Il caso del film olandese anti-corano
di Andrea Lavazza
È un cortometraggio di 15 minuti che nessuno ha visto, di cui nessuno conosce i contenuti e che potrebbe perfino non esistere. Ma è stato sufficiente il reiterato annuncio dell’uscita da parte del suo promotore, il deputato populista olandese Geert Wilders, per creare nuova tensione tra Occidente e Paesi musulmani. Il Pakistan, l’Iran, l’Egitto e poi l’intera Organizzazione della conferenza islamica si sono mossi per chiedere al governo dell’Aja di bloccarne la diffusione. Al tam tam degli estremisti si sono aggiunti ieri i taleban afghani, che parlano di una «crociata», unendo la vicenda di oggi a quella delle vignette su Maometto pubblicate nel 2006 da un giornale danese. Nei Paesi Bassi è stato alzato l’allarme terrorismo, mentre Unione europea e Nato denunciano i rischi di un’escalation di attacchi contro obiettivi europei all’estero. All’'intolleranza preventiva' hanno già reagito molti intellettuali, chiedendo a gran voce che si respingano i tentativi di censura e si trasmetta ampiamente e senza esitazione il documentario. Fitna (lotta), questo il titolo, conterrebbe una denuncia del Corano come libro «fascista», paragonabile al Mein Kampf hitleriano e da mettere quindi fuori legge, Maometto verrebbe dipinto come un «barbaro» e l’intero credo islamico screditato come violento, arretrato e incompatibile con la civiltà contemporanea.
In realtà, si tratta delle tesi che lo stesso Wilders, ex liberale ora leader di un proprio partito di destra, sostiene da anni. Né si immagina come possa averle rivestite di connotazione giornalistica o artistica nella forma filmica, di cui appare totalmente digiuno. Di fronte al dilemma sulla sorte da riservare al cortometraggio, essendo già giunto ai massimi livelli politici, ci si può chiedere se esista una differenza tra libertà di espressione e libertà di religione, e se mai possano confliggere. Di certo è chiaro che cosa implichi la prima, mentre meno ovvio è interrogarsi sulla seconda. La quale comporta la possibilità di professare liberamente la propria fede, qualunque sia. Se però non si tratta di un altro nome per la libertà di espressione, significa che la religione in quanto tale ha uno statuto che merita specifica tutela. E tra gli elementi caratterizzanti che accomunano le religioni c’è la dimensione del sacro come aspetto che chiede un particolare rispetto (non a caso, per estensione, si parla in tutti i campi di 'dissacrare' o 'profanare' quando si varca l’ultima soglia). Forse, quindi, la libertà di religione comprende anche il diritto a una certa salvaguardia del nucleo centrale delle credenze e dei riti, al di là del fatto che siano considerati mitici o irrazionali. Se le credenze hanno 'ricadute' pubbliche che violano leggi o sentimenti morali, queste ultime dovranno essere senza dubbio contrastate o represse, se necessario. E non si vuole nemmeno dire che siano impediti la critica, il proselitismo negativo o la satira, garantiti dall’altrettanto inviolabile libertà d’espressione. Sembra piuttosto che debba esservi una contemperazione tra i due diritti quando entrano in conflitto, come potrebbe accadere nella vicenda di Fitna.
Sarà utile ribadire che risulta sempre inaccettabile minacciare (e ancor più utilizzare) il ricorso alla violenza contro ciò che è sentito come offesa alla propria fede. Tuttavia, non sembra in linea di principio una violazione della convivenza liberale chiedere che si osteggi un messaggio dichiaratamente provocatorio e insultante, non dotato di una chiara valenza informativa o artistica. Non ne hanno titolo i Paesi islamici, i quali rifiutano comportamenti di reciprocità proprio in materia di libertà religiosa. Lo possiedono probabilmente i musulmani residenti in Europa che rispettano leggi e culti dei Paesi in cui vivono. Si domanderà (giustamente): chi decide se il cortometraggio di Wilders è davvero un oltraggio immotivato all’islam? E se cediamo una volta, non abdichiamo per pavidità al nostro principio di tolleranza, con le prevedibili conseguenze in termini di riduzione degli spazi di libertà? Diremmo che la risposta non è univoca e varia da caso a caso. Forse sta proprio in questa capacità di discriminare ciò che ci può distinguere dai fanatici e dai violenti, pronti a nascondere sotto la difesa di una falsa religione le loro pretese egemoniche.
In realtà, si tratta delle tesi che lo stesso Wilders, ex liberale ora leader di un proprio partito di destra, sostiene da anni. Né si immagina come possa averle rivestite di connotazione giornalistica o artistica nella forma filmica, di cui appare totalmente digiuno. Di fronte al dilemma sulla sorte da riservare al cortometraggio, essendo già giunto ai massimi livelli politici, ci si può chiedere se esista una differenza tra libertà di espressione e libertà di religione, e se mai possano confliggere. Di certo è chiaro che cosa implichi la prima, mentre meno ovvio è interrogarsi sulla seconda. La quale comporta la possibilità di professare liberamente la propria fede, qualunque sia. Se però non si tratta di un altro nome per la libertà di espressione, significa che la religione in quanto tale ha uno statuto che merita specifica tutela. E tra gli elementi caratterizzanti che accomunano le religioni c’è la dimensione del sacro come aspetto che chiede un particolare rispetto (non a caso, per estensione, si parla in tutti i campi di 'dissacrare' o 'profanare' quando si varca l’ultima soglia). Forse, quindi, la libertà di religione comprende anche il diritto a una certa salvaguardia del nucleo centrale delle credenze e dei riti, al di là del fatto che siano considerati mitici o irrazionali. Se le credenze hanno 'ricadute' pubbliche che violano leggi o sentimenti morali, queste ultime dovranno essere senza dubbio contrastate o represse, se necessario. E non si vuole nemmeno dire che siano impediti la critica, il proselitismo negativo o la satira, garantiti dall’altrettanto inviolabile libertà d’espressione. Sembra piuttosto che debba esservi una contemperazione tra i due diritti quando entrano in conflitto, come potrebbe accadere nella vicenda di Fitna.
Sarà utile ribadire che risulta sempre inaccettabile minacciare (e ancor più utilizzare) il ricorso alla violenza contro ciò che è sentito come offesa alla propria fede. Tuttavia, non sembra in linea di principio una violazione della convivenza liberale chiedere che si osteggi un messaggio dichiaratamente provocatorio e insultante, non dotato di una chiara valenza informativa o artistica. Non ne hanno titolo i Paesi islamici, i quali rifiutano comportamenti di reciprocità proprio in materia di libertà religiosa. Lo possiedono probabilmente i musulmani residenti in Europa che rispettano leggi e culti dei Paesi in cui vivono. Si domanderà (giustamente): chi decide se il cortometraggio di Wilders è davvero un oltraggio immotivato all’islam? E se cediamo una volta, non abdichiamo per pavidità al nostro principio di tolleranza, con le prevedibili conseguenze in termini di riduzione degli spazi di libertà? Diremmo che la risposta non è univoca e varia da caso a caso. Forse sta proprio in questa capacità di discriminare ciò che ci può distinguere dai fanatici e dai violenti, pronti a nascondere sotto la difesa di una falsa religione le loro pretese egemoniche.
«Avvenire» del 7 marzo 2008
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