Atto né tecnico né automatico
di Eugenia Roccella
Come è noto, l’azienda che produce la pillola abortiva Ru486 ha chiesto a novembre l’autorizzazione per commercializzarla in Italia. Mentre l’Aifa, l’ente italiano di controllo dei farmaci, sta ancora vagliando la documentazione scientifica sulla sicurezza della pillola, si moltiplicano le dichiarazioni dei sostenitori dell’aborto chimico, che battono tutte sullo stesso tasto: l’automatismo della cosiddetta procedura di mutuo riconoscimento. Secondo il ginecologo radicale Silvio Viale il via libera dell’Aifa sarebbe del tutto scontato, una pura questione burocratica; ma anche il direttore dell’Istituto Negri, Silvio Garattini, ha dichiarato al Secolo XIX che «l’autorizzazione sarà automatica», perché il dossier di richiesta presentato all’Aifa «è lo stesso approvato in Francia, e se l’Italia non lo accettasse dovrebbe aprire un vero e proprio contenzioso».
È questo il punto: se le cose stanno come dice il professor Garattini, la documentazione sulla sicurezza della Ru486 è ancora quella che risale al 1989 – anno in cui il governo francese autorizzò l’uso del farmaco – o forse quella presentata dieci anni dopo, quando la pillola abortiva fu introdotta in molti Paesi europei. Una documentazione, quindi, che non tiene conto delle 16 donne morte nel frattempo, del rischio di infezioni fatali, del numero impressionante di eventi avversi registrati dalla Food and Drug Administration, l’ente farmacologico degli Usa. Infatti è solo dal 2001, grazie alla stampa americana, che sono emerse alcune scomode e tragiche verità sull’aborto chimico, tra cui l’inquietante rapporto con alcuni rari batteri, come diversi tipi di Clostridium.
C’è, tutto questo, nella documentazione presentata all’Aifa? Quando il professor Garattini dichiara che per il dossier «il rapporto rischi/benefici in merito al farmaco è favorevole», non fornisce l’informazione fondamentale: quel dossier tiene conto delle 16 morti e degli eventi avversi? Presenta studi convincenti sulle infezioni fatali? Traccia un bilancio dell’importante convegno indetto nel 2005 dalla Fda sul Clostridium, proprio a seguito delle morti avvenute negli Usa? E soprattutto: quesiti così importanti per la tutela della salute delle donne italiane, possono essere ignorati o aggirati, sostenendo che l’autorizzazione «è automatica»?
Qualcuno ribatterà che l’Emea, l’ente farmacologico europeo, ha da poco chiuso positivamente una procedura di revisione sulla pillola abortiva. Va detto, però, che l’esame riguardava esclusivamente l’autorizzazione di nuovi dosaggi, cioè un confronto di efficacia tra 200 milligrammi di mifepristone (il principio attivo della Ru486), e i 600 milligrammi abitualmente adoperati. E comunque, nonostante la limitatezza dell’indagine, l’Emea ha chiesto ufficialmente alla Exelgyn di avviare nuovi studi sul rapporto tra mifepristone e infezioni fatali.
Oggi il mondo cattolico celebra la trentesima Giornata per la vita, e la Cei invita a considerare con rispetto «la vita ai suoi esordi, la vita verso il suo epilogo », ma anche a prestare attenzione alle cure palliative, e a difendere la vita «da tutto quello che può metterla a repentaglio ». È un discorso ampio, che si conclude con un grazie ai volontari impegnati nel sostegno alle maternità difficili, alle famiglie che tengono con sé gli anziani, ai rappresentanti delle istituzioni che aiutano e incoraggiano i genitori nel loro compito, a quella parte «seria e responsabile» del Paese che rispetta la vita e la dignità della persona.
La Ru486 banalizza, sul piano sociale e culturale, il ricorso all’aborto, mette a rischio la salute della donna, e la lascia ancora più sola di fronte alla scelta di abortire. Non è, come affermano i suoi sostenitori, «un’opzione in più», ma solo una minaccia in più.
È questo il punto: se le cose stanno come dice il professor Garattini, la documentazione sulla sicurezza della Ru486 è ancora quella che risale al 1989 – anno in cui il governo francese autorizzò l’uso del farmaco – o forse quella presentata dieci anni dopo, quando la pillola abortiva fu introdotta in molti Paesi europei. Una documentazione, quindi, che non tiene conto delle 16 donne morte nel frattempo, del rischio di infezioni fatali, del numero impressionante di eventi avversi registrati dalla Food and Drug Administration, l’ente farmacologico degli Usa. Infatti è solo dal 2001, grazie alla stampa americana, che sono emerse alcune scomode e tragiche verità sull’aborto chimico, tra cui l’inquietante rapporto con alcuni rari batteri, come diversi tipi di Clostridium.
C’è, tutto questo, nella documentazione presentata all’Aifa? Quando il professor Garattini dichiara che per il dossier «il rapporto rischi/benefici in merito al farmaco è favorevole», non fornisce l’informazione fondamentale: quel dossier tiene conto delle 16 morti e degli eventi avversi? Presenta studi convincenti sulle infezioni fatali? Traccia un bilancio dell’importante convegno indetto nel 2005 dalla Fda sul Clostridium, proprio a seguito delle morti avvenute negli Usa? E soprattutto: quesiti così importanti per la tutela della salute delle donne italiane, possono essere ignorati o aggirati, sostenendo che l’autorizzazione «è automatica»?
Qualcuno ribatterà che l’Emea, l’ente farmacologico europeo, ha da poco chiuso positivamente una procedura di revisione sulla pillola abortiva. Va detto, però, che l’esame riguardava esclusivamente l’autorizzazione di nuovi dosaggi, cioè un confronto di efficacia tra 200 milligrammi di mifepristone (il principio attivo della Ru486), e i 600 milligrammi abitualmente adoperati. E comunque, nonostante la limitatezza dell’indagine, l’Emea ha chiesto ufficialmente alla Exelgyn di avviare nuovi studi sul rapporto tra mifepristone e infezioni fatali.
Oggi il mondo cattolico celebra la trentesima Giornata per la vita, e la Cei invita a considerare con rispetto «la vita ai suoi esordi, la vita verso il suo epilogo », ma anche a prestare attenzione alle cure palliative, e a difendere la vita «da tutto quello che può metterla a repentaglio ». È un discorso ampio, che si conclude con un grazie ai volontari impegnati nel sostegno alle maternità difficili, alle famiglie che tengono con sé gli anziani, ai rappresentanti delle istituzioni che aiutano e incoraggiano i genitori nel loro compito, a quella parte «seria e responsabile» del Paese che rispetta la vita e la dignità della persona.
La Ru486 banalizza, sul piano sociale e culturale, il ricorso all’aborto, mette a rischio la salute della donna, e la lascia ancora più sola di fronte alla scelta di abortire. Non è, come affermano i suoi sostenitori, «un’opzione in più», ma solo una minaccia in più.
«Avvenire» del 3 febbraio 2008
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