Grande assente nel dibattito politico
di Isabella Bossi Fedrigotti
Negli
Il dibattito politico, al di là di qualche flebile voce non raramente del tutto formale e superficiale, ignora la famiglia. Ma la ignora anche dal punto di vista economico, nel senso che sono spariti dall’agenda i provvedimenti tesi a sostenerla. E questo quando la famiglia sembra oggi più indispensabile che mai, tant’è vero che, se l’Italia riesce alla meno peggio a resistere alla crisi, è merito, in buona parte, proprio di questa «impresa » tradizionalmente pronta a soccorrere i suoi membri in difficoltà.
Per non parlare della televisione, voce che urla, spesso sovrasta le altre e che la evita se non addirittura la irride, per esempio intitolando «La famiglia » una trasmissione condotta da quattro persone fintamente giovani, che tra canzoni e musiche si scambiano lazzi pesanti e volgarità varie sui fatti del giorno. Oppure mettendo in scena la falsa famiglia allargata del «Grande fratello», il cui vero cuore casalingo è costituito da una doccia trasparente dove vedremo alternarsi — soli o in compagnia — i suoi vari e sempre più volutamente strampalati componenti.
Ma siamo sicuri che tutto ciò corrisponda davvero alla realtà del Paese? Siamo sicuri che la maggioranza degli italiani — perché speriamo sia una maggioranza — ancora non del tutto prona al magistero televisivo, non del tutto sconfitta nella grande guerra che ci vorrebbe, fin da piccoli, consumatori fervidi prima di esseri umani, condivida il suggerimento, subliminale certo, però diffuso e forte, secondo il quale la famiglia è cosa buona giusto per i nonni? E che, a prescindere dalle eventuali convinzioni religiose, sia indifferente al destino dell’istituzione familiare in un tempo come questo di evidente disagio giovanile oltre che di minacciosa recessione?
L’appello alla famiglia di un ormai ex politico caduto forse lungo la via dell’improvviso ed eccessivo potere è suonata — è vero — un po’ come un’invocazione lanciata da un moribondo alla Croce rossa. Tuttavia la risposta abbastanza imprevedibile della moglie ha in un certo senso confermato che, alla resa dei conti, anche per le cosiddette élite e non solo per gli strati più semplici della popolazione, la famiglia non è affatto istituzione da rottamare bensì rete preziosa, a volte davvero unica e ultima. E noi che avevamo spesso ironizzato sulle mogli di politici inglesi e americani, in piedi, con un sorriso amaro, però mano nella mano accanto al fedifrago reo confesso, dobbiamo riconoscere che quella solidarietà forse non era legata soltanto alla paura di perdere uno status.
Resta da chiedersi perché la famiglia tenda regolarmente a passare per ultima nella vita pubblica italiana, dimenticata se non svillaneggiata dai mezzi di comunicazione. La risposta ce la può dare forse il diritto romano secondo il quale il matrimonio è per prima cosa un contratto che, come tutti i contratti, costringe i contraenti a delle responsabilità. Ma parlare di responsabilità nel Paese dell’eterna giovinezza oggi pare a volte quasi un affronto. Per parte loro, politica e media si affrettano a convalidare questa tendenza, a metterci il timbro e farla loro. Se non a promuoverla.
Per non parlare della televisione, voce che urla, spesso sovrasta le altre e che la evita se non addirittura la irride, per esempio intitolando «La famiglia » una trasmissione condotta da quattro persone fintamente giovani, che tra canzoni e musiche si scambiano lazzi pesanti e volgarità varie sui fatti del giorno. Oppure mettendo in scena la falsa famiglia allargata del «Grande fratello», il cui vero cuore casalingo è costituito da una doccia trasparente dove vedremo alternarsi — soli o in compagnia — i suoi vari e sempre più volutamente strampalati componenti.
Ma siamo sicuri che tutto ciò corrisponda davvero alla realtà del Paese? Siamo sicuri che la maggioranza degli italiani — perché speriamo sia una maggioranza — ancora non del tutto prona al magistero televisivo, non del tutto sconfitta nella grande guerra che ci vorrebbe, fin da piccoli, consumatori fervidi prima di esseri umani, condivida il suggerimento, subliminale certo, però diffuso e forte, secondo il quale la famiglia è cosa buona giusto per i nonni? E che, a prescindere dalle eventuali convinzioni religiose, sia indifferente al destino dell’istituzione familiare in un tempo come questo di evidente disagio giovanile oltre che di minacciosa recessione?
L’appello alla famiglia di un ormai ex politico caduto forse lungo la via dell’improvviso ed eccessivo potere è suonata — è vero — un po’ come un’invocazione lanciata da un moribondo alla Croce rossa. Tuttavia la risposta abbastanza imprevedibile della moglie ha in un certo senso confermato che, alla resa dei conti, anche per le cosiddette élite e non solo per gli strati più semplici della popolazione, la famiglia non è affatto istituzione da rottamare bensì rete preziosa, a volte davvero unica e ultima. E noi che avevamo spesso ironizzato sulle mogli di politici inglesi e americani, in piedi, con un sorriso amaro, però mano nella mano accanto al fedifrago reo confesso, dobbiamo riconoscere che quella solidarietà forse non era legata soltanto alla paura di perdere uno status.
Resta da chiedersi perché la famiglia tenda regolarmente a passare per ultima nella vita pubblica italiana, dimenticata se non svillaneggiata dai mezzi di comunicazione. La risposta ce la può dare forse il diritto romano secondo il quale il matrimonio è per prima cosa un contratto che, come tutti i contratti, costringe i contraenti a delle responsabilità. Ma parlare di responsabilità nel Paese dell’eterna giovinezza oggi pare a volte quasi un affronto. Per parte loro, politica e media si affrettano a convalidare questa tendenza, a metterci il timbro e farla loro. Se non a promuoverla.
«Corriere della sera» del 29 ottobre 2009
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