L’evoluzione delle tecnologie, dalla Seconda guerra mondiale agli automi di oggi, che suscitano sempre più inquietanti fantasie
di Mario G. Losano
I cyborg hanno radici nella letteratura e nel cinema. L’origine è nell’arma segreta dell’ultimo conflitto
La vera rivoluzione tecnologica è associata alla Seconda guerra mondiale che nuovamente scuote l’Europa, quest’inquieta penisola dell’Asia abitata da tribù bellicose. Per risolvere il conflitto si cerca un’arma segreta e definitiva, basata sulla scissione dell’atomo. La Germania nazionalsocialista studia il vettore per portarla sul territorio nemico e nella base segreta di Peenemünde, con le VI e V2, nasce l’odierna missilistica e l’industria spaziale. Gli Stati Uniti si concentrano sulla bomba atomica e, per produrla, forniscono ai fisici uno strumento che ne agevoli i calcoli: una macchina da calcolo che non è più meccanica, ma non è ancora elettronica.
Nel 1944 viene ultimato il primo calcolatore elettromeccanico Mark I a controllo automatico di sequenza, iniziato nel 1939. Una fotografia disvela al mondo la nuova macchina in una sala dal fulgore ospedaliero; ma subito, in primo piano, colpisce una vecchia conoscenza: la scheda perforata che Babbage aveva preso a prestito dai telai Jacquard per memorizzare la sequenza delle operazioni. Anche dentro al Mark I opera un’altra vecchia conoscenza, questa volta immateriale: la matematica binaria di Leibniz, poiché nel computer tutti i numeri vengono rappresentati per mezzo di strumento (il relè o interruttore) che può solo assumere due stati, che può cioè solo aprire o chiudere un circuito elettrico.
La Germania bombarderà l’Inghilterra con i primi missili, però ancora con la testata a esplosivo convenzionale. Gli Stati Uniti saranno invece i primi a produrre la bomba atomica, ma la sganceranno sul Giappone con un aereo convenzionale. Oggi le potenze nucleari dispongono tanto della bomba atomica quanto dei vettori balistici: ed è un caso in cui non viene da rallegrarsi per il progresso delle scienze.
Sotto la pressione della guerra e del governo americano, fra il 1936 e il 1944 il calcolo meccanico compie un salto di qualità. Nel calcolo meccanico si compie l’attesa innovazione di prodotto quando una serie di studi e tecniche note da secoli vengono fuse nel computer. Finita la guerra e caduto il segreto militare che circondava la calcolatrice elettromeccanica, nasce l’attuale informatica, destinata a pervadere la società attuale.
Nel 1948 uno specialista di studi interdisciplinari matematico-fisiologici, Norbert Wiener, pubblicò il libro La cibernetica, dal promettente sottotitolo: Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina. Se si riesce a comprendere come funziona un comportamento animale – e per Wiener è un animale anche l’essere umano – se ne potrà riprodurre il funzionamento anche con una «macchina », benché con l’informatica quest’ultimo termine non vada più inteso nel tradizionale senso ingegneristico del termine. Ormai il microprocessore misura pochi millimetri quadrati e, da solo, ha una capacità di memoria e di calcolo superiore a quella dei primi computer. Con la comprensione teorica del «comportamento» umano o animale e con lo strumento «informatico», è ora possibile affidare a una macchina la riproduzione di quel comportamento.
Le due vie di sviluppo nate dal meccanismo classico dell’orologeria subiscono un nuovo sconvolgimento. In pochi decenni le macchine da calcolo meccaniche ed elettromeccaniche cedono il passo a calcolatrici elettroniche sempre più piccole. Gli orologi meccanici vengono sostituiti da quelli digitali. Mentre gli orologi meccanici confluiscono nella riserva indiana dei prodotti di nicchia, come i gioielli-automi di Fabergé, e conducono ora una loro vita elitaria e segregata, le calcolatrici meccaniche scompaiono del tutto. La stessa sorte tocca alle macchine per scrivere, eredi del cembalo scrivano. Nessuno le produce più.
Mentre le calcolatrici meccaniche abbandonano la via trionfale percorsa per secoli, dal limbo dei prodotti di nicchia emerge la turba dolente dei dimenticati automi, e par di sentire l’aria del Fidelio cantata dai carcerati nel rivedere il sole: «O welche Lust, in freier Luft den Atem leicht zu heben ». Il primordiale Golem, «l’antropoide artificiale delle tradizioni magiche e mistiche dell’ebraismo», si trasforma nel simpatico androide Asimo, dalla statura e movenze d’un ragazzino per bene; Robotrix, l’andreide del film Metropolis di Fritz Lang, prefigura la simildonna Everl del Korean Institute for Industrial Technology, potenziale accompagnatrice di umani nei musei o nei grandi magazzini; Zulma, l’incantatrice di serpenti del 1890 che affascinò Madeleine de Galéa, diviene la progenitrice dell’Actroid della Kokoro Company, una vamp artificiale «che sa esprimere quaranta emozioni »; il cagnolino a molla si trasforma nei robot Dream DX o Aibo Ers-7M2, «un cane robot» – annuncia il suo sito – «che guaisce, abbaia e fiuta proprio come un vero cane».
Ma soprattutto: la funzione della mano, dell’arto o del frammento di un corpo umano o animale danneggiati può essere ricostruita, con una commistione di elettronica e meccanica fine (un revival della fedele amica dell’uomo dal tempo dei tempi!) che riceve impulsi elettrici da quello che resta dell’arto danneggiato. Nell’industria si può costruire il surrogato di un segmento del corpo umano che, per esempio, apprenda dal braccio del verniciatore quali movimenti compiere, e poi li compia da solo; ovvero che raccolga campioni di suolo lunare o si avventuri fra gas venefici o fra rischi di esplosione. Un giorno forse un automa gentile assisterà un malato o un vecchio, oppure sbrigherà le faccende domestiche.
Gli automi, campioni del passato, hanno riconquistato un avvenire, anche se non privo delle ombre inquietanti dei cyborg, dei cyberguerrieri o simili: ma l’inquietudine la suscitano non tanto gli automi, quanto l’uso che vorranno farne gli umani.
Nel 1944 viene ultimato il primo calcolatore elettromeccanico Mark I a controllo automatico di sequenza, iniziato nel 1939. Una fotografia disvela al mondo la nuova macchina in una sala dal fulgore ospedaliero; ma subito, in primo piano, colpisce una vecchia conoscenza: la scheda perforata che Babbage aveva preso a prestito dai telai Jacquard per memorizzare la sequenza delle operazioni. Anche dentro al Mark I opera un’altra vecchia conoscenza, questa volta immateriale: la matematica binaria di Leibniz, poiché nel computer tutti i numeri vengono rappresentati per mezzo di strumento (il relè o interruttore) che può solo assumere due stati, che può cioè solo aprire o chiudere un circuito elettrico.
La Germania bombarderà l’Inghilterra con i primi missili, però ancora con la testata a esplosivo convenzionale. Gli Stati Uniti saranno invece i primi a produrre la bomba atomica, ma la sganceranno sul Giappone con un aereo convenzionale. Oggi le potenze nucleari dispongono tanto della bomba atomica quanto dei vettori balistici: ed è un caso in cui non viene da rallegrarsi per il progresso delle scienze.
Sotto la pressione della guerra e del governo americano, fra il 1936 e il 1944 il calcolo meccanico compie un salto di qualità. Nel calcolo meccanico si compie l’attesa innovazione di prodotto quando una serie di studi e tecniche note da secoli vengono fuse nel computer. Finita la guerra e caduto il segreto militare che circondava la calcolatrice elettromeccanica, nasce l’attuale informatica, destinata a pervadere la società attuale.
Nel 1948 uno specialista di studi interdisciplinari matematico-fisiologici, Norbert Wiener, pubblicò il libro La cibernetica, dal promettente sottotitolo: Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina. Se si riesce a comprendere come funziona un comportamento animale – e per Wiener è un animale anche l’essere umano – se ne potrà riprodurre il funzionamento anche con una «macchina », benché con l’informatica quest’ultimo termine non vada più inteso nel tradizionale senso ingegneristico del termine. Ormai il microprocessore misura pochi millimetri quadrati e, da solo, ha una capacità di memoria e di calcolo superiore a quella dei primi computer. Con la comprensione teorica del «comportamento» umano o animale e con lo strumento «informatico», è ora possibile affidare a una macchina la riproduzione di quel comportamento.
Le due vie di sviluppo nate dal meccanismo classico dell’orologeria subiscono un nuovo sconvolgimento. In pochi decenni le macchine da calcolo meccaniche ed elettromeccaniche cedono il passo a calcolatrici elettroniche sempre più piccole. Gli orologi meccanici vengono sostituiti da quelli digitali. Mentre gli orologi meccanici confluiscono nella riserva indiana dei prodotti di nicchia, come i gioielli-automi di Fabergé, e conducono ora una loro vita elitaria e segregata, le calcolatrici meccaniche scompaiono del tutto. La stessa sorte tocca alle macchine per scrivere, eredi del cembalo scrivano. Nessuno le produce più.
Mentre le calcolatrici meccaniche abbandonano la via trionfale percorsa per secoli, dal limbo dei prodotti di nicchia emerge la turba dolente dei dimenticati automi, e par di sentire l’aria del Fidelio cantata dai carcerati nel rivedere il sole: «O welche Lust, in freier Luft den Atem leicht zu heben ». Il primordiale Golem, «l’antropoide artificiale delle tradizioni magiche e mistiche dell’ebraismo», si trasforma nel simpatico androide Asimo, dalla statura e movenze d’un ragazzino per bene; Robotrix, l’andreide del film Metropolis di Fritz Lang, prefigura la simildonna Everl del Korean Institute for Industrial Technology, potenziale accompagnatrice di umani nei musei o nei grandi magazzini; Zulma, l’incantatrice di serpenti del 1890 che affascinò Madeleine de Galéa, diviene la progenitrice dell’Actroid della Kokoro Company, una vamp artificiale «che sa esprimere quaranta emozioni »; il cagnolino a molla si trasforma nei robot Dream DX o Aibo Ers-7M2, «un cane robot» – annuncia il suo sito – «che guaisce, abbaia e fiuta proprio come un vero cane».
Ma soprattutto: la funzione della mano, dell’arto o del frammento di un corpo umano o animale danneggiati può essere ricostruita, con una commistione di elettronica e meccanica fine (un revival della fedele amica dell’uomo dal tempo dei tempi!) che riceve impulsi elettrici da quello che resta dell’arto danneggiato. Nell’industria si può costruire il surrogato di un segmento del corpo umano che, per esempio, apprenda dal braccio del verniciatore quali movimenti compiere, e poi li compia da solo; ovvero che raccolga campioni di suolo lunare o si avventuri fra gas venefici o fra rischi di esplosione. Un giorno forse un automa gentile assisterà un malato o un vecchio, oppure sbrigherà le faccende domestiche.
Gli automi, campioni del passato, hanno riconquistato un avvenire, anche se non privo delle ombre inquietanti dei cyborg, dei cyberguerrieri o simili: ma l’inquietudine la suscitano non tanto gli automi, quanto l’uso che vorranno farne gli umani.
«Avvenire» del 23 ottobre 2009
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