La morte di Boldrini Capo partigiano, fu lo storico leader dell’Anpi
di Antonio Carioti
di Antonio Carioti
Aveva appena compiuto 28 anni Arrigo Boldrini, l’8 settembre 1943. Alla notizia dell’armistizio concluso dal governo Badoglio con gli angloamericani, si recò in piazza a Ravenna e si rivolse ai tanti concittadini presenti, esortandoli a combattere contro i tedeschi. Quindi diede l’esempio: si unì ai primi gruppi di antifascisti organizzati dal contadino Mario Gordini, poi fucilato dal nemico nel gennaio 1944, e si tuffò nella lotta armata con lo pseudonimo di Bulow, dal nome di un generale prussiano delle guerre napoleoniche. Cominciava così la leggenda del più prestigioso comandante militare della Resistenza, scomparso ieri a Ravenna, dove era nato il 6 settembre 1915. Già tenente dell’esercito regio in Jugoslavia, nell’autunno del 1943 Boldrini aveva una certa esperienza bellica, ma soprattutto dimostrò subito un notevole talento militare, che lo portò ben presto ad assumere, quasi dal nulla, un ruolo di primo piano. Il suo reparto, la XXVIII Brigata Garibaldi intitolata a Gordini, riuscì a condurre la guerriglia con grande efficacia in una provincia priva di montagne. E fu poi il comandante Bulow, nel dicembre 1944, a ideare e proporre ai britannici il piano operativo dell’offensiva che segnò la liberazione di Ravenna. Nonostante fosse comunista, gli alleati si fidarono di lui e la cosiddetta «battaglia delle valli», in cui le forze partigiane ebbero un ruolo primario, si concluse vittoriosamente, con la ritirata dei tedeschi e l’ingresso delle truppe canadesi nella città romagnola. Grazie a quel brillante successo, Boldrini ottenne l’inquadramento dei suoi uomini nelle forze alleate, che proseguivano l’avanzata verso il Veneto, e si guadagnò la medaglia d’oro al valor militare, che gli venne conferita a Ravenna il 4 febbraio 1945 dal comandante dell’VIII Armata britannica, generale Richard McCreery. Deputato alla Costituente, quindi eletto regolarmente alla Camera e al Senato nelle liste comuniste e poi del Pds fino al 1994, Boldrini fu a lungo il leader dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) e fino all’ultimo ne è stato il presidente onorario. I suoi appunti della guerra di Liberazione furono pubblicati nel volume Il diario di Bulow (Vangelista), mentre una sua testimonianza per il cinquantesimo della Repubblica venne raccolta nel 1996 da Cesare De Simone nel libro Gli anni di Bulow (Mursia). Boldrini fu anche in prima fila nella battaglia contro il terrorismo, soprattutto attraverso il dialogo con i giovani. E si distinse sempre per la strenua difesa della Resistenza contro le accuse che le venivano mosse. Alcuni cercarono di addebitargli la responsabilità delle esecuzioni sommarie di fascisti compiute da partigiani a Codevigo, in provincia di Padova, nel maggio del 1945, ma tutti i tentativi di coinvolgerlo in quella vicenda sfociarono nel nulla. Comunista convinto, Boldrini era tuttavia aperto al dialogo con persone di altro orientamento ed è nota la sua amicizia con il conterraneo Benigno Zaccagnini, segretario della Democrazia cristiana dal 1975 al 1980, anch’egli partigiano combattente. Oggi a piangere Bulow sono però, a parte le cariche istituzionali, quasi esclusivamente esponenti del centrosinistra, a cominciare dal segretario del Pd Walter Veltroni, che lo definisce «un pezzo dell’Italia migliore». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rende omaggio all’«amico sincero, dal tratto umano sensibile e aperto». Il capo del governo Romano Prodi sostiene che l’interesse di Boldrini «per la libertà di tutti sarà di sicuro esempio per le future generazioni» e il presidente del Senato Franco Marini lo elogia come «protagonista indiscusso della rinascita democratica», mentre il presidente della Camera Fausto Bertinotti ne richiama «la grande dedizione nella diffusione dei valori fondanti della Repubblica». Poche le voci estranee all’Unione. L’ex capo dello Stato Francesco Cossiga ricorda Bulow come «un patriota, un grande partigiano, comunista democratico», mentre nel centrodestra esprime cordoglio il presidente della Lombardia Roberto Formigoni.
«Era un comandante straordinario e i suoi uomini lo adoravano»: nel ricordare Boldrini, lo storico militare Giorgio Rochat ne sottolinea la capacità di leadership. «È rimasto famoso - continua - ciò che accadde quando il principe Umberto andò a visitare il gruppo di combattimento Cremona, cui si era unita la XXVIII Brigata Garibaldi guidata da Bulow. I soldati regolari fischiarono il futuro monarca, mentre i partigiani comunisti gli resero impeccabili onori militari. "Dissi che se qualcuno lo avesse contestato gli avrei sparato", raccontò Boldrini. Ma non c’era bisogno di minacce, perché gli avrebbero obbedito comunque. Del resto seppe farsi ascoltare anche dai militari inglesi, che accettarono di seguire il suo piano per la liberazione di Ravenna, mentre di solito snobbavano i capi partigiani».
«Era un comandante straordinario e i suoi uomini lo adoravano»: nel ricordare Boldrini, lo storico militare Giorgio Rochat ne sottolinea la capacità di leadership. «È rimasto famoso - continua - ciò che accadde quando il principe Umberto andò a visitare il gruppo di combattimento Cremona, cui si era unita la XXVIII Brigata Garibaldi guidata da Bulow. I soldati regolari fischiarono il futuro monarca, mentre i partigiani comunisti gli resero impeccabili onori militari. "Dissi che se qualcuno lo avesse contestato gli avrei sparato", raccontò Boldrini. Ma non c’era bisogno di minacce, perché gli avrebbero obbedito comunque. Del resto seppe farsi ascoltare anche dai militari inglesi, che accettarono di seguire il suo piano per la liberazione di Ravenna, mentre di solito snobbavano i capi partigiani».
«Corriere della Sera» del 23 gennaio 2008
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