È giunto il momento di rilanciare la proposta di riconoscere la capacità giuridica ad ogni essere umano sin dal concepimento
di Carlo Casini
« C ome un individuo umano non sarebbe una persona umana?» Basterebbe questa domanda posta da Giovanni Paolo II al n. 60 dell’Evangelium vitae a contrastare la tesi di Ivan Illich, secondo il quale «Le chiese, utilizzando il loro potere di creare miti consacrano una nozione astratta di vita umana», che porterebbe alla corruzione della fede cristiana. La tesi di Illich è già stata criticata da Lucietta Scaraffia su l’Osservatore Romano del 9 settembre scorso, ma credo opportuno mettere a fuoco la questione con la lente di innumerevoli dibattiti sul tema della vita umana. L’accusa rivolta alle chiese deve essere rovesciata proprio verso la «cultura abortista» nella quale sono impronunciabili parole come «diritto alla vita fin dal concepimento » o definizioni dell’embrione come «individuo», «soggetto», «persona ». In non pochi filoni di questa cultura è presente, invece, «una nozione astratta di vita umana» mitizzata con l’affermazione di una continuità della sua evoluzione millenaria per la quale, come non vi sarebbe soluzione di continuità tra vita vege- tale, animale ed umana, così non vi sarebbe distinzione tra uno spermatozoo e un embrione. In questa visione si possono anche accettare, sebbene a malincuore, espressioni come «rispetto della vita» o «tutela della vita», supponendo, però, che la vita embrionale è qualcosa di indefinibilmente generico e non quella di «un individuo vivente appartenente alla specie umana», cioè,– più semplicemente – di un uomo. Quando poi le argomentazioni di ragione e di scienza rendono incontestabile la tesi della individualità umana del concepito, allora la replica dell’abortismo è: «essere umano – dobbiamo concedere – ma non persona».
Dunque sul concetto di «persona» si accentra la radice di ogni discussione. Ma registro non poca timidezza, anche da parte di chi fa riferimento all’antropologia cristiana, nell’usare il termine «persona». So bene che l’attribuzione di un significato convenzionale alla parola – distinguendo cioè l’uomo adulto e cosciente (ipoteticamente «persona») dall’uomo in quanto tale – non toglie teoricamente forza al diritto alla vita che appartiene all’essere umano senza ulteriori specificazioni, vecchio o giovane che sia, nato o non nato, qualificabile o no come «persona». Tuttavia la distinzione tra uomo e persona è estremamente pericolosa. In primo luogo perché accetta il linguaggio e l’inganno degli avversari. In secondo luogo perché introduce una inaccettabile discriminazione sull’uomo violando il principio di eguaglianza. Solo affermando che «persona» è l’altro nome dell’uomo, mai attribuibile agli animali, indicatore di un valore che è intrinseco all’esistere umano, a prescindere da qualsiasi ulteriore qualità, è portata alle ultime conseguenze quella idea moderna e laica di «eguale dignità», che ha sconfitto la schiavitù, la discriminazione dei neri, la sudditanza delle donne. A ben guardare l’accusa di confessionalismo sempre rivolta ai cattolici è respinta al mittente, solo se abbiamo il coraggio di chiamare «persona» l’embrione umano. È la pretesa di difendere una vita generica che ha il sapore del mito, ad offendere la laicità, non certo la laicissima proclamazione del principio di non discriminazione.
Si aggiunga che l’affermazione del concepito come individuo umano e quindi soggetto e persona non è un inutile accademico esercizio verbale. Anche nell’angoscia e nella solitudine il coraggio materno può vincere. Ma il coraggio ha bisogno di una motivazione ragionevole: il figlio è figlio, un bambino, una persona. Questa consapevolezza è assolutamente indispensabile nel momento in cui pillole di vario genere banalizzano e privatizzano l’aborto. Battersi perché la Ru486 non sia usata in Italia e per garantire l’obiezione di coscienza di medici e paramedici riguardo alla prescrizione e somministrazione della pillola del giorno dopo è cosa buona e doverosa, ma non riusciremo ad impedire, in Italia e all’estero l’uccisione chimica di una grande quantità di bambini non ancora nati. Basterà l’educazione? L’educazione è fatta anche dall’aria che si respira, dalle parole che si sentono, soprattutto da quella espressione di razionalità collettiva che è la legge. La legge non è soltanto comando. È, prima ancora, guida all’azione, bussola orientatrice, indicazione di valori. Se non ci fosse stata una lunga lotta per proclamare l’uguaglianza tra bianchi e neri ci sarebbe ancora l’apartheid.
Sono convinto che una strategia di alto profilo per difendere la vita deve affrontare il cuore di tutte le questioni. E deve investire anche il livello politico-legislativo. L’ordinamento giuridico deve introdurre l’embrione umano nell’ambito del diritto come un «uguale» cioè come un soggetto, una persona. Non è una richiesta infondata. Essa è già stata accolta nella Convenzione americana dei Diritti umani del 1969 e in qualche Costituzione latino-americana. In Italia a cominciare dal 1996 il Comitato Nazionale di Bioetica ci ha annunciato più volte: «Vi è il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone». Non ho citato le ancora più forti parole della Dignitas personae di Benedetto XVI. Ho riportato un testo di un organismo scientifico laico dello Stato italiano. Giuliano Ferrara ha lanciato l’idea di chiedere all’Onu una «moratoria sull’aborto », intesa come integrazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo affinché vi si indichi che il diritto alla vita appartiene anche al concepito. La Camera dei Deputati ha recentemente votato una mozione per chiedere all’Onu che l’aborto non sia considerato mezzo di controllo delle nascite.
Prima di chiedere agli altri, cominciamo ad agire in casa nostra. Fin dal 1995 il Movimento per la vita ha presentato una proposta di legge popolare per includere tra le persone – tali considerate dal diritto – anche i concepiti.
È giunto il momento di rilanciarla. Quali Parlamentari e quali partiti vogliono rispondere a questo appello?
Dunque sul concetto di «persona» si accentra la radice di ogni discussione. Ma registro non poca timidezza, anche da parte di chi fa riferimento all’antropologia cristiana, nell’usare il termine «persona». So bene che l’attribuzione di un significato convenzionale alla parola – distinguendo cioè l’uomo adulto e cosciente (ipoteticamente «persona») dall’uomo in quanto tale – non toglie teoricamente forza al diritto alla vita che appartiene all’essere umano senza ulteriori specificazioni, vecchio o giovane che sia, nato o non nato, qualificabile o no come «persona». Tuttavia la distinzione tra uomo e persona è estremamente pericolosa. In primo luogo perché accetta il linguaggio e l’inganno degli avversari. In secondo luogo perché introduce una inaccettabile discriminazione sull’uomo violando il principio di eguaglianza. Solo affermando che «persona» è l’altro nome dell’uomo, mai attribuibile agli animali, indicatore di un valore che è intrinseco all’esistere umano, a prescindere da qualsiasi ulteriore qualità, è portata alle ultime conseguenze quella idea moderna e laica di «eguale dignità», che ha sconfitto la schiavitù, la discriminazione dei neri, la sudditanza delle donne. A ben guardare l’accusa di confessionalismo sempre rivolta ai cattolici è respinta al mittente, solo se abbiamo il coraggio di chiamare «persona» l’embrione umano. È la pretesa di difendere una vita generica che ha il sapore del mito, ad offendere la laicità, non certo la laicissima proclamazione del principio di non discriminazione.
Si aggiunga che l’affermazione del concepito come individuo umano e quindi soggetto e persona non è un inutile accademico esercizio verbale. Anche nell’angoscia e nella solitudine il coraggio materno può vincere. Ma il coraggio ha bisogno di una motivazione ragionevole: il figlio è figlio, un bambino, una persona. Questa consapevolezza è assolutamente indispensabile nel momento in cui pillole di vario genere banalizzano e privatizzano l’aborto. Battersi perché la Ru486 non sia usata in Italia e per garantire l’obiezione di coscienza di medici e paramedici riguardo alla prescrizione e somministrazione della pillola del giorno dopo è cosa buona e doverosa, ma non riusciremo ad impedire, in Italia e all’estero l’uccisione chimica di una grande quantità di bambini non ancora nati. Basterà l’educazione? L’educazione è fatta anche dall’aria che si respira, dalle parole che si sentono, soprattutto da quella espressione di razionalità collettiva che è la legge. La legge non è soltanto comando. È, prima ancora, guida all’azione, bussola orientatrice, indicazione di valori. Se non ci fosse stata una lunga lotta per proclamare l’uguaglianza tra bianchi e neri ci sarebbe ancora l’apartheid.
Sono convinto che una strategia di alto profilo per difendere la vita deve affrontare il cuore di tutte le questioni. E deve investire anche il livello politico-legislativo. L’ordinamento giuridico deve introdurre l’embrione umano nell’ambito del diritto come un «uguale» cioè come un soggetto, una persona. Non è una richiesta infondata. Essa è già stata accolta nella Convenzione americana dei Diritti umani del 1969 e in qualche Costituzione latino-americana. In Italia a cominciare dal 1996 il Comitato Nazionale di Bioetica ci ha annunciato più volte: «Vi è il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone». Non ho citato le ancora più forti parole della Dignitas personae di Benedetto XVI. Ho riportato un testo di un organismo scientifico laico dello Stato italiano. Giuliano Ferrara ha lanciato l’idea di chiedere all’Onu una «moratoria sull’aborto », intesa come integrazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo affinché vi si indichi che il diritto alla vita appartiene anche al concepito. La Camera dei Deputati ha recentemente votato una mozione per chiedere all’Onu che l’aborto non sia considerato mezzo di controllo delle nascite.
Prima di chiedere agli altri, cominciamo ad agire in casa nostra. Fin dal 1995 il Movimento per la vita ha presentato una proposta di legge popolare per includere tra le persone – tali considerate dal diritto – anche i concepiti.
È giunto il momento di rilanciarla. Quali Parlamentari e quali partiti vogliono rispondere a questo appello?
«Avvenire» del 1 ottobre 2009
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