Il grande filosofo della «Società aperta» sosteneva la necessità di un non sconfinamento di campi fra la scienza e la religione, dopo i conflitti dell’800
di Dario Antiseri
E in campo morale indicava i limiti della ricerca a favore del «regno del sacro»
Le riflessioni contenute nel volume La società aperta, riguardanti il rapporto tra scienza e fede, sono un’eco della più ampia trattazione del problema sviluppato da Karl Popper nella conferenza su Scienza e religione. «Non molto tempo fa - leggiamo all’inizio del suo discorso - esisteva una notevole tensione fra scienza e religione. Questa tensione si accentuò durante il XIX secolo, in particolare a partire dalla polemica su Darwin e la teoria dell’evoluzione ». Ebbene, la tesi principale fatta propria da Popper è che «non ci può essere alcun disaccordo fra una scienza che non tenti di oltrepassare i suoi confini e una religione che non tenti di trattare argomenti che in realtà appartengono al campo della scienza». Il contrasto del XIX secolo fra scienza e religione - soggiunge Popper - trova la sua scaturigine in uno sconfinamento da entrambi i lati. «Entrambe le parti sono colpevoli, gli scienziati così come i difensori della fede: gli scienziati perché non si resero conto che il loro campo è interamente confinato al mondo dell’esperienza e perché lo straordinario sviluppo scientifico di cui erano testimoni li spinse a credere che non ci fosse niente nel nostro mondo che non sarebbe rientrato un giorno nel campo della scienza. I difensori della fede, dall’altro lato, sono colpevoli perché non si resero pienamente conto che la fede religiosa è fondamentalmente differente da quella che solitamente chiamiamo conoscenza scientifica e che non è compito della religione fare affermazioni su problemi che rientrano nel campo della scienza e che possono essere studiati con il metodo scientifico».
Né sostenibile, secondo Popper, è la posizione di coloro che affermano che la scienza o, meglio, gli sviluppi della scienza, supporterebbero la fede religiosa. Popper, al riguardo, assume un punto di vista completamente differente: «Ammettiamo - egli dice - che la scienza sia considerata come un qualcosa che supporti la religione; allora, se in una determinata fase del suo sviluppo risulta che essa è d’accordo con alcune dottrine religiose che noi abbracciamo per questa ragione, dovremmo anche accettare la confutazione di queste dottrine da parte della scienza, se in una certa altra fase del suo sviluppo la scienza dovesse giungere ad una concezione differente». E, in effetti, la scienza «non si sviluppa tramite l’accumulazione di conoscenze»; essa, piuttosto, «si sviluppa tramite rivoluzioni ». Legare la fede religiosa ad una teoria scientifica equivale a porla a livello delle ipotesi scientifiche. «Mi sembra però perfettamente chiaro insiste Popper - che questo non sia il significato della dottrina religiosa dell’esistenza di Dio. Una fede religiosa non si basa su ipotesi. Essa si situa a un livello completamente differente ». E qui sta «la ragione per cui scienza e fede non possono essere in conflitto reciproco, né supportarsi reciprocamente». Il livello in cui operano le fedi è soprattutto quello etico. E «il regno delle nostre azioni pratiche, dei nostri obiettivi pratici, e in particolare delle nostre decisioni morali, il modo in cui ci comportiamo nei confronti degli altri uomini e in cui tentiamo di condividere le nostre vite, tutte queste cose co- stituiscono un regno che in un certo senso non rientra nel campo della scienza». In ambito etico, laddove si deve scegliere quale comportamento assumere, «dobbiamo aderire a quell’insegnamento fondamentale che è anche quello del cristianesimo, ossia che la nostra coscienza è l’ultima corte d’appello. In tutte queste questioni, la scienza non può aiutarci. La scienza nel suo campo di ricerca specifico non può dirci che cosa dovremmo fare. Non interferisce nel campo morale e religioso ». E c’è un ulteriore problema affrontato da Popper: il problema del conflitto tra religione e irreligiosità; un problema considerato di grande rilevanza sia dai credenti in una o in un’altra delle religioni riconosciute, sia da quanti si sono considerati o si dichiarano atei o liberi pensatori o di non avere nessuna religione. «Penso anche qui - sottolinea Popper - che entrambe le parti abbiano torto. Lo credo più in particolare nel caso di quegli atei che hanno sostenuto con così tanta enfasi di non credere in nessuna religione specifica. Sostengo che queste persone erano indubbiamente religiose proprio nello stesso senso in cui diciamo che sono religiosi coloro i quali credono nelle tante differenti fedi. E sostengo che quanto più entusiasticamente dichiaravano la loro irreligiosità, tanto più chiaramente dimostravano, in realtà, di appartenere a una religione. La mia tesi è che, sebbene ci possano essere vari gradi di fede, sebbene la fede possa essere molto forte in alcuni e piuttosto debole in altri, non esiste probabilmente alcun uomo che ne sia totalmente privo. Di conseguenza, anziché contrapporre religione e irreligiosità, possiamo contrapporre soltanto i differenti generi e gradi di fede ». E tra le fedi «completamente disumane » Popper ha in mente «i vari tipi di totalitarismo e di razzismo»: «Questi sono movimenti che con una fervente fede tentano di distruggere la maggiore conquista del cristianesimo: la credenza che siamo tutti fratelli, che tutte le differenze fra noi non sono alla fine molto importanti; la credenza, in breve, nell’unità dell’umanità». Di fronte alle diverse fedi e ai differenti principi etici, non possiamo rivolgerci alla scienza per decidere a chi credere o che cosa credere e che cosa fare. Di fronte al pluralismo delle fedi e al politeismo dei valori siamo condannati ad essere liberi: «Dobbiamo aderire a quell’insegnamento fondamentale che è anche quello del cristianesimo, ossia che la nostra coscienza è l’ultima corte d’appello». Ed ecco come lo stesso Popper riassume il nucleo centrale della sua conferenza: «I regni della scienza e della religione non interferiscono reciprocamente. Ogni conflitto fra scienza e religione è dovuto a uno sconfinamento, da una parte o dall’altra. Ma i regni della religione e dei problemi morali in larghissima misura coincidono. Ciò non significa, tuttavia, che l’essere religioso renda morale un uomo. Esistono anche religioni del male e solo la nostra decisione, basata sulla nostra coscienza, può aiutarci a distinguere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato».
Il volume di Karl Popper «Dopo la società aperta» viene pubblicato in questi giorni da Armando (pagine 556, euro 39) e ci rivela lo sviluppo filosofico e politico di Popper durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, dai suoi primi pensieri socialisti all’umanitarismo radicale della «Società Aperta». I saggi riportati, molti dei quali tradotti in italiano per la prima volta, dimostrano con chiarezza il pensiero di Popper sulla religione, sulla storia, su Platone, Aristotele e sui vari e complessi aspetti della società contemporanea. Dalla prefazione di Dario Antiseri pubblichiamo in questa pagina per gentile concessione dell’editore, un brano del capitolo «Riflessioni sul rapporto tra scienza e fede religiosa».
Né sostenibile, secondo Popper, è la posizione di coloro che affermano che la scienza o, meglio, gli sviluppi della scienza, supporterebbero la fede religiosa. Popper, al riguardo, assume un punto di vista completamente differente: «Ammettiamo - egli dice - che la scienza sia considerata come un qualcosa che supporti la religione; allora, se in una determinata fase del suo sviluppo risulta che essa è d’accordo con alcune dottrine religiose che noi abbracciamo per questa ragione, dovremmo anche accettare la confutazione di queste dottrine da parte della scienza, se in una certa altra fase del suo sviluppo la scienza dovesse giungere ad una concezione differente». E, in effetti, la scienza «non si sviluppa tramite l’accumulazione di conoscenze»; essa, piuttosto, «si sviluppa tramite rivoluzioni ». Legare la fede religiosa ad una teoria scientifica equivale a porla a livello delle ipotesi scientifiche. «Mi sembra però perfettamente chiaro insiste Popper - che questo non sia il significato della dottrina religiosa dell’esistenza di Dio. Una fede religiosa non si basa su ipotesi. Essa si situa a un livello completamente differente ». E qui sta «la ragione per cui scienza e fede non possono essere in conflitto reciproco, né supportarsi reciprocamente». Il livello in cui operano le fedi è soprattutto quello etico. E «il regno delle nostre azioni pratiche, dei nostri obiettivi pratici, e in particolare delle nostre decisioni morali, il modo in cui ci comportiamo nei confronti degli altri uomini e in cui tentiamo di condividere le nostre vite, tutte queste cose co- stituiscono un regno che in un certo senso non rientra nel campo della scienza». In ambito etico, laddove si deve scegliere quale comportamento assumere, «dobbiamo aderire a quell’insegnamento fondamentale che è anche quello del cristianesimo, ossia che la nostra coscienza è l’ultima corte d’appello. In tutte queste questioni, la scienza non può aiutarci. La scienza nel suo campo di ricerca specifico non può dirci che cosa dovremmo fare. Non interferisce nel campo morale e religioso ». E c’è un ulteriore problema affrontato da Popper: il problema del conflitto tra religione e irreligiosità; un problema considerato di grande rilevanza sia dai credenti in una o in un’altra delle religioni riconosciute, sia da quanti si sono considerati o si dichiarano atei o liberi pensatori o di non avere nessuna religione. «Penso anche qui - sottolinea Popper - che entrambe le parti abbiano torto. Lo credo più in particolare nel caso di quegli atei che hanno sostenuto con così tanta enfasi di non credere in nessuna religione specifica. Sostengo che queste persone erano indubbiamente religiose proprio nello stesso senso in cui diciamo che sono religiosi coloro i quali credono nelle tante differenti fedi. E sostengo che quanto più entusiasticamente dichiaravano la loro irreligiosità, tanto più chiaramente dimostravano, in realtà, di appartenere a una religione. La mia tesi è che, sebbene ci possano essere vari gradi di fede, sebbene la fede possa essere molto forte in alcuni e piuttosto debole in altri, non esiste probabilmente alcun uomo che ne sia totalmente privo. Di conseguenza, anziché contrapporre religione e irreligiosità, possiamo contrapporre soltanto i differenti generi e gradi di fede ». E tra le fedi «completamente disumane » Popper ha in mente «i vari tipi di totalitarismo e di razzismo»: «Questi sono movimenti che con una fervente fede tentano di distruggere la maggiore conquista del cristianesimo: la credenza che siamo tutti fratelli, che tutte le differenze fra noi non sono alla fine molto importanti; la credenza, in breve, nell’unità dell’umanità». Di fronte alle diverse fedi e ai differenti principi etici, non possiamo rivolgerci alla scienza per decidere a chi credere o che cosa credere e che cosa fare. Di fronte al pluralismo delle fedi e al politeismo dei valori siamo condannati ad essere liberi: «Dobbiamo aderire a quell’insegnamento fondamentale che è anche quello del cristianesimo, ossia che la nostra coscienza è l’ultima corte d’appello». Ed ecco come lo stesso Popper riassume il nucleo centrale della sua conferenza: «I regni della scienza e della religione non interferiscono reciprocamente. Ogni conflitto fra scienza e religione è dovuto a uno sconfinamento, da una parte o dall’altra. Ma i regni della religione e dei problemi morali in larghissima misura coincidono. Ciò non significa, tuttavia, che l’essere religioso renda morale un uomo. Esistono anche religioni del male e solo la nostra decisione, basata sulla nostra coscienza, può aiutarci a distinguere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato».
Il volume di Karl Popper «Dopo la società aperta» viene pubblicato in questi giorni da Armando (pagine 556, euro 39) e ci rivela lo sviluppo filosofico e politico di Popper durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, dai suoi primi pensieri socialisti all’umanitarismo radicale della «Società Aperta». I saggi riportati, molti dei quali tradotti in italiano per la prima volta, dimostrano con chiarezza il pensiero di Popper sulla religione, sulla storia, su Platone, Aristotele e sui vari e complessi aspetti della società contemporanea. Dalla prefazione di Dario Antiseri pubblichiamo in questa pagina per gentile concessione dell’editore, un brano del capitolo «Riflessioni sul rapporto tra scienza e fede religiosa».
«Avvenire» del 30 ottobre 2009
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