29 ottobre 2009

«Questa società non sa più educare»

Donati: una scuola fondata sull’esperienza
di Stefano Andrini
«Negli Stati Uniti sem­pre più famiglie de­cidono di educare in proprio i figli. E sempre più stu­diosi sembrano convinti che sa­rebbe meglio chiudere scuole che hanno l’unico obiettivo di far sta­re insieme i ragazzi». Il sociologo Pierpaolo Donati lancia la provo­cazione al Consiglio nazionale del­l’Agesc convocato a Bologna. Nes­suna tentazione di iscriversi al « partito della descolarizzazione » di massa. Ma idee molto chiare sul vero significato dell’attuale emer­genza educativa. « Non abbiamo – spiega – solo qualche difficoltà ad educare. Il problema è che stiamo andando verso una società che dice che è strutturalmente impossibile edu­care e ci impedisce di farlo». Que­sto modello culturale « teorizza l’impossibilità di educare e co­struisce dei sistemi di interazione anche scolastici che non prevedo­no più l’educazione nel senso di una maturazione delle persone » . Prevale invece, secondo Donati «un adattamento spontaneo qua­si di tipo darwiniano. In questo contesto né la famiglia né la scuo­la non solo non possono più edu­care i figli ma non sono più legit­timati a farlo». A questo punto Do­nati rilancia la grande domanda: questa società vuole veramente e­ducare? E la risposta è negativa « perché si intende l’educazione come apprendimento per l’ap­prendimento. Se funzioni bene, in caso contrario sei lasciato ai mar­gini ». Si capisce allora che la que­stione educativa è diventata in realtà antropologica «se vogliamo educarci dobbiamo interrogarci su chi è l’uomo oggi». L’emergenza e­ducativa richiede dunque un si­stema scolastico con nuove carat­teristiche: deve essere un servizio relazionale e deve essere un servi­zio riflessivo. «Non regge più – insiste Donati – un paradigma educativo inteso co­me trasmissione di valori, come in­put utilizzati per riempire il vuoto dei ragazzi. Anche perché sotto questo profilo i videogiochi han­no già vinto la battaglia sulla scuo­la: favorendo la nascita di genera­zioni immerse in un eterno pre­sente, non generate e incapaci di generare. In questa prospettiva i valori non dicono più nulla ai gio­vani. C’è bisogno di una scuola fondata sull’esperienza. Dove il soggetto si forma, prima ancora che attraverso la cultura, a contat­to con gli altri » . Per questo il so­ciologo si dichiara ottimista. «Se il nostro problema fosse solo tra- smettere la cultura avremmo per­so in partenza. Ma puntando sul­l’esperienza e sulle relazioni noi recuperiamo un altro modo di e­ducare fondato su relazioni che si costituiscono in rete».
Qui entra in gioco una particolare peculiarità di cui sono ricche le scuole paritarie: la capacità di ri­generare il capitale sociale, ovvero il patrimonio di fiducia, recipro­cità, sussidiarietà. Diversamente dalle scuole statali dove lo stesso capitale viene solo consumato e lentamente si spegne. «Questo av­viene – a parere di Donati – perché nelle scuole statali domina un plu­ralismo che neutralizza tutte le re­lazioni ». Se vogliamo dunque ave­re scuole riflessive, dice il sociolo­go, occorre puntare sul capitale so­ciale e sulla presenza capillare del­le associazioni familiari. «Vi do un consiglio. Se incontrate il ministro Gelmini chiedete non buone pa­role ma un disegno di legge che vi faccia en­trare nelle scuole con tanto di diritti e di rico­noscimento giuridico». Le associazioni familia­ri, ricorda Donati, «non sono un complemento, una integrazione o uno spazio di buona vo­lontà e generosità che affianca le scuole o che propone anche qual­che propria scuola, ma devono diventare un pilastro essenziale nel­la riorganizzazione del sistema scolastico». Ma non solo. Sul mo­dello tedesco delle alleanze locali amiche della famiglia ( che coin­volgono tutti i soggetti di uno stes­so territorio) le associazioni dei ge­nitori dovrebbero sperimentare al­leanze di questo tipo anche per i servizi educativi.
«Avvenire» del 18 ottobre 2009

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