L’editoria riscopre teatro e romanzi di uno sperimentatore archiviato troppo alla svelta per motivi politici Mancano all’appello le opere in cui esaltò gli aspetti comunitari del totalitarismo: ancora troppo urticanti
di Redazione (???)
Massimo Bontempelli resta a tutt’oggi uno scrittore «inattuale», ignorato o rimosso dalla critica, benché il suo nome sia legato a una delle manifestazioni più cospicue della letteratura d’anteguerra, il «realismo magico». Anche l’editoria non è stata molto prodiga con lui. L’amante fedele, che raccoglie i suoi racconti migliori, risale al 1953 (Mondadori, poi Club del Libro, 1968) e l'ultima edizione delle opere nei Meridiani è del 1978 (Bontempelli, Opere scelte). Nel 1981 Sellerio ripubblicò La scacchiera davanti allo specchio, che era originariamente un libro per ragazzi, e alcune prose di viaggio, che in una produzione così ampia come quella bontempelliana sono del tutto marginali. Ora finalmente LiberiLibri ripubblica il teatro e l’editore Isbn ripropone nella collana Novecento La vita intensa (1920), un testo sperimentale, che, scritto «per rinnovare il romanzo europeo», contiene la pars destruens della «rivoluzione» post-futurista bontempelliana. Si tratta di un romanzo di formazione, e, se vogliamo, di transizione verso quel connubio fra modernità e tradizione, classicismo e avanguardia, che rappresenterà la più vitale conquista del narratore. La vita intensa e La vita operosa infatti costituiscono la premessa alla scoperta di quel «magico» che si realizza compiutamente in Eva ultima (1923) e Mia vita morte e miracoli (1938). Senonché qui la «magia» non implica nessun richiamo all’inconscio e nessuna «scrittura automatica», ma si allea a una prosa nitida e controllata, e l’insolito, lo straordinario appare come una (temporanea) dislocazione degli elementi della realtà. Questa tendenza, che in pittura si dirà «metafisica», finì per accomunare il fior fiore degli scrittori dell’epoca: non solo quelli riuniti intorno alla rivista bontempelliana 900, come Bruno Barilli e Corrado Alvaro, ma molti altri ancora, tra cui Alberto Savinio e Giorgio Vigolo.
Attraverso il «realismo magico» si espresse in fatto di letteratura il massimo dell’originalità italiana e la complicità, chiamiamola così, bontempelliana con il fascismo non riuscì a limitarne la portata, anzi. Bontempelli polemizzò con «Strapaese», ma Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, almeno fino agli anni della guerra, fu solidale con lui. Questo «razionalismo del mistero», che a dire di Contini fu il tentativo, tutto «latino», di «liberarsi dell’intelletto mediante procedimenti essenzialmente intellettuali» restò per molto tempo estraneo a una cultura letteraria come la nostra, che, avvezza al realismo o alle effusioni liriche, vi ravvisava una specie di costitutiva aridità, e in ciò risiede uno dei motivi più persistenti della sfortuna di Bontempelli.
Ma lo scrittore andò oltre e il suo approdo finale fu Giro del sole: una trilogia di romanzi brevi o «fulminei» che mette insieme Ariosto e Wells, l’antico e il moderno. Qui il fantastico viene riportato alla sua fonte naturale, il mito, e il racconto si trasforma in una grande epopea. La fama di Bontempelli fu dovuta essenzialmente a questo libro e a esso restò a lungo legato il suo nome. Ma oggi è uno dei testi meno conosciuti della nostra letteratura e non è mai stato ripubblicato. La ragione è presto detta: Giro del Sole sta al fascismo come Sulle scogliere di marmo di Jünger sta al nazismo, ed a questa sfavorevole congiuntura si deve in buona parte l’ostracismo decretato a Bontempelli ed al suo «realismo magico», considerato un fenomeno «minore», se non proprio provinciale.
Fra i tre romanzi brevi che compongono Giro del Sole, Viaggio d’Europa, La via di Colombo e Le ali dell’Ippogrifo, il più rispondente ai tempi è l'ultimo: viaggio verso un’isola mediterranea, abitata da esseri ieratici e perfetti, la cui vita si svolge nella più assoluta obbedienza ai ritmi solari. Ogni giorno questi esemplari d’ambo i sessi di una razza «con chiome folte e brune» vengono condotti a compiere i riti prescritti: il saluto al Sole nascente e la circumnavigazione dell’isola, destinata a terminare con una fuga anfibia verso l’astro semidivino, in cui tutti finiranno con l’identificarsi come in un’apoteosi.
Giro del Sole non rappresenta soltanto il culmine, o uno dei culmini, del Bontempelli narratore, ma è anche l’espressione letterariamente più alta del Bontempelli «fascista». Le ali dell'Ippogrifo è una grande, simbolica rappresentazione di quello «Stato del Sole», o di quella comunità corale, che avrebbe voluto essere il fascismo, e di cui troviamo equivalenti solo nella pittura di Sironi. Qui l’annullamento dell’individuo nella coscienza collettiva non è imposto dall’esterno, ma da un legge non scritta che corrisponde all’ordine cosmico. All’imperio del Sole si sottraggono soltanto Argentina, che sedotta da Ruggero, rimarrà da sola nell’isola e lo stesso Ruggero che sulle ali dell’Ippogrifo seguiterà il suo viaggio. Così al lettore viene lasciato, per così dire, il beneficio del dubbio su quella «mistica» così totalitaria e assorbente.
Ma Bontempelli non riuscì più a scagionarsene. Del resto il suo fascismo non fu soltanto episodico o di facciata, né esterno alla sua opera, ma connaturato a una formazione letteraria che ne aveva assorbito alcuni miti fondanti, ad esempio la «giovinezza» e l’avventura. «La pratica (politica), aveva scritto nel 1926, ha preceduto l’arte e il pensiero puro, come era naturale, nell’opera di aprire le porte del Novecento». Ma lui quella pratica avrebbe voluto plasmarla e orientarla. Non gli riuscì, naturalmente, e nel 1938 causa certe affermazioni «frondiste» gli fu ritirata da Starace la tessera del partito.
Confinato a Venezia, Bontempelli assistette indomito alla fine di un’epoca. Deluso come altri intellettuali della sua generazione (Bottai, Ugo Spirito) da quel «totalitarismo imperfetto» che era stato il fascismo, finì per essere attratto da quel totalitarismo perfettamente compiuto rappresentato dal comunismo. Obbediente allo Zeitgeist com’era sempre stato, nel dopoguerra si allineò a quello che sembrava il nuovo corso della vita italiana. Nel 1948 fu eletto nelle liste del Fronte popolare. Ma i suoi trascorsi politici seguitavano a pesare su di lui e la sua elezione fu invalidata. Accettato a malincuore dall’Unità, finì per essere tollerato da coloro che aveva scelto a compagni della sua ultima avventura. A lui che aveva scritto «ogni uomo può fino all’ultimo giorno della sua vita ricominciare tutta la vita» l'ultima «giovinezza» fu negata, anche se niente poteva essergli più estraneo di quello Stato tetragono e grigio in cui si era risolto il comunismo.
Attraverso il «realismo magico» si espresse in fatto di letteratura il massimo dell’originalità italiana e la complicità, chiamiamola così, bontempelliana con il fascismo non riuscì a limitarne la portata, anzi. Bontempelli polemizzò con «Strapaese», ma Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, almeno fino agli anni della guerra, fu solidale con lui. Questo «razionalismo del mistero», che a dire di Contini fu il tentativo, tutto «latino», di «liberarsi dell’intelletto mediante procedimenti essenzialmente intellettuali» restò per molto tempo estraneo a una cultura letteraria come la nostra, che, avvezza al realismo o alle effusioni liriche, vi ravvisava una specie di costitutiva aridità, e in ciò risiede uno dei motivi più persistenti della sfortuna di Bontempelli.
Ma lo scrittore andò oltre e il suo approdo finale fu Giro del sole: una trilogia di romanzi brevi o «fulminei» che mette insieme Ariosto e Wells, l’antico e il moderno. Qui il fantastico viene riportato alla sua fonte naturale, il mito, e il racconto si trasforma in una grande epopea. La fama di Bontempelli fu dovuta essenzialmente a questo libro e a esso restò a lungo legato il suo nome. Ma oggi è uno dei testi meno conosciuti della nostra letteratura e non è mai stato ripubblicato. La ragione è presto detta: Giro del Sole sta al fascismo come Sulle scogliere di marmo di Jünger sta al nazismo, ed a questa sfavorevole congiuntura si deve in buona parte l’ostracismo decretato a Bontempelli ed al suo «realismo magico», considerato un fenomeno «minore», se non proprio provinciale.
Fra i tre romanzi brevi che compongono Giro del Sole, Viaggio d’Europa, La via di Colombo e Le ali dell’Ippogrifo, il più rispondente ai tempi è l'ultimo: viaggio verso un’isola mediterranea, abitata da esseri ieratici e perfetti, la cui vita si svolge nella più assoluta obbedienza ai ritmi solari. Ogni giorno questi esemplari d’ambo i sessi di una razza «con chiome folte e brune» vengono condotti a compiere i riti prescritti: il saluto al Sole nascente e la circumnavigazione dell’isola, destinata a terminare con una fuga anfibia verso l’astro semidivino, in cui tutti finiranno con l’identificarsi come in un’apoteosi.
Giro del Sole non rappresenta soltanto il culmine, o uno dei culmini, del Bontempelli narratore, ma è anche l’espressione letterariamente più alta del Bontempelli «fascista». Le ali dell'Ippogrifo è una grande, simbolica rappresentazione di quello «Stato del Sole», o di quella comunità corale, che avrebbe voluto essere il fascismo, e di cui troviamo equivalenti solo nella pittura di Sironi. Qui l’annullamento dell’individuo nella coscienza collettiva non è imposto dall’esterno, ma da un legge non scritta che corrisponde all’ordine cosmico. All’imperio del Sole si sottraggono soltanto Argentina, che sedotta da Ruggero, rimarrà da sola nell’isola e lo stesso Ruggero che sulle ali dell’Ippogrifo seguiterà il suo viaggio. Così al lettore viene lasciato, per così dire, il beneficio del dubbio su quella «mistica» così totalitaria e assorbente.
Ma Bontempelli non riuscì più a scagionarsene. Del resto il suo fascismo non fu soltanto episodico o di facciata, né esterno alla sua opera, ma connaturato a una formazione letteraria che ne aveva assorbito alcuni miti fondanti, ad esempio la «giovinezza» e l’avventura. «La pratica (politica), aveva scritto nel 1926, ha preceduto l’arte e il pensiero puro, come era naturale, nell’opera di aprire le porte del Novecento». Ma lui quella pratica avrebbe voluto plasmarla e orientarla. Non gli riuscì, naturalmente, e nel 1938 causa certe affermazioni «frondiste» gli fu ritirata da Starace la tessera del partito.
Confinato a Venezia, Bontempelli assistette indomito alla fine di un’epoca. Deluso come altri intellettuali della sua generazione (Bottai, Ugo Spirito) da quel «totalitarismo imperfetto» che era stato il fascismo, finì per essere attratto da quel totalitarismo perfettamente compiuto rappresentato dal comunismo. Obbediente allo Zeitgeist com’era sempre stato, nel dopoguerra si allineò a quello che sembrava il nuovo corso della vita italiana. Nel 1948 fu eletto nelle liste del Fronte popolare. Ma i suoi trascorsi politici seguitavano a pesare su di lui e la sua elezione fu invalidata. Accettato a malincuore dall’Unità, finì per essere tollerato da coloro che aveva scelto a compagni della sua ultima avventura. A lui che aveva scritto «ogni uomo può fino all’ultimo giorno della sua vita ricominciare tutta la vita» l'ultima «giovinezza» fu negata, anche se niente poteva essergli più estraneo di quello Stato tetragono e grigio in cui si era risolto il comunismo.
«Il Giornale» del 25 ottobre 2009
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