Nuovi strumenti diagnostici sono in grado di distinguere i pazienti che sembrano non reagire da quelli in stato di coscienza minima, ma spesso i medici preferiscono usare l’intuito Con il risultato che molte persone rischiano di essere private dei supporti essenziali per vivere La denuncia a Bologna nella «Giornata dei risvegli»
di Pino Ciociola
Bologna. « Siamo sempre sul chi vive? O sul come vive?». Alessandro Bergonzoni è il testimonial della Casa dei risvegli Luca De Nigris. Arguto. Efficace: «Quale vita? La solita o l’insolita? Chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori? Non capisci, non puoi o non vuoi?». E sorridono, ascoltandolo, i genitori o le mogli o i mariti di chi è in coma o in stato vegetativo che sono qui a Bologna per celebrare l’undicesima Giornata nazionale dei risvegli (che ha il Patronato del presidente della Repubblica e il patrocinio della presidenza del Consiglio, del Senato e del ministero del Welfare). Pensando che la vita non ha aggettivi.
Sapendo che quando si tratta di cerebrolesioni la scienza annaspa, ipotizza, sa poco e nulla. E pur sapendo che qualche passo in avanti è stato fatto e qualche nuovo strumento è stato trovato, come la Jfk- coma recovery scale (venti test clinici) capace di distinguere fra chi è in stato vegetativo e in stato di coscienza minima, ma anche chi da quest’ultimo ne è venuto fuori (ricominciando in qualche modo a comunicare) senza che i medici se siano accorti.
Molti dettagli li aveva raccontati The Economist qualche settimana fa. A cominciare dalla recente ricerca del Gruppo sul coma dell’Università di Liegi, guidato da Caroline Schanakers e Steven Laureys: forse non è possibile cogliere la differenza fra stato vegetativo e di minima coscienza o forse, peggio, si preferisce utilizzare l’intuito piuttosto che le ultime tecniche diagnostiche a disposizione. Col risultato che molte persone rischiano che venga loro tolto il supporto alla vita anche quando sono presenti segni, seppur lievi e impercettibili, che la loro coscienza non è compromessa del tutto.
Infatti, ad esempio, nel 1996 Kheith Andrews e i suoi collaboratori del Royal Hospital for neurodisability a Londra scoprirono che il quaranta per cento dei pazienti nel loro ospedale, classificati in stato vegetativo, in realtà non lo era. Stessa percentuale che si ritrova tredici anni dopo nella ricerca del Gruppo di Liegi: il parere dei medici che si occupavano di centotre pazienti è stato confrontato con la diagnosi ottenuta attraverso la Jfk- coma recovery scale. I primi avevano classificato quarantaquattro di quei pazienti in stato vegetativo, ma la Jfk scale ne aveva invece scoperti diciotto in stato di coscienza minima.
Non solo, ma addirittura quattro fra i quaranta pazienti definiti in stato di coscienza minima ne erano in realtà già usciti: erano appunto capaci di comunicare sebbene i medici non l’avessero rilevato.
Così Steven Laureys ipotizza (cautamente) almeno un paio di riflessioni. La prima è che i neurologi non sono entusiasti d’essere sostituiti da una 'scala'. La seconda, soprattutto, che per esempio le compagnie assicurative mediamente preferiscono una diagnosi di stato vegetativo a una di minima coscienza, perché in quel caso non sono necessarie (né obbligate) le spese di riabilitazione.
Il confine dunque è labile e annebbiato. Eppure il principio minimo di cautela viene spesso ignorato.
E, insieme a questo, è troppo diversa geograficamente nel nostro Paese l’assistenza alle famiglie che hanno in casa una situazione di grave o gravissima cerebrolesione, come registra una ricerca del ministero del Welfare i cui primissimi risultati sono stati presentati a Bologna nel quadro della Giornata dei risvegli.
Ed entro un paio di mesi dovrebbe essere pronto il Libro bianco sulle persone in coma e in stato vegetativo (percorsi di cura, centri di riabilitazione, accompagnamento delle famiglie), che stanno redigendo insieme i tecnici ministeriali e la Rete ( Associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite), la Fntac (Federazione nazionale associazione traumio cranici) e l’Associazione Vi. Ve. (Vite vegetative). Un Libro bianco che partirà proprio dagli aspetti etici: il concetto di persona nel caso delle vite vegetative, il diritto alla continuità dell’assistenza nelle cronicità e il diritto/ dovere alle cure, ma anche il non accanimento e la proporzionalità di queste.
Sull’ultimo numero del mensile Gli amici di Luca magazine, quello distribuito per questa undicesima Giornata dei risvegli, c’è una poesia di Tonino Guerra che viene usata in uno spettacolo teatrale e nella quale « si può riassumere l’obiettivo degli educatori della Casa dei Risvegli » : « Un giorno un angelo ha lasciato il Paradiso per venire sulla terra, abitava in una casetta piena di uccellini imbalsamati e tutti i giorni dava loro da mangiare. Gli altri angeli, dal Paradiso, lo guardavano e ridevano di lui. Ma un giorno, un bel giorno, tutti gli uccellini imbalsamati hanno aperto le loro ali e sono volati via » .
Sapendo che quando si tratta di cerebrolesioni la scienza annaspa, ipotizza, sa poco e nulla. E pur sapendo che qualche passo in avanti è stato fatto e qualche nuovo strumento è stato trovato, come la Jfk- coma recovery scale (venti test clinici) capace di distinguere fra chi è in stato vegetativo e in stato di coscienza minima, ma anche chi da quest’ultimo ne è venuto fuori (ricominciando in qualche modo a comunicare) senza che i medici se siano accorti.
Molti dettagli li aveva raccontati The Economist qualche settimana fa. A cominciare dalla recente ricerca del Gruppo sul coma dell’Università di Liegi, guidato da Caroline Schanakers e Steven Laureys: forse non è possibile cogliere la differenza fra stato vegetativo e di minima coscienza o forse, peggio, si preferisce utilizzare l’intuito piuttosto che le ultime tecniche diagnostiche a disposizione. Col risultato che molte persone rischiano che venga loro tolto il supporto alla vita anche quando sono presenti segni, seppur lievi e impercettibili, che la loro coscienza non è compromessa del tutto.
Infatti, ad esempio, nel 1996 Kheith Andrews e i suoi collaboratori del Royal Hospital for neurodisability a Londra scoprirono che il quaranta per cento dei pazienti nel loro ospedale, classificati in stato vegetativo, in realtà non lo era. Stessa percentuale che si ritrova tredici anni dopo nella ricerca del Gruppo di Liegi: il parere dei medici che si occupavano di centotre pazienti è stato confrontato con la diagnosi ottenuta attraverso la Jfk- coma recovery scale. I primi avevano classificato quarantaquattro di quei pazienti in stato vegetativo, ma la Jfk scale ne aveva invece scoperti diciotto in stato di coscienza minima.
Non solo, ma addirittura quattro fra i quaranta pazienti definiti in stato di coscienza minima ne erano in realtà già usciti: erano appunto capaci di comunicare sebbene i medici non l’avessero rilevato.
Così Steven Laureys ipotizza (cautamente) almeno un paio di riflessioni. La prima è che i neurologi non sono entusiasti d’essere sostituiti da una 'scala'. La seconda, soprattutto, che per esempio le compagnie assicurative mediamente preferiscono una diagnosi di stato vegetativo a una di minima coscienza, perché in quel caso non sono necessarie (né obbligate) le spese di riabilitazione.
Il confine dunque è labile e annebbiato. Eppure il principio minimo di cautela viene spesso ignorato.
E, insieme a questo, è troppo diversa geograficamente nel nostro Paese l’assistenza alle famiglie che hanno in casa una situazione di grave o gravissima cerebrolesione, come registra una ricerca del ministero del Welfare i cui primissimi risultati sono stati presentati a Bologna nel quadro della Giornata dei risvegli.
Ed entro un paio di mesi dovrebbe essere pronto il Libro bianco sulle persone in coma e in stato vegetativo (percorsi di cura, centri di riabilitazione, accompagnamento delle famiglie), che stanno redigendo insieme i tecnici ministeriali e la Rete ( Associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite), la Fntac (Federazione nazionale associazione traumio cranici) e l’Associazione Vi. Ve. (Vite vegetative). Un Libro bianco che partirà proprio dagli aspetti etici: il concetto di persona nel caso delle vite vegetative, il diritto alla continuità dell’assistenza nelle cronicità e il diritto/ dovere alle cure, ma anche il non accanimento e la proporzionalità di queste.
Sull’ultimo numero del mensile Gli amici di Luca magazine, quello distribuito per questa undicesima Giornata dei risvegli, c’è una poesia di Tonino Guerra che viene usata in uno spettacolo teatrale e nella quale « si può riassumere l’obiettivo degli educatori della Casa dei Risvegli » : « Un giorno un angelo ha lasciato il Paradiso per venire sulla terra, abitava in una casetta piena di uccellini imbalsamati e tutti i giorni dava loro da mangiare. Gli altri angeli, dal Paradiso, lo guardavano e ridevano di lui. Ma un giorno, un bel giorno, tutti gli uccellini imbalsamati hanno aperto le loro ali e sono volati via » .
«Avvenire» dell'8 ottobre 2009
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