La pillola, il sesso, l’amore. In famiglia
Di Gian Franco Venè
Di Gian Franco Venè
Mendicare l’assoluzione o «vivere nel peccato»? Usare o no la pillola anticoncezionale? L’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae gettava sulle donne responsabilità e colpa. Ma che ne pensavano i sacerdoti? L’ultimo figlio era nato regolarmente; la donna portava sul viso e nel corpo i segni del recente dolore, ma di un dolore affatto naturale. Tuttavia la donna insisteva nel proposito. «Mio marito», disse al prete, «mi ha fatto un discorso chiaro: d’ora in avanti basta figli. Perché, perché...». Ora il discorso della donna si ingarbugliò e svanì nella confusione. «In altre parole», mi racconta il prete, «il marito vietava alla moglie di avere altri figli in avvenire per non guastarsi la bellezza e per non lasciar prevalere nell’economia familiare il peso affettivo dei figli. C’è un limite nello sviluppo della famiglia, al di là del quale il padre si sente soltanto padre e la madre soltanto madre. Mi capisce?». «Le parole della donna miravano a difendere il proprio fascino e la propria femminilità. E questo su esplicita richiesta del marito». Il marito non ricattò la donna. Non le disse: o prendi la pillola o finisce che ti tradisco. Le disse semplicemente: o prendi la pillola, oppure i nostri rapporti dovranno rarefarsi. Rarefare i rapporti, nella vita familiare, può significare molte cose: può essere l’inizio della freddezza, può essere l’obbedienza al metodo anticoncezionale consigliato da Paolo VI: l’Ogino-Knaus. In teoria, può essere persino santità. Così la donna avvertì su di sé, l’incubo del peccato. Per dieci anni il marito non le aveva mai parlato di controllare le nascite: lei sola s’era amministrata, fidando in Dio. Adesso era calato sopra la sua coscienza qualcosa di assai simile a un ordine. O pecchi coscientemente, o rinunci al tuo essere donna. Il prete che la confessava domandò: «Ma suo marito non si rende conto del male che le fa?». E lei: «Non mi fa del male. Soltanto dice che, senza pillola, non avrà rapporti con me se non nei giorni sicuri». Allora il prete parlò con il marito della donna. Si conoscevano dall’immediato dopoguerra, quando il prete militava tra i ragazzi di un partito di estrema sinistra e l’uomo era iscritto ai baschi verdi dell’Azione cattolica. All’epoca il futuro prete e il futuro marito si tiravano pietre per la strada. Poi, il ragazzo iscritto al partito di sinistra subì una conversione d’ordine più intellettuale che spirituale e a 18 anni entrò in convento. I vecchi nemici si ritrovarono in chiesa. Disse il prete: «In fondo, tu sottoponi tua moglie a un ricatto». E l’uomo: «Niente affatto: le dico che non voglio più figli». E il prete: «Ma tua moglie ha il diritto sia di seguire la legge cattolica, ossia non prendere la pillola, sia di assolvere gli obblighi coniugali». E l’uomo: «Ma la legge cattolica non raccomanda anche l’astinenza? Bene: io ho promesso a mia moglie soltanto l’astinenza». E il prete: «Se tua moglie non fosse in grado di osservare questa astinenza, che le imponi?». E l’uomo: «Se mia moglie vorrà essere una peccatrice, prenda la pillola». «Capisce?», mi domanda adesso il prete, «capisce l’ipocrisia? Quell’uomo, secondo la legge cattolica, non solo non è un peccatore nel suo ricatto, ma appare addirittura come un virtuoso. Eppure io so che un uomo simile impone alla moglie il proprio egoismo». Non può essere vero il contrario? Non può essere che quell’uomo ami sul serio la moglie e tema per lo sfiorire della sua bellezza, oppure per il peso eccessivo delle preoccupazioni familiari? Porto ormai con me una domanda che è al primo posto rispetto alle altre: «Secondo voi, reverendi padri, qual è il motivo umano, razionale, universalmente comprensibile, che possa spiegare il divieto degli anticoncezionali nelle famiglie italiane?». La domanda è ancora qui, sul mio taccuino, senz’ombra di risposta.
«Corriere della Sera» del 31 gennaio 2008
Nessun commento:
Posta un commento