Il cattolicesimo si tuffava nella morale sessuale come un diavolo in una vasca d’acqua santa, provocando maremoti cui opporre dighe che rovinavano in modo ancora più travolgente. Tutto era fino allora parso chiaro e semplice: c’è un uomo e c’è una donna, ne consegue che. Dopo più nulla fu naturale, tutto divenne contronatura, sublime estenuante artificio. Non che presso gli antichi già così non fosse, ma costoro si rifiutavano di prenderne atto e questo fa la differenza. Il cristianesimo impose la coscienza, sicché l’inconscio ebbe modo di ridersela alla grande.
Al popolo ebraico interessava fare tanti figli, il modo era secondario; per la chiesa cattolica divenne primario. Tutto regolamentò e proibì sennonché, come già avevano fatto esperienza Adamo ed Eva, nella proibizione v’è un invito irresistibile. Il figlio peccherà, eccome, soltanto che, génie du christianisme, lo farà con lei, la Madre chiesa. Il divieto crea la legge, la legge del desiderio che prospera sulla mancanza, e a un certo punto tutto sembrò mancare… e nello stesso momento essere lì a portata di mano, una mano che però poteva essere mozzata da un angelo vendicatore. Il Signore vegliava giorno e notte sulle nostre mani, così prensili e serpentiformi con tutte quelle dita protese, sicché anche giungendole nella più mortificata preghiera quel porco del mio compagno di banco in chiesa riusciva a accarezzarle una contro l’altra in maniera tanto lubrica e ammiccante… I preti se n’erano da tempo accorti e, previdenti, nei cori secenteschi avevano proibito ai ragazzi di tenere la bocca chiusa: le labbra non dovevano baciarsi l’una con l’altra, potevano solo desiderarsi al suono della musica di Bach. Secoli più tardi il perfido e lussurioso Puccini celebrerà l’encomio solenne di tutto ciò: la testosteronica voce del famigerato Scarpia che urla le sue voglie s’insinuerà nel coro dei bambini che hanno intonato il Te Deum. Una bestemmia che indica con precisione Colui che è divenuto l’oggetto sessuale preferito dai libertini più insaziabili e, è il caso di dirlo, paranoici. Le santerelline, le lucie e le justine ma anche Tosca redenta dall’amore, erano la via per arrivare al Padre, a quel Dio che Sade si dichiarava ansioso d’incontrare pour le foutre. D’altronde, a detta di Jean Paulhan, il Marchese si considerava un teologo e “divino” lo chiamò Baudelaire.
Certo è che in alcuni secoli la machine célibataire ecclesiastica fu una sontuosa macchina da guerra che non perse un colpo; ogni orefizio riempì dei suoi precetti, inaugurando un discorso sulla sessualità cui Freud e discepoli cercarono, invano, di dare un senso, essendo a sua volta quel discorso sessualissimo, dal momento che, ricorda san Juan de la Cruz, “male si dice delle viscere dello spirito se non con sviscerato spirito”; il misticismo è la punta di diamante dell’eros cattolico. La chiesa ha regalato agli umani la colpa, l’insonnia, gli incubi, la vergogna e naturalmente i primi a eccitarsi furono i preti stessi. Non coloro che trasgredirono, troppo facile, quanto coloro che eroicamente rispettarono i precetti: è molto più erotico resistere alla tentazione, allora sì il corpo a corpo con Satana diventa un gran bel sesso. Ricordo certi preti tormentati dal desiderio di una donna o di un uomo e che tuttavia resistevano, li si riconosceva a occhio nudo per via di certi torcicolli e tratti sfigurati. Combattevano contro il loro stesso desiderio, contro se stessi, e vincersi, atterrarsi, infierire sulla propria carne era il premio. Li ammiravo, di più, li temevo, temevo che un giorno anch’io potessi diventare come loro, e ripetevo tra me la supplica di Agostino: “dammi la castità e la continenza, ma non ora…”.
Le suore furono altrettanto beneficate. Spingendole nella clausura, la chiesa invitò i diavoli a nozze. Niente come le mura, le iaculatorie e le penitenze invogliano al sesso. La mancanza fa ben più che la presenza, robetta l’uomo in carne ed ossa a confronto della sua visione allucinata dal desiderio. L’esaltazione della castità, del matrimonio con Cristo quale più glorioso status di una donna, fomentò, per l’insostenibilità stessa di tale divina unione, l’amplesso col diavolo. Le suore scoprirono le mortificazioni che tanto piacciono alla carne, quegli indemoniamenti che squassano assai più di un amante in calore e che Medjugorje oggi cerca di riportare in auge. Gran vita, gran teatro, come scoprirono le dame del Tout Paris, che a Loudun correvano a frotte. E quel povero Urbain Grandier che credeva che tutto fosse dedicato a lui! Nemmeno Tancredi ebbe questo onore, che spetta solo a Lui: “Segue egli la vittoria, e la trafitta / vergine minacciando incalza e preme./ Ella, mentre cadea, la voce afflitta / movendo, disse le parole estreme;/ parole ch’a lei novo un spirto ditta,/ spirto di fé, di carità, di speme:/ virtù ch’or Dio le infonde, e se rubella / in vita fu, la vuole in morte ancella”. Torquato Tasso, lui sì divino, tra audacia e angoscia il supremo cantore dell’eros cattolico. Ma anche il teatro da camera che andava in scena nei collegi maschili negli anni Cinquanta non era uno scherzetto.
La cenerentola delle pratiche erotiche, la masturbazione, nei beati anni del castigo saliva diritta al cielo, radunando attorno a sé occhiuti stormi di angeli. Un gran bel peccare, che mai aveva fine. Altro che le futili sveltine, la sessuofobia ecclesiale si faceva garante di un preliminare infinito, dove il teatro dell’innocenza e della colpa esibiva portentose scenografie, la confessione in primis. Si vuotasse il sacco, mai del tutto, un po’ doveva restarne per la prossima confessione che avrebbe sanato il sacrilegio della prima; salvo anch’essa… Le immagini della lussuria non svanivano mai, inseguivano fin sull’altare; ricevendo l’ostia si pensava a… Insomma, diciamola tutta: la chiesa è riuscita a conferire grandezza e destino anche all’atto francamente bislacco d’introdurre un pene in una vagina. E noi dovremmo rinunciare a tutto questo per l’igiene spirituale propugnata da Vito Mancuso, per la sua anima pulita e sincera come un uovo pasquale?
Purtroppo sono già cinquant’anni che il popolo cattolico – fatte alcune meritevoli eccezioni – ha rinunciato a tutto questo bendidio. Il Papa ha un bel richiamare le pecorelle all’osservanza dei precetti, quelle s’inchinano ma poi fanno come tutti. Non sanno cosa perdono. Il pontificato di Papa Pacelli propiziò gli ultimi tenebrosi bagliori dell’eros prima dell’avvento della plastica, quando le anime cominciarono a essere modellate dai designer. Peggio per loro.
Fino al fatale 1958 il peccato rese gloriosa ogni cosa: una sbirciata alle gambe di una ragazza in bicicletta, su su fino al buio dove qualcosa di bianco pareva intravvedersi, conduceva difilato nel regno infero ove da vivi solo gli eroi omerici avevano avuto accesso. Però, però, esistevano davvero le candide fanciulle da insozzare con le nostre bramosie? Magari! Le birbe uscivano sì dalle scuole delle suore ma non vedevano l’ora di dartela, anche nell’androne del loro palazzo, in piedi. Le borghesi si scandalizzavano solo del fatto che tu pensavi di scandalizzarle e le contessine erano le più svelte coi preservativi. Eri costretto a contartela su, a sforzarti di vederle sante, oppure dovevi cercarle altrove, tra le proletarie comuniste. Lì trovavi le ragazze timorate di quel gran dio onnipotente e misterioso che è… il Capitale, e che tu, per grazia ricevuta, rappresentavi. Le vedevi combattere coraggiosamente le piccole commissarie del popolo, tormentate dubitavano, chiedevano consiglio persino al parroco, finché, tra le lacrime, ti donavano il corpo e l’anima, che tu ne facessi quel che volevi nella garçonnière che spartivi con due rampolli dalla faccia da schiaffi.
Quando morì Papa Pacelli, nel fatale 9 ottobre del 1958, lo stesso mese e anno in cui la legge Merlin chiuse i bordelli, l’archiatra pontificio Riccardo Galeazzi Lisi, novello Griso, tradì il suo padrone fotografandolo in punto di morte e consegnando l’odioso bottino ai giornali. Fu la prima pubblica dissacrazione della più sessuale intimità: l’agonia e morte di un semidio. Ebbe così inizio l’inesorabile decadenza dell’eros in occidente. I figli dei fiori e il libero amore, le comunità promiscue e fumate, il culto della perversione, la tivù scollacciata e la moda burina, hanno propiziato la catastrofe. Che per eccitarsi, con risultati deprimenti, si faccia ricorso alle cassette porno, alla pedofilia e a tutto il resto, la dice lunga ma anche brevissima, dice frigidità. Sesso in pillole, pillole del giorno dopo che dovrebbero cancellare ogni conseguenza dell’amore e invece cancellano solo l’amore e il bambino generando odio e mostri; droghe che sforzandosi di potenziare l’eros in realtà lo anestetizzano, sicché l’urlo interiore: “chi sta scopando al mio posto!?”. La parola d’ordine è “non pensare!”, ma senza pensiero la sessualità langue. E’ il pensiero di compiere qualcosa di peccaminoso, di audace, d’irreparabile, di unico ed eterno, che conferisce all’atto sessuale una gloria incancellabile nonostante tutti gli accorgimenti. Il peccato provoca, interroga, costringe a pensare, fa sudare, stringe in una morsa dolorosa; scrollarsi di dosso il peccato, per molti l’unico appiglio al simbolico, comporta svaporare nell’immaginario più sfrangiato.
Un tempo, per farmi fremere dal desiderio bastava il tram, quell’11 che sbucava dalla nebbia per portarmi dal mio amore. E ora? Ora basta il ricordo di quel tram, basta la nebbia. La nebbia e i tram possono molto di più di un esercito di trans e di trans trans, tanto moderni e rutilanti. Robetta il sesso quando privo di quel cattolicesimo che gli dà sapore, sorride il grande Luis Buñuel. Le trasgressive che mostrano le loro scintillanti grazie sulle riviste e in tivù fanno pena a confronto delle ombrose bruttine degli anni Cinquanta; assai più piccante la foto pubblicata su un numero di “Oggi” del 1965 ove appare Galeazzi Lisi, bandito a vita dal Vaticano e dall’Ordine dei medici, che con la sua nera valigetta esce dalla modesta casa di una vecchia cui ha appena punto il sedere. Quale ingenuità scusare o rimbrottare la chiesa per una delle sue maggiori glorie, la sessuofobia, raffinata astuzia dell’ars amandi! Ci ho provato in mille modi a metterla in croce, la chiesa, ma non ce la si fa: patetico ogni attentato al suo superiore sapere. Davvero i cardinali non avevano capito che è la terra a girare attorno al sole? Massì, massì, avevano solo il buon gusto di non andarlo a dire in giro.
P.S. Questo mio umile scritto è un elogio ma anche un requiem. Pare che entro una ventina d’anni la chiesa scomparirà dall’Europa e dovremo dare il permesso di soggiorno ai missionari africani se vorremo ancora sentire qualche messa e inginocchiarci a un confessionale. Sarà tutt’altra cosa da quel che un tempo assaporai. I cattolici africani non conoscono la sessuofobia, sono spensierati come l’acqua piovana. Si estinguerà così la civiltà del peccato della carne, la più folle e geniale che la storia abbia – mai abbastanza – conosciuto.
Correva l’anno 1958, per poco tempo ancora il cattolicesimo sarebbe stato quello di una volta e così i desideri degli umani, stretti tra Dio e Satana come certi aderentissimi tailleur che facevano esplodere i sederi delle sciure. Legare l’eros al peccato fu fin da subito la più divina delle invenzioni cristiane: nessuno sguardo cadde più nel nulla, ogni gesto era dedicato. Non ci fu più bisogno di accanirsi in ostentate nudità, complicate orge, stravagante oggettistica e torbide droghe; proibita, qualsiasi cosa si caricò di eros. Se nell’antichità il mondo era popolato di dei, col cattolicesimo si popolò di diavoli tentatori ma anche tentatrici; l’emancipazione della donna passò di qui.
Una donna capace di portare l’uomo alla rovina, un onore ancora più grande dell’essere la madre di Dio, poiché da diavolessa la donna entra in diretta e spesso vittoriosa competizione con il suo Fattore. Da riposo del guerriero la donna divenne il perturbante intorno a cui interrogarsi giorno e notte, vanamente. Come conoscere quel che neppure ella sa, la natura della sua jouissance? perplesso si chiedeva Jacques Lacan. Ma ben prima, per le mille travolgenti pagine del “De Civitate Dei” sant’Agostino cercò d’intendere se le dame romane stuprate dai barbari avessero o meno goduto, e se questo costituisse peccato, e se potevano non godere e se l’Onnipotente avesse dovuto intervenire… Il cattolicesimo si tuffava nella morale sessuale come un diavolo in una vasca d’acqua santa, provocando maremoti cui opporre dighe che rovinavano in modo ancora più travolgente. Tutto era fino allora parso chiaro e semplice: c’è un uomo e c’è una donna, ne consegue che. Dopo più nulla fu naturale, tutto divenne contronatura, sublime estenuante artificio. Non che presso gli antichi già così non fosse, ma costoro si rifiutavano di prenderne atto e questo fa la differenza. Il cristianesimo impose la coscienza, sicché l’inconscio ebbe modo di ridersela alla grande.
Al popolo ebraico interessava fare tanti figli, il modo era secondario; per la chiesa cattolica divenne primario. Tutto regolamentò e proibì sennonché, come già avevano fatto esperienza Adamo ed Eva, nella proibizione v’è un invito irresistibile. Il figlio peccherà, eccome, soltanto che, génie du christianisme, lo farà con lei, la Madre chiesa. Il divieto crea la legge, la legge del desiderio che prospera sulla mancanza, e a un certo punto tutto sembrò mancare… e nello stesso momento essere lì a portata di mano, una mano che però poteva essere mozzata da un angelo vendicatore. Il Signore vegliava giorno e notte sulle nostre mani, così prensili e serpentiformi con tutte quelle dita protese, sicché anche giungendole nella più mortificata preghiera quel porco del mio compagno di banco in chiesa riusciva a accarezzarle una contro l’altra in maniera tanto lubrica e ammiccante… I preti se n’erano da tempo accorti e, previdenti, nei cori secenteschi avevano proibito ai ragazzi di tenere la bocca chiusa: le labbra non dovevano baciarsi l’una con l’altra, potevano solo desiderarsi al suono della musica di Bach. Secoli più tardi il perfido e lussurioso Puccini celebrerà l’encomio solenne di tutto ciò: la testosteronica voce del famigerato Scarpia che urla le sue voglie s’insinuerà nel coro dei bambini che hanno intonato il Te Deum. Una bestemmia che indica con precisione Colui che è divenuto l’oggetto sessuale preferito dai libertini più insaziabili e, è il caso di dirlo, paranoici. Le santerelline, le lucie e le justine ma anche Tosca redenta dall’amore, erano la via per arrivare al Padre, a quel Dio che Sade si dichiarava ansioso d’incontrare pour le foutre. D’altronde, a detta di Jean Paulhan, il Marchese si considerava un teologo e “divino” lo chiamò Baudelaire.
Certo è che in alcuni secoli la machine célibataire ecclesiastica fu una sontuosa macchina da guerra che non perse un colpo; ogni orefizio riempì dei suoi precetti, inaugurando un discorso sulla sessualità cui Freud e discepoli cercarono, invano, di dare un senso, essendo a sua volta quel discorso sessualissimo, dal momento che, ricorda san Juan de la Cruz, “male si dice delle viscere dello spirito se non con sviscerato spirito”; il misticismo è la punta di diamante dell’eros cattolico. La chiesa ha regalato agli umani la colpa, l’insonnia, gli incubi, la vergogna e naturalmente i primi a eccitarsi furono i preti stessi. Non coloro che trasgredirono, troppo facile, quanto coloro che eroicamente rispettarono i precetti: è molto più erotico resistere alla tentazione, allora sì il corpo a corpo con Satana diventa un gran bel sesso. Ricordo certi preti tormentati dal desiderio di una donna o di un uomo e che tuttavia resistevano, li si riconosceva a occhio nudo per via di certi torcicolli e tratti sfigurati. Combattevano contro il loro stesso desiderio, contro se stessi, e vincersi, atterrarsi, infierire sulla propria carne era il premio. Li ammiravo, di più, li temevo, temevo che un giorno anch’io potessi diventare come loro, e ripetevo tra me la supplica di Agostino: “dammi la castità e la continenza, ma non ora…”.
Le suore furono altrettanto beneficate. Spingendole nella clausura, la chiesa invitò i diavoli a nozze. Niente come le mura, le iaculatorie e le penitenze invogliano al sesso. La mancanza fa ben più che la presenza, robetta l’uomo in carne ed ossa a confronto della sua visione allucinata dal desiderio. L’esaltazione della castità, del matrimonio con Cristo quale più glorioso status di una donna, fomentò, per l’insostenibilità stessa di tale divina unione, l’amplesso col diavolo. Le suore scoprirono le mortificazioni che tanto piacciono alla carne, quegli indemoniamenti che squassano assai più di un amante in calore e che Medjugorje oggi cerca di riportare in auge. Gran vita, gran teatro, come scoprirono le dame del Tout Paris, che a Loudun correvano a frotte. E quel povero Urbain Grandier che credeva che tutto fosse dedicato a lui! Nemmeno Tancredi ebbe questo onore, che spetta solo a Lui: “Segue egli la vittoria, e la trafitta / vergine minacciando incalza e preme./ Ella, mentre cadea, la voce afflitta / movendo, disse le parole estreme;/ parole ch’a lei novo un spirto ditta,/ spirto di fé, di carità, di speme:/ virtù ch’or Dio le infonde, e se rubella / in vita fu, la vuole in morte ancella”. Torquato Tasso, lui sì divino, tra audacia e angoscia il supremo cantore dell’eros cattolico. Ma anche il teatro da camera che andava in scena nei collegi maschili negli anni Cinquanta non era uno scherzetto.
La cenerentola delle pratiche erotiche, la masturbazione, nei beati anni del castigo saliva diritta al cielo, radunando attorno a sé occhiuti stormi di angeli. Un gran bel peccare, che mai aveva fine. Altro che le futili sveltine, la sessuofobia ecclesiale si faceva garante di un preliminare infinito, dove il teatro dell’innocenza e della colpa esibiva portentose scenografie, la confessione in primis. Si vuotasse il sacco, mai del tutto, un po’ doveva restarne per la prossima confessione che avrebbe sanato il sacrilegio della prima; salvo anch’essa… Le immagini della lussuria non svanivano mai, inseguivano fin sull’altare; ricevendo l’ostia si pensava a… Insomma, diciamola tutta: la chiesa è riuscita a conferire grandezza e destino anche all’atto francamente bislacco d’introdurre un pene in una vagina. E noi dovremmo rinunciare a tutto questo per l’igiene spirituale propugnata da Vito Mancuso, per la sua anima pulita e sincera come un uovo pasquale?
Purtroppo sono già cinquant’anni che il popolo cattolico – fatte alcune meritevoli eccezioni – ha rinunciato a tutto questo bendidio. Il Papa ha un bel richiamare le pecorelle all’osservanza dei precetti, quelle s’inchinano ma poi fanno come tutti. Non sanno cosa perdono. Il pontificato di Papa Pacelli propiziò gli ultimi tenebrosi bagliori dell’eros prima dell’avvento della plastica, quando le anime cominciarono a essere modellate dai designer. Peggio per loro.
Fino al fatale 1958 il peccato rese gloriosa ogni cosa: una sbirciata alle gambe di una ragazza in bicicletta, su su fino al buio dove qualcosa di bianco pareva intravvedersi, conduceva difilato nel regno infero ove da vivi solo gli eroi omerici avevano avuto accesso. Però, però, esistevano davvero le candide fanciulle da insozzare con le nostre bramosie? Magari! Le birbe uscivano sì dalle scuole delle suore ma non vedevano l’ora di dartela, anche nell’androne del loro palazzo, in piedi. Le borghesi si scandalizzavano solo del fatto che tu pensavi di scandalizzarle e le contessine erano le più svelte coi preservativi. Eri costretto a contartela su, a sforzarti di vederle sante, oppure dovevi cercarle altrove, tra le proletarie comuniste. Lì trovavi le ragazze timorate di quel gran dio onnipotente e misterioso che è… il Capitale, e che tu, per grazia ricevuta, rappresentavi. Le vedevi combattere coraggiosamente le piccole commissarie del popolo, tormentate dubitavano, chiedevano consiglio persino al parroco, finché, tra le lacrime, ti donavano il corpo e l’anima, che tu ne facessi quel che volevi nella garçonnière che spartivi con due rampolli dalla faccia da schiaffi.
Quando morì Papa Pacelli, nel fatale 9 ottobre del 1958, lo stesso mese e anno in cui la legge Merlin chiuse i bordelli, l’archiatra pontificio Riccardo Galeazzi Lisi, novello Griso, tradì il suo padrone fotografandolo in punto di morte e consegnando l’odioso bottino ai giornali. Fu la prima pubblica dissacrazione della più sessuale intimità: l’agonia e morte di un semidio. Ebbe così inizio l’inesorabile decadenza dell’eros in occidente. I figli dei fiori e il libero amore, le comunità promiscue e fumate, il culto della perversione, la tivù scollacciata e la moda burina, hanno propiziato la catastrofe. Che per eccitarsi, con risultati deprimenti, si faccia ricorso alle cassette porno, alla pedofilia e a tutto il resto, la dice lunga ma anche brevissima, dice frigidità. Sesso in pillole, pillole del giorno dopo che dovrebbero cancellare ogni conseguenza dell’amore e invece cancellano solo l’amore e il bambino generando odio e mostri; droghe che sforzandosi di potenziare l’eros in realtà lo anestetizzano, sicché l’urlo interiore: “chi sta scopando al mio posto!?”. La parola d’ordine è “non pensare!”, ma senza pensiero la sessualità langue. E’ il pensiero di compiere qualcosa di peccaminoso, di audace, d’irreparabile, di unico ed eterno, che conferisce all’atto sessuale una gloria incancellabile nonostante tutti gli accorgimenti. Il peccato provoca, interroga, costringe a pensare, fa sudare, stringe in una morsa dolorosa; scrollarsi di dosso il peccato, per molti l’unico appiglio al simbolico, comporta svaporare nell’immaginario più sfrangiato.
Un tempo, per farmi fremere dal desiderio bastava il tram, quell’11 che sbucava dalla nebbia per portarmi dal mio amore. E ora? Ora basta il ricordo di quel tram, basta la nebbia. La nebbia e i tram possono molto di più di un esercito di trans e di trans trans, tanto moderni e rutilanti. Robetta il sesso quando privo di quel cattolicesimo che gli dà sapore, sorride il grande Luis Buñuel. Le trasgressive che mostrano le loro scintillanti grazie sulle riviste e in tivù fanno pena a confronto delle ombrose bruttine degli anni Cinquanta; assai più piccante la foto pubblicata su un numero di “Oggi” del 1965 ove appare Galeazzi Lisi, bandito a vita dal Vaticano e dall’Ordine dei medici, che con la sua nera valigetta esce dalla modesta casa di una vecchia cui ha appena punto il sedere. Quale ingenuità scusare o rimbrottare la chiesa per una delle sue maggiori glorie, la sessuofobia, raffinata astuzia dell’ars amandi! Ci ho provato in mille modi a metterla in croce, la chiesa, ma non ce la si fa: patetico ogni attentato al suo superiore sapere. Davvero i cardinali non avevano capito che è la terra a girare attorno al sole? Massì, massì, avevano solo il buon gusto di non andarlo a dire in giro.
P.S. Questo mio umile scritto è un elogio ma anche un requiem. Pare che entro una ventina d’anni la chiesa scomparirà dall’Europa e dovremo dare il permesso di soggiorno ai missionari africani se vorremo ancora sentire qualche messa e inginocchiarci a un confessionale. Sarà tutt’altra cosa da quel che un tempo assaporai. I cattolici africani non conoscono la sessuofobia, sono spensierati come l’acqua piovana. Si estinguerà così la civiltà del peccato della carne, la più folle e geniale che la storia abbia – mai abbastanza – conosciuto.
«Il Foglio» del 10 marzo 2010
Nessun commento:
Posta un commento