Impossibile risultato senza prevenzione
di Gian carlo Blangiardo
di Gian carlo Blangiardo
La legge 194 ha realmente dimezzato il numero di aborti? Alcuni lo affermano, molti lo pensano. D’altra parte, perché stupirci se una norma – che la recente relazione ministeriale segnala essere «non solo efficace, ma saggia e lungimirante. profondamente rispettosa dei principi etici della tutela della salute della donna e della responsabilità femminile rispetto alla procreazione» così come «dei valori sociali della maternità e del valore della vita umana dal suo inizio» – viene poi largamente interpretata come artefice del ridimensionamento che ha portato le interruzioni volontarie di gravidanza da quasi 250mila nei primi anni Ottanta a circa 140mila secondo l’ultimo dato disponibile?
Eppure non è difficile rendersi conto che alla causa ipotizzata (la legge 194) non può essere ricondotto alcun effetto di riduzione delle Ivg, semplicemente perché rispetto agli anni in cui il ricorso all’aborto volontario era ai massimi livelli nulla è cambiato sul piano normativo. Sarebbe plausibile attribuire alla 194 il merito di aver ridotto gli aborti, solo se con il passare degli anni dalla sua entrata in vigore le si potesse accreditare una qualche azione di prevenzione. Ma chi si sentirebbe oggi di affermare onestamente che è proprio grazie alla legge 194 che si sono potute prevenire più di 100mila Ivg annue? Negli ultimi 30 anni, le donne hanno forse trovato attraverso la legge 194 la soluzione ai problemi di varia natura che suggerivano loro di interrompere una gravidanza? No di certo.
Così come non hanno trovato nell’applicazione della legge alcuna azione di disincentivo o di contrasto. È innegabile che l’offerta e il quadro entro cui avvalersi della 194 non si è affatto modificato nel tempo in senso restrittivo. Anzi, si potrebbe legittimamente affermare che una decisione che i primi anni scontava ancora qualche resistenza di ordine morale e culturale, a lungo andare viene ormai percepita, per quanto difficile e dolorosa, come 'normale'.
Soprattutto da parte di chi – si pensi alle meno che trentenni – ha sempre convissuto con l’attuale normativa. Non è dunque la «saggia e lungimirante» legge 194 che ha modificato la realtà delle statistiche sull’aborto volontario. Se una riduzione c’è stata e se è stata di quelle dimensioni – il dubbio è legittimo, posto che oggi è certamente più agevole «risolvere i problemi» con tecniche che sfuggono alla rilevazione statistica e quindi al relativo conteggio – il merito non va certo attribuito alla 194, che proprio sul piano della prevenzione ha dimostrato la sua assoluta inefficacia: è semplicemente la domanda di Ivg che, nonostante il crescente contributo delle donne straniere (comunque ancora relativamente modesto), si è ridotta.
Verosimilmente, a seguito di una contraccezione più diffusa, così come della comparsa di metodiche di intervento – si pensi alla pillola del giorno dopo – che non esistevano negli anni Ottanta e, in positivo, anche delle crescenti iniziative del volontariato pro-life che si è prodigato nell’aiutare a risolvere i problemi che inducono ad abortire. Smettiamola di credere, e di proclamare, che la legge 194 abbia meriti per gli oltre 100mila casi che mancano alla conta rispetto a trent’anni fa. Semmai, ricordiamoci delle sue responsabilità per i 140mila che ancora oggi avvengono.
Eppure non è difficile rendersi conto che alla causa ipotizzata (la legge 194) non può essere ricondotto alcun effetto di riduzione delle Ivg, semplicemente perché rispetto agli anni in cui il ricorso all’aborto volontario era ai massimi livelli nulla è cambiato sul piano normativo. Sarebbe plausibile attribuire alla 194 il merito di aver ridotto gli aborti, solo se con il passare degli anni dalla sua entrata in vigore le si potesse accreditare una qualche azione di prevenzione. Ma chi si sentirebbe oggi di affermare onestamente che è proprio grazie alla legge 194 che si sono potute prevenire più di 100mila Ivg annue? Negli ultimi 30 anni, le donne hanno forse trovato attraverso la legge 194 la soluzione ai problemi di varia natura che suggerivano loro di interrompere una gravidanza? No di certo.
Così come non hanno trovato nell’applicazione della legge alcuna azione di disincentivo o di contrasto. È innegabile che l’offerta e il quadro entro cui avvalersi della 194 non si è affatto modificato nel tempo in senso restrittivo. Anzi, si potrebbe legittimamente affermare che una decisione che i primi anni scontava ancora qualche resistenza di ordine morale e culturale, a lungo andare viene ormai percepita, per quanto difficile e dolorosa, come 'normale'.
Soprattutto da parte di chi – si pensi alle meno che trentenni – ha sempre convissuto con l’attuale normativa. Non è dunque la «saggia e lungimirante» legge 194 che ha modificato la realtà delle statistiche sull’aborto volontario. Se una riduzione c’è stata e se è stata di quelle dimensioni – il dubbio è legittimo, posto che oggi è certamente più agevole «risolvere i problemi» con tecniche che sfuggono alla rilevazione statistica e quindi al relativo conteggio – il merito non va certo attribuito alla 194, che proprio sul piano della prevenzione ha dimostrato la sua assoluta inefficacia: è semplicemente la domanda di Ivg che, nonostante il crescente contributo delle donne straniere (comunque ancora relativamente modesto), si è ridotta.
Verosimilmente, a seguito di una contraccezione più diffusa, così come della comparsa di metodiche di intervento – si pensi alla pillola del giorno dopo – che non esistevano negli anni Ottanta e, in positivo, anche delle crescenti iniziative del volontariato pro-life che si è prodigato nell’aiutare a risolvere i problemi che inducono ad abortire. Smettiamola di credere, e di proclamare, che la legge 194 abbia meriti per gli oltre 100mila casi che mancano alla conta rispetto a trent’anni fa. Semmai, ricordiamoci delle sue responsabilità per i 140mila che ancora oggi avvengono.
«Avvenire» del 16 febbraio 2008
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