Esce da Bompiani «La leggenda di Sigurd & Gudrún», il lavoro tenuto a lungo segreto sulla solitudine e il destino dell' uomo
di Sandro Modeo
L'universo fantastico da cui nacque la saga: una narrazione arcaica, visionaria e dark
Uno. Età delle grandi migrazioni, tra il 375 e il 568 d.C. L'Europa dell'Impero romano in implosione si ridisegna in profondità: i Burgundi occupano il Reno-Meno con epicentro a Worms; gli Unni di Attila irrompono dalle steppe russe; e i Goti orientali si insediano in Italia con Teodorico. Risale a questo periodo il forgiarsi di un nucleo di storie germaniche che nei secoli a seguire si irradierà (mescolandosi a narrazioni locali) a nord, verso l'Inghilterra e soprattutto verso la Norvegia, da cui - con un ulteriore passaggio - approderà in Islanda, dopo la colonizzazione norvegese dell'isola a partire dall'874. Due. Hylestad, contea di Aust-Adger, Norvegia meridionale, tra fiordi e paesaggi verde smeraldo, XII secolo: sulla facciata della chiesa risalta uno scuro portale ligneo, il «portale di Sigurd», dal nome dell' eroe principale di quelle storie. Oggi visibile al museo dell' Università di Oslo - dopo l'abbattimento ottocentesco della chiesa - è composto da sette sequenze, in cui la fusione tra impatto realistico e raffinata stilizzazione ricorda certi capolavori di Benedetto Antelami. Qui si fissano per la prima volta alcuni elementi di un epos che qualche decennio più tardi - dopo un fugato di varianti e modifiche orali - si depositerà in preziose pergamene: in Islanda (in lingua norrena) con l'Edda in prosa di Snorri Sturluson (intorno al 1220) e quella poetica o antica di un anonimo che seleziona «con gusto antiquario» (poco dopo Snorri) i carmi di materiali stesi proprio tra il IX e il XII secolo; e in Germania, a inizio Duecento, con i Nibelunghi, dove Sigurd è Sigfrido.
Tre. Oxford, 17 novembre 1926, Exeter College: il giovane docente di Studi anglosassoni, J.R.R. Tolkien, legge un'originale «introduzione» all'Edda poetica, preludio di una ricostruzione-riscrittura del poema che lo impegnerà tra le due guerre. È un lavoro che terrà a lungo criptato (parlandone soltanto in due lettere a Auden) e che ora possiamo leggere, col titolo La leggenda di Sigurd & Gudrún (Gudrún è la Crimilde tedesca) accompagnata dalla lezione-introduzione del ' 26 e dalle illustrazioni di Bill Sanderson, elaborate proprio sulle sequenze di Hylestad. Come il film di Fritz Lang, del '24 (I Nibelunghi, che Tolkien forse ha visto), anche La leggenda si distacca nettamente dalla Tetralogia wagneriana, ovvero dalla più famosa ri-creazione di quelle storie: del resto, a chi più tardi accosterà L' anello di Wagner e quello di Frodo, Tolkien ribatterà con sarcasmo come «l'unica rassomiglianza» consista nel fatto che «sono entrambi rotondi». In realtà, qualche omologia esiste. Nella Leggenda, Tolkien ricorre soprattutto all'Edda poetica, ovvero al Codex Regius, reperito da un vescovo islandese nel 1643; ma dove questo è lacunoso (come nel black-out di 16 facciate su alcuni passaggi cruciali) si rifà anche alla Saga dei Volsunghi (il popolo di Sigurd), cioè a una delle fonti di Wagner. Non solo: nelle sue stanze tese a riprodurre in inglese moderno il metro e il suono norreno, Tolkien si avvale ossessivamente dell'allitterazione, proprio come Wagner. Dopo di che, i due universi divergono. Al pathos wagneriano, Tolkien contrappone una poesia molto più arcaica e scabra, cercando di riprodurre l' «energia quasi demoniaca» del dettato eddico e di stilizzare ogni scena, compresi i momenti splatter (i tanti cuori strappati e/o mangiati). L'esito è una sorta di incessante chiaroscuro a più livelli sensoriali: visivo, con la tenebra (l' insistenza percussiva su termini come «dark», «darkness», «darkened») trapuntata dalle stelle o dai bagliori degli scudi; visiva e acustica insieme, coi versi che mimano i momenti off e un montaggio per stacchi felpati («Giunge la notte pallida;/ il vento si è levato;/ le porte si spalancano,/ il frastuono placato»); e psicologica, con improvvisi travasi d' atmosfera («l'allegria si è oscurata»). Torna in mente il Beowulf (da Tolkien in parte tradotto); o, appunto, il portale di Hylestad, di cui La leggenda sembra un equivalente letterario. Quattro. Introdotto da una cosmogonia visionaria (con il sole, i mari e l'«erba verde del mattino» che erompono dagli abissi), il racconto di Tolkien è cadenzato da tre nuclei portanti. Il primo segue i figli del re Hreidmar in contesa con gli dei: Otr, Fafnir e Regin. Otr - che in forma di lontra viene ucciso dal dio luciferino Loki - innesca tutta la vicenda, dato che Hreidmar esige a risarcimento che le pelli del figlio vengano riempite e rivestite d'oro, costringendo Loki a rubare il «tesoro» (con l'aello Advaranaut) dalla caverna del nano-luccio, Andvari, che lo cede promettendo dannazione per ogni futuro possessore. Fafnir - a consegna avvenuta - uccide il padre e gli ruba il tesoro, trasformandosi in un enorme drago per difenderlo. E Regin - il fabbro - forgia la spada Gramr per Sigurd, esortandolo a uccidere Fafnir e promettendogli di spartire con lui il bottino, ma verrà ucciso dall' eroe quando questi apprenderà (da corvi e fringuelli, il cui linguaggio gli si dischiude dopo aver mangiato il cuore arrostito del drago) che in realtà Regin vuole tenere tutto per sé. Nel secondo nucleo irrompono le figure femminili. Sigurd libera la valchiria ribelle Brunilde dal sonno (in un castello circondato di fiamme) cui l'ha costretta Odino, e - ricambiato - se ne innamora. Arrivato alla corte burgunda, beve la «pozione d'oblio» con cui la maga Grimilde gli fa dimenticare Brunilde, allo scopo di destinargli la figlia Gudrún (e di destinare a Gunnar, fratello di Gudrún, Brunilde). Il punto è che per attraversare il «fuoco» di Brunilde (e conquistarla) Gunnar ricorre a Sigurd. Sigurd ne assume l' aspetto e passa la notte con la valchiria, anche se mette tra i due corpi la spada Gramr e le lascia al dito - all'alba, come pegno d' amore - l'anello di Andvari. Quando Gudrún rivelerà alla valchiria il «trucco» di Gunnar, Brunilde, umiliata, chiederà ai fratelli di Gudrún di uccidere Sigurd, immolandosi poi con lui sulla pira funeraria. Il terzo nucleo elegge Gudrún a protagonista. Risposata a forza con Attila, comprende presto che il re unno mira al «tesoro», il cui nascondiglio è conosciuto solo da Gunnar. Per ottenerlo, Attila uccide tutti i fratelli di Gudrún; e lei, per vendicarsi, uccide i figli avuti da Attila servendoglieli cucinati e facendogli bere il loro sangue. Qui Tolkien sospende la storia, tagliando il terzo matrimonio di Gudrún e la coda «gotica», inzeppata nell'Edda di assurdità storiche.
Cinque. È evidente quanto La leggenda sia importante nella parabola creativa di Tolkien e nella genesi del Signore degli anelli. Non solo per le mutuazioni dei nomi (i nani dello Hobbit), per la figura del drago (da Fafnir a Smaug) o per le parentele del nano-luccio Andvari e di Otr con Gollum. Ma - su tutto - per il significato dell'anello, insieme di continuità e di rottura. Nella Leggenda, l'anello Advaranaut è infatti ambivalente. È vero che è già uno strumento di addiction: dopo la maledizione di Andvari, ogni futuro possessore lo desidererà morbosamente, come sarà per l'«unico», da Boromir a Frodo stesso. Ma è anche (nell'alba di Sigurd-Gunnar con Brunilde) un segno «cortese» di dolcezza. Nel Signore degli anelli, invece, l'«unico» (l'anello di Sauron) diverrà solo strumento di dominio e distruzione. È un passaggio che ne implica un altro, più profondo e drammatico: quello dall'universo femminile della Leggenda (dove le figure dominanti sono Brunilde-Fedra e Gudrún-Medea, tese alla vendetta come strumento di orgoglioso riscatto morale e sociale e al rifiuto del «patriarcato») a quello maschile del Signore degli anelli, dove il potere e la guerra diventano esclusivi, con il femminile ridotto a decorazione (Galadriel e Eowyn). Su altri versanti prevale invece la continuità. Nella Leggenda, per esempio, soffia quel vento nero che diverrà nella trilogia il fondale depressivo dell'opera, al punto che lo stesso viaggio di Frodo può essere visto come un attraversamento della dimensione «in negativo» dell' esistenza, concentrata nel Mordor e nei Nazgul. E se è vero che tale depressività deriva in primo luogo dall' esperienza dell'ufficiale Tolkien al fronte (nella battaglia della Somme) e quindi dalla guerra come essenza dell'autodistruttività umana, sul piano letterario sono chiari i nessi con la citata «darkness» della Leggenda: vedi il cambiamento di stato di Brunilde prima (la «mente oscurata» e il «freddo» a opprimerle il cuore dopo l'inganno) e di Gudrún poi (la mente vacillante e l'umore «ghiacciato» dopo l'assassinio dei figli). Sei. Un ultimo elemento accomuna la Leggenda e la trilogia: il rapporto tra uomini e dèi. Liberando Brunilde dalla corazza, Sigurd dissigilla un incantesimo di Odino, introducendo nel determinismo divino il libero arbitrio umano. E anche nell'universo del Signore degli anelli (nonostante la pervasiva minacciosità metafisica) gli dèi sono assenti, e il cattolico Tolkien lascia alla tenacia degli umili hobbit il compito di resistere all'anello e di distruggerlo. L'eroe Sigurd e l' antieroe Frodo viaggiano verso lo stesso luogo: quello della solitudine dell' uomo davanti ai propri fini e alle proprie azioni.
Il libro di J.R.R. Tolkien, La leggenda di Sigurd & Gudrún (a cura di Christopher Tolkien) esce mercoledì prossimo da Bompiani, traduzione di Riccardo Valla, postfazione di Gianfranco De Turris, pp. 336, 25. L' Edda poetica si può leggere nei Grandi Libri Garzanti (Il canzoniere eddico, pp. 362, 9,50), curata e tradotta magistralmente da Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, tra i massimi studiosi italiani di letterature norrene. L' Edda in prosa di Snorri Sturluson si trova invece da Adelphi (Edda, pp. 184, 16), a cura di Giorgio Dolfini. Su Tolkien sono appena usciti altri tre libri. Due da Lindau: la riproposta del profilo di Humphrey Carpenter già edito da Ares (J.R.R. Tolkien. La biografia, traduzione di F. Malagò e P. Pugni, rivista e aggiornata da Andrea Monda, pp. 430, 24) e uno studio sul cattolicesimo in Tolkien (Stratford Caldecott, Il fuoco segreto, traduzione di Diana Mengo, pp. 194, 19). Tolkien, un fenomeno culturale di Brian Rosebury (pp. 288, 26) è pubblicato invece da Marietti 1820, dove erano già usciti J.R.R. Tolkien: la via per la terra di mezzo, del massimo studioso tolkieniano, Tom Shippey, (pp. 546, 28) e Tolkien e la grande guerra di John Garth (pp. 446, 25). Segnaliamo infine uno dei migliori libri contro le letture ideologiche di Tolkien: L' anello che non tiene, di Lucio Del Corso e Paolo Pecere, minimum fax, pp. 224, 7,50.
« Corriere della Sera» del 15 ottobre 2009
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