di Mario A. Iannaccone
Giordano Bruno considerava la religione uno spettacolo pirotecnico grazie al quale il popolo viene asservito, e le negava ogni potere salvifico, ma non ne chiedeva l’abolizione o il silenzio; progettava la sua riduzione all’utilità sociale, per farne una forza capace di creare concordia. Nella sua visione, essa poteva esprimersi in cerimonie e riti, a patto che non limitasse la libertà di filosofare.
Al tempo in cui il nolano visse, però, questo quadro era ancora impensabile, la religione interveniva in ogni aspetto della vita civile e sociale. L’aspra polemica anticristiana di Bruno aveva un senso quando la Chiesa aveva un potere notevole, che non sempre usava bene; quando le confessioni protestanti producevano teocrazie e le guerre di religione infiammavano l’Europa. Ma è possibile e lecito usare quelle polemiche, e il messaggio del nolano, per rafforzare attuali posizioni laiciste? Come è noto, la tentazione è continua e si rinnova ad ogni tappa degli studi bruniani. Nel dibattito su religione e laicità si è inserito negli ultimi mesi il libro di Nuccio Ordine Contro il Vangelo armato (Raffaello Cortina, pagine 380, euro 28,00), che scopre nessi interessanti fra questo pensatore e l’ambiente letterario dei suoi anni ma non interviene nell’oggi, al contrario di quanto hanno lasciato intendere certi recensori più per la suggestione operata dal titolo che per i suoi contenuti, i quali sono scientifici e non polemici.
Alcune recensioni, appunto, hanno stabilito paragoni fra l’ingerenza massiccia della Chiesa nella vita politica del Cinquecento e quella della Chiesa italiana ai giorni nostri.
Nei mesi scorsi, lo stesso Ordine si è prestato volentieri a queste interpretazioni nelle occasioni di presentazione della sua opera. Si tratta di un paragone assurdo e per nulla fondato. Del resto, il cattolicesimo moderno non può essere accusato di propugnare 'vangeli armati', né è impegnato in lotte di religione. Durante l’ultimo secolo tutti i pontefici, sino a Benedetto XVI, hanno parlato molto chiaro sulle 'inutili stragi'. Altra cosa è la difesa del contenuto non negozionabile del cristianesimo, che è il suo messaggio centrale.
È però strano che gli stessi che celebrano le idee di Bruno sulla religione civile non si rendano conto della contraddizione cui vanno incontro: se una religione dev’essere cemento della società, come si augurava il nolano, allora deve essere visibile, combattiva. Una religione civile si fa con cerimonie e battaglie d’idee.
Essa deve far conoscere la propria opinione ed entrare anche nel campo dell’etica, luogo in cui la 'civile conversazione' – il termine è di Bruno – si esprime al massimo.
Quale concordia sociale potrebbe derivare da una società nella quale l’etica non sia al centro delle discussioni? Per questo l’idea di religione civile di Giordano Bruno pare del tutto inapplicabile alle ragioni del laicismo contemporaneo a meno di non ricorrere ai sofismi che, per lo stesso filosofo, sono manifestazioni di 'asininità'.
Un buon saggio di Nuccio Ordine sul filosofo nolano diventa, nelle mani dell’attuale polemica anticlericale, un’arma contro la Chiesa. Ma che senso ha, storicamente, identificare l’oggi con il ’500?
Al tempo in cui il nolano visse, però, questo quadro era ancora impensabile, la religione interveniva in ogni aspetto della vita civile e sociale. L’aspra polemica anticristiana di Bruno aveva un senso quando la Chiesa aveva un potere notevole, che non sempre usava bene; quando le confessioni protestanti producevano teocrazie e le guerre di religione infiammavano l’Europa. Ma è possibile e lecito usare quelle polemiche, e il messaggio del nolano, per rafforzare attuali posizioni laiciste? Come è noto, la tentazione è continua e si rinnova ad ogni tappa degli studi bruniani. Nel dibattito su religione e laicità si è inserito negli ultimi mesi il libro di Nuccio Ordine Contro il Vangelo armato (Raffaello Cortina, pagine 380, euro 28,00), che scopre nessi interessanti fra questo pensatore e l’ambiente letterario dei suoi anni ma non interviene nell’oggi, al contrario di quanto hanno lasciato intendere certi recensori più per la suggestione operata dal titolo che per i suoi contenuti, i quali sono scientifici e non polemici.
Alcune recensioni, appunto, hanno stabilito paragoni fra l’ingerenza massiccia della Chiesa nella vita politica del Cinquecento e quella della Chiesa italiana ai giorni nostri.
Nei mesi scorsi, lo stesso Ordine si è prestato volentieri a queste interpretazioni nelle occasioni di presentazione della sua opera. Si tratta di un paragone assurdo e per nulla fondato. Del resto, il cattolicesimo moderno non può essere accusato di propugnare 'vangeli armati', né è impegnato in lotte di religione. Durante l’ultimo secolo tutti i pontefici, sino a Benedetto XVI, hanno parlato molto chiaro sulle 'inutili stragi'. Altra cosa è la difesa del contenuto non negozionabile del cristianesimo, che è il suo messaggio centrale.
È però strano che gli stessi che celebrano le idee di Bruno sulla religione civile non si rendano conto della contraddizione cui vanno incontro: se una religione dev’essere cemento della società, come si augurava il nolano, allora deve essere visibile, combattiva. Una religione civile si fa con cerimonie e battaglie d’idee.
Essa deve far conoscere la propria opinione ed entrare anche nel campo dell’etica, luogo in cui la 'civile conversazione' – il termine è di Bruno – si esprime al massimo.
Quale concordia sociale potrebbe derivare da una società nella quale l’etica non sia al centro delle discussioni? Per questo l’idea di religione civile di Giordano Bruno pare del tutto inapplicabile alle ragioni del laicismo contemporaneo a meno di non ricorrere ai sofismi che, per lo stesso filosofo, sono manifestazioni di 'asininità'.
Un buon saggio di Nuccio Ordine sul filosofo nolano diventa, nelle mani dell’attuale polemica anticlericale, un’arma contro la Chiesa. Ma che senso ha, storicamente, identificare l’oggi con il ’500?
«Avvenire» del 7 marzo 2008
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