di Michele Brambilla
Un amico mi mostra la circolare inviata dalla scuola di sua figlia Beatrice, quarta liceo: buongiorno, la gita quest’anno si fa a Barcellona, sono 350 euro da martedì a sabato naturalmente pranzi esclusi. Gli rispondo con sufficienza, che cosa vuoi che sia, l’anno scorso il mio è andato a Siviglia e gli euro erano cinquecento. La competizione tra genitori sulle gite dei figli ha ormai preso il posto del confronto tra le automobili.
Sotto sotto, la sfida nasconde però una vera e propria emergenza economica. La gita scolastica si è adeguata agli standard delle vacanze di famiglia: se d’estate il Grand Canyon ha preso il posto di Mirabilandia e se il mare delle Maldive ha soppiantato da un pezzo il Tirreno e l’Adriatico, anche gli studenti debbono stare al passo. L’altro giorno un assessore del Comune di Venezia ha chiesto una moratoria sulle gite perché i piccoli vandali fanno più danni degli hooligans, ma non si rende conto che il fenomeno è in via di estinzione, tra un po’ Venezia non se la filerà più nessuno.
Ripenso a com’era una volta. In un memorabile film di una quindicina di anni fa, Pupi Avati raccontò la gita scolastica per eccellenza dei ragazzi di Bologna: si andava a Firenze a piedi per un sentiero tra gli Appennini, ci volevano tre giorni, poi si tornava a casa con il treno. La mamma di un collega, che è di Bologna, mi assicura che quell’avventura è stata in vigore fino agli anni Cinquanta.
Anche il ricordo delle gite dei miei tempi suscita un mix di nostalgia e tenerezza. La prima escursione era immancabilmente ai giardini zoologici di via Manin a Milano. Poi, alle medie, il colpo di vita a Firenze con il pullman e alle superiori la settimana bianca a Bormio. Anche le trasgressioni erano quelle che erano. Il massimo era chiudersi tutti, maschi e femmine, nella stessa camera d’albergo per una battaglia a colpi di cuscino senza esclusione di colpi. Adesso è già tanto se escono, i ragazzi, dalle camere d’albergo.
La notizia della gita scolastica getta i genitori nel panico sia per la spesa sia per l’annunciata irreperibilità dei ragazzi. Ai nostri tempi avevamo il gettone telefonico per chiamare non oltre le ventidue. Adesso siamo noi a chiamarli sul cellulare, più e meno verso le quattro del mattino quando si suppone che stiano cominciando a prendere in considerazione l’ipotesi di un eventuale ritorno dalla discoteca, ma la risposta è scontata: Vodafone messaggio gratuito.
Anche per i professori l’avvicinarsi della gita scolastica intensifica gli incubi notturni. Nessuno ha voglia di prendersi in custodia ragazzi che non hanno più alcuno sfizio da togliersi: altro che la battaglia con i cuscini, per trasgredire la tentazione è una rapina a mano armata.
Resta dunque da chiedersi chi abbia ancora interesse, alla sopravvivenza delle gite scolastiche. Per i genitori, lo abbiamo detto, è un uppercut al bilancio familiare (Veltroni e Berlusconi dovrebbero promettere un bonus-gita, altro che il bonus-bebè). Le città scelte come mete preferirebbero un’alluvione. Dei professori s’è appena detto. E i ragazzi? Una volta la gita scolastica era la prima occasione per poter finalmente sperare in un po’ di privacy con la biondina della terza B: ma adesso, prima ancora di diventare maggiorenni hanno già fatto una mezza dozzina di viaggi di nozze senza nozze. Quando tornano dalle gite, il commento più frequente è «cheppalle». E allora, perché non abolirle?
Sotto sotto, la sfida nasconde però una vera e propria emergenza economica. La gita scolastica si è adeguata agli standard delle vacanze di famiglia: se d’estate il Grand Canyon ha preso il posto di Mirabilandia e se il mare delle Maldive ha soppiantato da un pezzo il Tirreno e l’Adriatico, anche gli studenti debbono stare al passo. L’altro giorno un assessore del Comune di Venezia ha chiesto una moratoria sulle gite perché i piccoli vandali fanno più danni degli hooligans, ma non si rende conto che il fenomeno è in via di estinzione, tra un po’ Venezia non se la filerà più nessuno.
Ripenso a com’era una volta. In un memorabile film di una quindicina di anni fa, Pupi Avati raccontò la gita scolastica per eccellenza dei ragazzi di Bologna: si andava a Firenze a piedi per un sentiero tra gli Appennini, ci volevano tre giorni, poi si tornava a casa con il treno. La mamma di un collega, che è di Bologna, mi assicura che quell’avventura è stata in vigore fino agli anni Cinquanta.
Anche il ricordo delle gite dei miei tempi suscita un mix di nostalgia e tenerezza. La prima escursione era immancabilmente ai giardini zoologici di via Manin a Milano. Poi, alle medie, il colpo di vita a Firenze con il pullman e alle superiori la settimana bianca a Bormio. Anche le trasgressioni erano quelle che erano. Il massimo era chiudersi tutti, maschi e femmine, nella stessa camera d’albergo per una battaglia a colpi di cuscino senza esclusione di colpi. Adesso è già tanto se escono, i ragazzi, dalle camere d’albergo.
La notizia della gita scolastica getta i genitori nel panico sia per la spesa sia per l’annunciata irreperibilità dei ragazzi. Ai nostri tempi avevamo il gettone telefonico per chiamare non oltre le ventidue. Adesso siamo noi a chiamarli sul cellulare, più e meno verso le quattro del mattino quando si suppone che stiano cominciando a prendere in considerazione l’ipotesi di un eventuale ritorno dalla discoteca, ma la risposta è scontata: Vodafone messaggio gratuito.
Anche per i professori l’avvicinarsi della gita scolastica intensifica gli incubi notturni. Nessuno ha voglia di prendersi in custodia ragazzi che non hanno più alcuno sfizio da togliersi: altro che la battaglia con i cuscini, per trasgredire la tentazione è una rapina a mano armata.
Resta dunque da chiedersi chi abbia ancora interesse, alla sopravvivenza delle gite scolastiche. Per i genitori, lo abbiamo detto, è un uppercut al bilancio familiare (Veltroni e Berlusconi dovrebbero promettere un bonus-gita, altro che il bonus-bebè). Le città scelte come mete preferirebbero un’alluvione. Dei professori s’è appena detto. E i ragazzi? Una volta la gita scolastica era la prima occasione per poter finalmente sperare in un po’ di privacy con la biondina della terza B: ma adesso, prima ancora di diventare maggiorenni hanno già fatto una mezza dozzina di viaggi di nozze senza nozze. Quando tornano dalle gite, il commento più frequente è «cheppalle». E allora, perché non abolirle?
«Il Giornale» del 16 marzo 2008
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