Donati: una scuola fondata sull’esperienza
di Stefano Andrini
«Negli Stati Uniti sempre più famiglie decidono di educare in proprio i figli. E sempre più studiosi sembrano convinti che sarebbe meglio chiudere scuole che hanno l’unico obiettivo di far stare insieme i ragazzi». Il sociologo Pierpaolo Donati lancia la provocazione al Consiglio nazionale dell’Agesc convocato a Bologna. Nessuna tentazione di iscriversi al « partito della descolarizzazione » di massa. Ma idee molto chiare sul vero significato dell’attuale emergenza educativa. « Non abbiamo – spiega – solo qualche difficoltà ad educare. Il problema è che stiamo andando verso una società che dice che è strutturalmente impossibile educare e ci impedisce di farlo». Questo modello culturale « teorizza l’impossibilità di educare e costruisce dei sistemi di interazione anche scolastici che non prevedono più l’educazione nel senso di una maturazione delle persone » . Prevale invece, secondo Donati «un adattamento spontaneo quasi di tipo darwiniano. In questo contesto né la famiglia né la scuola non solo non possono più educare i figli ma non sono più legittimati a farlo». A questo punto Donati rilancia la grande domanda: questa società vuole veramente educare? E la risposta è negativa « perché si intende l’educazione come apprendimento per l’apprendimento. Se funzioni bene, in caso contrario sei lasciato ai margini ». Si capisce allora che la questione educativa è diventata in realtà antropologica «se vogliamo educarci dobbiamo interrogarci su chi è l’uomo oggi». L’emergenza educativa richiede dunque un sistema scolastico con nuove caratteristiche: deve essere un servizio relazionale e deve essere un servizio riflessivo. «Non regge più – insiste Donati – un paradigma educativo inteso come trasmissione di valori, come input utilizzati per riempire il vuoto dei ragazzi. Anche perché sotto questo profilo i videogiochi hanno già vinto la battaglia sulla scuola: favorendo la nascita di generazioni immerse in un eterno presente, non generate e incapaci di generare. In questa prospettiva i valori non dicono più nulla ai giovani. C’è bisogno di una scuola fondata sull’esperienza. Dove il soggetto si forma, prima ancora che attraverso la cultura, a contatto con gli altri » . Per questo il sociologo si dichiara ottimista. «Se il nostro problema fosse solo tra- smettere la cultura avremmo perso in partenza. Ma puntando sull’esperienza e sulle relazioni noi recuperiamo un altro modo di educare fondato su relazioni che si costituiscono in rete».
Qui entra in gioco una particolare peculiarità di cui sono ricche le scuole paritarie: la capacità di rigenerare il capitale sociale, ovvero il patrimonio di fiducia, reciprocità, sussidiarietà. Diversamente dalle scuole statali dove lo stesso capitale viene solo consumato e lentamente si spegne. «Questo avviene – a parere di Donati – perché nelle scuole statali domina un pluralismo che neutralizza tutte le relazioni ». Se vogliamo dunque avere scuole riflessive, dice il sociologo, occorre puntare sul capitale sociale e sulla presenza capillare delle associazioni familiari. «Vi do un consiglio. Se incontrate il ministro Gelmini chiedete non buone parole ma un disegno di legge che vi faccia entrare nelle scuole con tanto di diritti e di riconoscimento giuridico». Le associazioni familiari, ricorda Donati, «non sono un complemento, una integrazione o uno spazio di buona volontà e generosità che affianca le scuole o che propone anche qualche propria scuola, ma devono diventare un pilastro essenziale nella riorganizzazione del sistema scolastico». Ma non solo. Sul modello tedesco delle alleanze locali amiche della famiglia ( che coinvolgono tutti i soggetti di uno stesso territorio) le associazioni dei genitori dovrebbero sperimentare alleanze di questo tipo anche per i servizi educativi.
Qui entra in gioco una particolare peculiarità di cui sono ricche le scuole paritarie: la capacità di rigenerare il capitale sociale, ovvero il patrimonio di fiducia, reciprocità, sussidiarietà. Diversamente dalle scuole statali dove lo stesso capitale viene solo consumato e lentamente si spegne. «Questo avviene – a parere di Donati – perché nelle scuole statali domina un pluralismo che neutralizza tutte le relazioni ». Se vogliamo dunque avere scuole riflessive, dice il sociologo, occorre puntare sul capitale sociale e sulla presenza capillare delle associazioni familiari. «Vi do un consiglio. Se incontrate il ministro Gelmini chiedete non buone parole ma un disegno di legge che vi faccia entrare nelle scuole con tanto di diritti e di riconoscimento giuridico». Le associazioni familiari, ricorda Donati, «non sono un complemento, una integrazione o uno spazio di buona volontà e generosità che affianca le scuole o che propone anche qualche propria scuola, ma devono diventare un pilastro essenziale nella riorganizzazione del sistema scolastico». Ma non solo. Sul modello tedesco delle alleanze locali amiche della famiglia ( che coinvolgono tutti i soggetti di uno stesso territorio) le associazioni dei genitori dovrebbero sperimentare alleanze di questo tipo anche per i servizi educativi.
«Avvenire» del 18 ottobre 2009
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