09 aprile 2010

Identità di genere, l’Europa sbanda

Il testo mira a evitare discriminazioni ma pone le premesse per esiti preocupanti: adozioni, unioni omosessuali, procreazione assistita, propaganda nelle scuole
di Pier Luigi Fornari
Dal Consiglio documento “pro gender”
Un primato mondiale nel campo del diritto sarebbe stato conse­guito, secondo il segretario ge­nerale del Consiglio d’Europa (Coe), Thorbjørn Jagland, da una raccomanda­zione approvata una settimana fa dal co­mitato dei ministri di Strasburgo. Quel documento introduce la 'novità' giuri­dica dell’identità di genere per sollecita­re misure volte a combattere discrimi­nazioni fondate su di esso e sull’orienta­mento sessuale. Nel Trattato di Lisbona della Unione europea (che raccoglie 27 Stati contro i 47 del Coe), firmato il 3 di­cembre del 2007, ed in vigore del primo gennaio 2009, il contrasto delle discri­minazioni non è mai infatti riferito alla «i­dentità genere», ma solo al «sesso» e all’«orientamento sessuale». La nuova denominazione ( gender in inglese) è l’ul­tima invenzione del movimento Lgbt (Le­sbiche, gay, bisessuali, transessuali) che esprime l’ideologia secondo cui il sesso è oggetto di assoluta autodeterminazio­ne, indipendentemente dalla differenza sessuale radicata nella biologia e nella ci­viltà.
La raccomandazione è stata varata il 31 marzo dai rappresentanti di­plomatici dei responsa­bili degli Esteri dei 47 sta­ti membri, ma a loro co­munque il Coe conferi­sce lo stesso potere deci­sionale dei ministri. Si tratta di un testo che smussa alcuni angoli della risoluzione sullo stesso argomento del ca­pogruppo socialista nel­l’assemblea parlamenta­re del Coe, lo svizzero An­dreas Gross, che sarà vo­tata nell’emiciclo del Pa­lazzo d’Europa nella sessione che si terrà dal 26 al 30 aprile.
Nel caso del cosiddetto hate speech cioè «discorsi di incitamento all’odio», la rac­comandazione chiede misure appro­priate di contrasto, ma sottolinea che co­munque dovrà essere rispettato «il dirit­to fondamentale alla libertà di espres­sione ». Nel sollecitare la informazione pro Lgbt nei programmi scolastici e nei «materiali pedagogici», si riconosce che queste misure dovranno tener conto dei diritti dei genitori nell’educazione dei lo­ro figli. Tuttavia oltre a ribadire il fonda­mentale principio giuridico della dignità e del rispetto dovuto a qualsiasi perso­na, qualunque siano le sue scelte (prin­cipio, però, che può essere rispettato con gli strumenti di diritto già esistenti), il do­cumento appare attivare numerosi slip­pery slope (piani inclinati) che non pro­mettono nulla di buono per il vecchio Continente. Sempre a riguardo dei co­siddetti «reati» di incitamento all’odio, ad esempio, si sostiene che gli Sta­ti membri dovranno assicurarsi che le vittime e i testimoni «siano incoraggiati a denunciarli», per cui le istituzioni pubbliche do­vranno prendere tutte le misure necessarie per sorvegliare sul fat­to che le strutture repressive, ivi compreso il sistema giudiziario, dispongano di conoscenze e competenze a­deguate. Inoltre le asserzioni che secondo il movi­mento omoses­suale incitano al­la discriminazio­ne, non possono essere giustifica­te né con «valori tradizionali» né con quelli «reli­giosi ». A proposito di 'piani inclinati', il testo passa dal­la richiesta del ri­conoscimento giuridico inte­grale del cambiamento di sesso al diritto di sposare una persona di sesso opposto alla identità che ci si è voluti pro­curare. Dalla adozione dei single si slitta a quella degli omosessuali, in nome del principio di non discriminazione. Per a­prire la strada, forse, come avviene nel documento di Gross, alla possibilità del partner gay di partecipare a tale adozio­ne. In nome del «superiore interesse» del bambino si arriva poi a sollecitare il do­vere di prendere in considerazione le coppie omosessuali in materia di re­sponsabilità parentali. Stessa logica per la procreazione medicalmente assistita. Per raggiungere gli obiettivi perseguiti si sollecitano anche, quando ritenuto «ap­propriato », sanzioni e obblighi di risarci­menti. Alle istituzioni pubbliche si chie­de anche una sorta di arbitrato a favore del movimento gay nel confronto con or­ganizzazioni di vario tipo (anche comu­nità religiose) ed «azioni positive» a fa­vore del movimento Lgbt.
«Avvenire» del 9 aprile 2010

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