di Paolo Viana
«Rispetta, difendi, ama e servi la vita umana. Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità ». Sono concetti semplici. Al punto che si potrebbero definire, senza con ciò banalizzarli, parole di buon senso. Non stupisce, allora, che su questo terreno molti laici si siano trovati d’accordo.
E poco importa che a vergare questi pensieri sia stato un cattolico, anzi un Papa. Non dipende, infatti, dall’autorevolezza morale di Giovanni Paolo II se Norberto Bobbio ha stigmatizzato «che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere ». Non è stato il suo richiamo a indurre Antonio Baldassarre, ex presidente della Corte Costituzionale, a scrivere che «l’aborto non si può considerare un valore costituzionale». Si può dire lo stesso per il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che ha chiesto - da laico ai laici - una moratoria contro l’aborto come atto di coerenza, dopo aver combattuto contro la pena di morte.
Attraverso la penna di Ferrara, la questione dell’aborto è diventata la pietra filosofale del dibattito politico recente, il punto d’incontro tra coloro che – lo si pensava di laici e cattolici – mai e poi mai avrebbero potuto incontrarsi sulle questioni etiche, ma anche lo spartiacque tra laici e laicisti, che la cronaca aveva abituato a confondere. Invece, per quanti governi cambino e per quanto avanti si spinga la ricerca scientifica, la stessa eco che risuona nell’Evangelium vitae, da cui è tratto l’appello iniziale, in questo trentennio si è riverberata ben oltre i confini del mondo cattolico. Magari partendo da una preoccupazione politica – già si è detto di Bobbio, ma anche Ferdinando Adornato definisce «la difesa della vita un impegno inequivocabile di tutti, laici e cattolici» - , il dialogo sulla difesa della persona nascente si è fatto strada, anche grazie ai «ponti » gettati dal Movimento per la vita. «Per noi – spiega il vicepresidente Gianni Mussini – laicità e cristianesimo non sono antitetici ma complementari e la difesa della vita non necessita di per sé l’apporto della fede: riguarda prima di tutto dati che si possono esaminare e discutere secondo un approccio razionale e scientifico». Lo stesso di Markkus Seppala, ex presidente della Federazione internazionale di ostetricia, che ci regala quest’affresco sui primi attimi di vita: «Subito dopo la fecondazione, l’embrione manifesta funzioni vitali. Si tratta di ’messaggi’ che vengono indirizzati all’endometrio attraverso le cellule della membrana esterna. L’embrione prima di impiantarsi dialoga con l’endometrio producendo alcune proteine. È come se chiedesse alla parete uterina di predisporre tutto il necessario per accoglierlo». La pensa così anche il professor Angelo Vescovi, del San Raffaele di Milano, secondo cui «non vi è alcun dubbio che l’atto della fecondazione è il momento in cui viene a crearsi quell’entità biologica, che contiene il patrimonio genetico di quell’essere che poi sarà Carlo, Mario, Luigi».
In questo trentennio, l’eco della vita è risuonato anche nel mondo letterario. Dalla Fallaci alla Merini, fino ad arrivare a Claudio Magris. È lui ad attestare che «la cultura – anche quella cattolica – è sempre laica». Lo scrittore triestino è tutt’altro che un integralista. Per lui, «tutti debbono poter disporre liberamente del proprio corpo e del proprio destino, pur di non nuocere a terzi. Quando un bambino viene concepito non si possono ignorare i suoi diritti, ma non si può neppure lasciare la madre o la coppia sole con i problemi. In presenza di difficoltà, la società stessa ha il dovere della solidarietà».
Il dialogo tra le culture che reagiscono al nichilismo contemporaneo non vola dunque così alto da non confrontarsi con il problema degli 'strumenti' che rendono concretamente possibile la difesa della vita, a partire, ovviamente, dalla legge 194. Vola, tuttavia, abbastanza alto da proiettare la questione dell’aborto entro una prospettiva più ampia, nella quale le preoccupazioni bioetiche di laici e cattolici tornano ad intrecciarsi. Uno scienziato ebreo come Giorgio Israel le focalizza così: «Non mi dicano che l’eugenetica non è indissolubilmente legata ad una selezione di tipo razziale, perché non è vero. Se non lo vogliono chiamare nazismo, dobbiamo dire però che è razzismo. Un pericolo per tutti. E quindi anche per noi ebrei».
E poco importa che a vergare questi pensieri sia stato un cattolico, anzi un Papa. Non dipende, infatti, dall’autorevolezza morale di Giovanni Paolo II se Norberto Bobbio ha stigmatizzato «che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere ». Non è stato il suo richiamo a indurre Antonio Baldassarre, ex presidente della Corte Costituzionale, a scrivere che «l’aborto non si può considerare un valore costituzionale». Si può dire lo stesso per il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che ha chiesto - da laico ai laici - una moratoria contro l’aborto come atto di coerenza, dopo aver combattuto contro la pena di morte.
Attraverso la penna di Ferrara, la questione dell’aborto è diventata la pietra filosofale del dibattito politico recente, il punto d’incontro tra coloro che – lo si pensava di laici e cattolici – mai e poi mai avrebbero potuto incontrarsi sulle questioni etiche, ma anche lo spartiacque tra laici e laicisti, che la cronaca aveva abituato a confondere. Invece, per quanti governi cambino e per quanto avanti si spinga la ricerca scientifica, la stessa eco che risuona nell’Evangelium vitae, da cui è tratto l’appello iniziale, in questo trentennio si è riverberata ben oltre i confini del mondo cattolico. Magari partendo da una preoccupazione politica – già si è detto di Bobbio, ma anche Ferdinando Adornato definisce «la difesa della vita un impegno inequivocabile di tutti, laici e cattolici» - , il dialogo sulla difesa della persona nascente si è fatto strada, anche grazie ai «ponti » gettati dal Movimento per la vita. «Per noi – spiega il vicepresidente Gianni Mussini – laicità e cristianesimo non sono antitetici ma complementari e la difesa della vita non necessita di per sé l’apporto della fede: riguarda prima di tutto dati che si possono esaminare e discutere secondo un approccio razionale e scientifico». Lo stesso di Markkus Seppala, ex presidente della Federazione internazionale di ostetricia, che ci regala quest’affresco sui primi attimi di vita: «Subito dopo la fecondazione, l’embrione manifesta funzioni vitali. Si tratta di ’messaggi’ che vengono indirizzati all’endometrio attraverso le cellule della membrana esterna. L’embrione prima di impiantarsi dialoga con l’endometrio producendo alcune proteine. È come se chiedesse alla parete uterina di predisporre tutto il necessario per accoglierlo». La pensa così anche il professor Angelo Vescovi, del San Raffaele di Milano, secondo cui «non vi è alcun dubbio che l’atto della fecondazione è il momento in cui viene a crearsi quell’entità biologica, che contiene il patrimonio genetico di quell’essere che poi sarà Carlo, Mario, Luigi».
In questo trentennio, l’eco della vita è risuonato anche nel mondo letterario. Dalla Fallaci alla Merini, fino ad arrivare a Claudio Magris. È lui ad attestare che «la cultura – anche quella cattolica – è sempre laica». Lo scrittore triestino è tutt’altro che un integralista. Per lui, «tutti debbono poter disporre liberamente del proprio corpo e del proprio destino, pur di non nuocere a terzi. Quando un bambino viene concepito non si possono ignorare i suoi diritti, ma non si può neppure lasciare la madre o la coppia sole con i problemi. In presenza di difficoltà, la società stessa ha il dovere della solidarietà».
Il dialogo tra le culture che reagiscono al nichilismo contemporaneo non vola dunque così alto da non confrontarsi con il problema degli 'strumenti' che rendono concretamente possibile la difesa della vita, a partire, ovviamente, dalla legge 194. Vola, tuttavia, abbastanza alto da proiettare la questione dell’aborto entro una prospettiva più ampia, nella quale le preoccupazioni bioetiche di laici e cattolici tornano ad intrecciarsi. Uno scienziato ebreo come Giorgio Israel le focalizza così: «Non mi dicano che l’eugenetica non è indissolubilmente legata ad una selezione di tipo razziale, perché non è vero. Se non lo vogliono chiamare nazismo, dobbiamo dire però che è razzismo. Un pericolo per tutti. E quindi anche per noi ebrei».
«Avvenire» del 3 febbraio 2008
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