Elogio del magnate incontentabile
di Giulio Giorello
di Giulio Giorello
Più amaro e caustico dei grandi avari della letteratura
«Un capitalista di carattere, finalmente!». Era il fatidico Sessantotto: con queste parole, nella prefazione di un Oscar Mondadori dedicato a Vita e dollari di Paperon de’Paperoni, Dino Buzzati salutava il papero più ricco del mondo (nell’originale Uncle Scrooge McDuck), creato dalla fantasia di Carl Barks. Il magnate di Paperopoli aveva fatto la sua prima comparsa nel 1947, in una storia che nella versione americana doveva svolgersi a Natale, «questa stupida giornata in cui ognuno ama il suo prossimo!». Più amaro e caustico dei grandi avari della letteratura, Paperon de’Paperoni dichiarava, testardo e orgoglioso: «Io sono diverso: tutti mi odiano e io odio tutti!». Curvo sotto il peso degli anni, in ghette e palandrana, confessava subito dopo: «Io non sono mai allegro!». Avrebbe voluto, forse, voler bene al nipote Paperino, ma solo «se fosse un bravo ragazzo e per bravo intendo coraggioso... e lui ha paura perfino della propria ombra». Lo metterà alla prova in quel Natale sul Monte Orso in cui cercherà di spaventarlo travestendosi da feroce plantigrado. Ma il destino befferà chi ha macchinato lo scherzo crudele. È proprio il caso di dire, come vuole il proverbio, di fare attenzione alla pelle dell’orso! Alla comparsa di belve in carne e ossa, il nipote fifone sarà quello che ci farà la miglior figura. Ma la commedia degli equivoci su quella scena montana segnerà l’inizio di un lungo sodalizio tra il vecchio zio e gli altri componenti della famiglia dei Paperi. Apprenderemo via via che Paperon de’Paperoni è l’ultimo discendente dell’«intrepido» clan dei McDuck, che è passato per tutte le traversie della Scozia, dalle insurrezioni giacobite fino al coinvolgimento nella guerra anglo-boera. «Più duro dei duri», l’emigrato Paperone ha realizzato il sogno della frontiera americana: dalla prima, piccola moneta guadagnata con il sudore della fronte ai «tre ettari cubici di dollari» stipati nel deposito sulla collina che domina la città: è stato cercatore d’oro in Alaska, cowboy nel selvaggio West, commerciante di spezie nelle Indie, incettatore di diamanti in Africa - e abbiamo il sospetto che sia stato anche pirata e fuorilegge. Qualche volta i fantasmi che emergono dal suo passato vengono a bussare alla sua porta, implacabili; in altri casi Paperone non esita a sfidare in «gare di ricchezza» non solo i suoi concorrenti di questo mondo, ma addirittura i più strani tipi di ricconi disseminati nell’intera Galassia. Qualche altra volta, invece, i suoi crucci vengono dagli snob, che lo ritengono ancora troppo plebeo per ammetterlo nei salotti buoni di Paperopoli, o da dame caritatevoli che attentano al suo patrimonio. E non è ancora finita, basti pensare ai terribili Beagle Boys (da noi la Banda dei Segugi, diventata poi la Banda Bassotti): straordinaria compagine di detenuti modello e delinquenti ostinati, che rappresentano in Barks il corrispettivo anarchico della «Legge e Ordine» incarnata dai Paperi. (E tali resteranno anche nelle storie italiane, come dimostra questo scambio di battute: «Passami il capo!» chiede per telefono ai Bassotti il miliardario Rockerduck, deciso, una volta per tutte, a umiliare il rivale. Risposta del bandito con la mascherina, che si distingue dai confratelli solo per il numero di matricola: «Quale capo? Nessun Bassotto è così stolto da lasciarsi comandare!».) Altro che odioso avaraccio! Nel corso del tempo è cambiato il mondo, e Barks ha fatto cambiare Paperone con lui. Il «vecchio taccagno» ha acquistato l’inseparabile cilindro ed è quasi ringiovanito, temprandosi attraverso le disgrazie, alternando profitti e perdite, rivelando persino i suoi amori. Passionale e razionale a un tempo, non è affatto uno di quei tipi paurosi e avidi che si limitano a celare i propri averi per contemplarli di nascosto. Invece, Paperone è convinto che il denaro debba far funzionare tutte le strutture della società civile, dal commercio al divertimento: «Pozzi di petrolio, ferrovie, miniere, fattorie, fabbriche, navi, cinematografi...», ripete a se stesso ogni mattina, mentre fa la «doccia di monete». Ha capito che il perseguimento del proprio successo può rivelarsi fonte di utilità per tutti i suoi concittadini. Così diventa un filosofo - almeno, se aveva ragione il poeta Novalis quando diceva che «la filosofia muove ogni cosa». Di certo, noi non siamo tra quelli che odiano «il Vecchio Cilindro», anzi! E sospettiamo che inizialmente Paperone non sia felice solo perché ciò che ha compiuto non gli basta. «La vita comincia a diventare noiosa! Vado in giro a vedere se esiste qualcosa di nuovo che mi possa interessare». Per fortuna ci sono dei paperi - e dei capitalisti - fatti così, che non cedono al sentimentalismo, ma hanno dei sentimenti, e sono comunque di quel tipo d’uomo (o di papero) che non si arrende mai.
«Corriere della Sera» del 27 gennaio 2008
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