Londra abbandona la ricerca sugli ibridi umano-animali
di Assuntina Morresi
« In Gran Bretagna fa ricerca sulle cellule staminali embrionali, in Italia sarebbe ricercato dalla polizia. In Gran Bretagna sta per ricevere approvazione e finanziamento. In Italia riceverebbe una condanna fino a sei anni di carcere, una multa fino a 150 mila euro, sarebbe sospeso per tre anni dall'esercizio professionale». È quanto campeggiava due anni fa sulla copertina del mensile dell'Associazione radicale Luca Coscioni sotto la foto di Stephen Minger, il ricercatore inglese noto per i suoi lavori sugli embrioni umano-animali, presentato come l'eroe della libertà di ricerca e in quanto tale invitato in Italia a parlare all'Università La Sapienza di Roma ( sì, la stessa che aveva chiuso la porta in faccia a Benedetto XVI).
Ma intanto Minger ha cambiato mestiere: dopo due anni ha abbandonato la ricerca sulle embrionali e lavora nel settore industriale, mentre Lyle Armstrong e Justin St John, gli studiosi che come lui avevano ottenuto la licenza per creare embrioni interspecie, se ne vanno: il primo lavorerà in Spagna, l'altro andrà in Australia. Nessuno li ha perseguitati in questi anni, ma nessuno li ha cercati: non hanno trovato chi volesse finanziare i loro progetti sulle « chimere » . I motivi non sono etici: dopo il via libera dell'Hfea – l'Authority inglese che regola questo tipo di ricerca – è stata modificata pure la normativa, che adesso consente di creare qualsiasi tipo di embrione misto umano/ animale. Il percorso della nuova legge inglese è stato accompagnato da dibattiti e campagne, con un notevole coinvolgimento dell'opinione pubblica: un'attività intensa, largamente supportata dalla stampa sia popolare che specializzata. Ma non è bastato. Dice Colin Miles, membro del Centro di biotecnologie e scienze biologiche, che ha rifiutato uno dei progetti: « Non basta avere un permesso. Si deve verificare l'eccellenza scientifica e il potenziale del progetto » . Che quel filone di ricerca fosse inutile e superato lo si poteva capire leggendo la letteratura scientifica sul tema. E d'altra parte la scoperta delle « Ips » , cellule adulte ' ringiovanite' fino a uno stato simile a quello embrionale, ha rivoluzionato la ricerca nel settore. Ma sugli embrioni ibridi umano-animali la posta in gioco era altro: affermare l'autonomia assoluta della tecnoscienza e dei suoi 'sacerdoti', e sancirne una volta per tutte l'insindacabilità delle scelte cercando di rendere accettabile l'esperimento più estremo: quello che, mischiando patrimonio genetico umano e animale, metterebbe in crisi la natura umana nella sua unicità.
Chi vuole portare la bandiera della libertà di ricerca dovrebbe, però, misurarsi innanzitutto con fatti e risultati. Non si può spacciare per ricerca scientifica qualsiasi manipolazione, anche quelle di cui si è nota l'inutilità, prospettando irresponsabilmente possibili cure per malati inguaribili, come si è fatto con gli embrioni ibridi. Dell'argomento si è interessato recentemente il nostro Comitato nazionale di bioetica con un parere articolato. Ma quel che più impressiona adesso è il silenzio di tutti quelli che hanno dato tanto spazio alle grandi promesse della ricerca sugli ibridi: opinionisti, scienziati, politici, sedicenti militanti « per la libertà della ricerca scientifica » stanno ignorando la notizia. I media tacciono. Nessuno ha qualcosa da dire in proposito? Chi parla di libertà di stampa non dovrebbe almeno rispettare il diritto dei cittadini a un'informazione completa?
Ma intanto Minger ha cambiato mestiere: dopo due anni ha abbandonato la ricerca sulle embrionali e lavora nel settore industriale, mentre Lyle Armstrong e Justin St John, gli studiosi che come lui avevano ottenuto la licenza per creare embrioni interspecie, se ne vanno: il primo lavorerà in Spagna, l'altro andrà in Australia. Nessuno li ha perseguitati in questi anni, ma nessuno li ha cercati: non hanno trovato chi volesse finanziare i loro progetti sulle « chimere » . I motivi non sono etici: dopo il via libera dell'Hfea – l'Authority inglese che regola questo tipo di ricerca – è stata modificata pure la normativa, che adesso consente di creare qualsiasi tipo di embrione misto umano/ animale. Il percorso della nuova legge inglese è stato accompagnato da dibattiti e campagne, con un notevole coinvolgimento dell'opinione pubblica: un'attività intensa, largamente supportata dalla stampa sia popolare che specializzata. Ma non è bastato. Dice Colin Miles, membro del Centro di biotecnologie e scienze biologiche, che ha rifiutato uno dei progetti: « Non basta avere un permesso. Si deve verificare l'eccellenza scientifica e il potenziale del progetto » . Che quel filone di ricerca fosse inutile e superato lo si poteva capire leggendo la letteratura scientifica sul tema. E d'altra parte la scoperta delle « Ips » , cellule adulte ' ringiovanite' fino a uno stato simile a quello embrionale, ha rivoluzionato la ricerca nel settore. Ma sugli embrioni ibridi umano-animali la posta in gioco era altro: affermare l'autonomia assoluta della tecnoscienza e dei suoi 'sacerdoti', e sancirne una volta per tutte l'insindacabilità delle scelte cercando di rendere accettabile l'esperimento più estremo: quello che, mischiando patrimonio genetico umano e animale, metterebbe in crisi la natura umana nella sua unicità.
Chi vuole portare la bandiera della libertà di ricerca dovrebbe, però, misurarsi innanzitutto con fatti e risultati. Non si può spacciare per ricerca scientifica qualsiasi manipolazione, anche quelle di cui si è nota l'inutilità, prospettando irresponsabilmente possibili cure per malati inguaribili, come si è fatto con gli embrioni ibridi. Dell'argomento si è interessato recentemente il nostro Comitato nazionale di bioetica con un parere articolato. Ma quel che più impressiona adesso è il silenzio di tutti quelli che hanno dato tanto spazio alle grandi promesse della ricerca sugli ibridi: opinionisti, scienziati, politici, sedicenti militanti « per la libertà della ricerca scientifica » stanno ignorando la notizia. I media tacciono. Nessuno ha qualcosa da dire in proposito? Chi parla di libertà di stampa non dovrebbe almeno rispettare il diritto dei cittadini a un'informazione completa?
«Avvenire» dell'8 ottobre 2009
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