A Roma una mostra e un convegno fanno il punto sull’archivio dell’Inquisizione, a dieci anni dall’apertura voluta da Ratzinger. E si vede come la «leggenda nera» sia in gran parte un’esagerazione
di Franco Cardini
Siamo alle solite. Stupisce doversi di continuo stupire, ma purtroppo è così: e bisogna aver pazienza. Alcuni anni or sono, dinanzi al dilatarsi e al potenziarsi dei mass media, eravamo in molti a credere e soprattutto a sperare che la televisione e l’informatica avrebbero aiutato la società civile a raggiungere un più alto livello di cultura diffusa. È accaduto invece, a livello culturale, quel che accade in economia, dove vige la legge secondo al quale la moneta cattiva caccia quella buona. La cultura mediatica è finita in una malinconica palude nella quale galleggiano piramidi egizie, santi graal, cavalieri templari e nazisti esoterici: poco d’altro, e quasi niente di più. E capita pertanto che di quando in quando, per una sorta di corto circuito, Tv o giornali entrino in contatto con temi sul serio di alto livello dal punto di vista scientifico o intellettuale: e allora siamo alla scoperta sistematica dell’acqua calda travestita da sensazionale novità e magari perfino presentata come rischioso e sconvolgente 'revisionismo'. Non dovremo quindi stupirci se capiterà che – in questo Paese dove tutto diventa occasione per polemiche inopportune e opinioni impresentabili ma ostentate a gola spiegata – qualche frequentatore di blog taccerà di 'revisionismo' il professor Adriano Prosperi per le opinioni espresse ieri su Il Messaggero, dove 'difende', orrore, Inquisizione e Sant’Uffizio, torture e roghi.
Ma l’occasione è seria. Un convegno che si terrà tra 21 e 22 febbraio prossimi a Roma, presso l’Accademia dei Lincei, sul tema «A dieci anni dall’apertura dell’archivio della congregazione per la Dottrina della fede. Storia e archivi dell’Inquisizione». Chi seguirà i lavori di quel convegno ne trarrà grande giovamento sotto il profilo scientifico; ma, se vi si recasse colto da pruriti voyeristici e sensazionalistici, ne resterebbe senz’altro annoiato e deluso. Dieci anni fa il cardinal Joseph Ratzinger, allora prefetto per la congregazione della Fede che ha ereditato e aggiornato le funzioni del Sant’Uffizio, stabilì di aprire gli archivi dell’Inquisizione romana agli studiosi. Fu una scelta di grande coraggio, di grande liberalità, di grande intelligenza. E, nella grande massa di documenti custoditi in quegli archivi preziosi, sono emersi e senza dubbio continueranno ad emergere quelli che parlano anche delle streghe, degli ebrei, dei convertiti dall’ebraismo e dall’islam al cristianesimo (o, al contrario, dei rinnegati) e così via. Naturalmente, il legame che collega tutti questi 'casi' era l’eresia: il Sant’Uffizio si occupava e si preoccupava di eretici, trattava dunque per esempio i casi di stregoneria solo se, quando e nella misura in cui essi potevano esser sospetti di aver a che fare con la propaganda ereticale. Ma i documenti dimostrano come il Sant’Uffizio procedesse sempre con grande cautela, con quel rispetto per l’imputato che i tempi consentivano, con costante moderazione. I casi di streghe condannate dai tribunali locali e assolte dal supremo tribunale romano , se non frequenti, non sono comunque eccezionali.
Rientravano in una prassi ispirata alla severa discrezione. Perfino il grande cardinal Borromeo, san Carlo, che in materia di streghe e di eretici non ci andava morbido, venne bloccato dalla congregazione romana. Né la Chiesa era insensibile di fronte al progresso della scienza.
Tutt’altro. Le nuove disposizioni da essa emanate nel 1620, che possono piacere o no (ad esempio divennero più restrittive in materia di aborti), furono comunque influenzate dalle teorie scientifiche del tempo.
Prosperi cita alcuni casi, tra i quali interessante quello della «strega» pisana del Seicento accusata e torturata dagli inquisitori della sua città e fatta poi liberare per esplicito intervento romano. Vi sarebbero altri casi ancora per ricordare al riguardo: famoso quello della «strega» Costanza da Libiano, luogo sito tra Firenze e Pisa, che venne inchiodata alle sue presunte responsabilità da un solerte giovane inquisitore francescano e liberata poi da un suo più anziano confratello, che dimostrò alla malcapitata la quale fra l’altro si era autodichiarata colpevole, che i rapporti sessuali con il demonio, puro spirito, sono semplicemente e pulitamente impossibili. Non diciamo che non vi furono pagine tristi e addirittura orribili; non è il caso di sostenere che furono sempre rose e fiori. Ma quel che è importante è rilevare la sostanziale, continua e attenta correttezza e un tribunale estremamente duro, che giudicava su materie difficili e delicate, ma che sapeva mantenere tuttavia in generale un equilibrio che altri tribunali, anche nella nostra felice modernità, non hanno mantenuto. D’altra parte, è noto che i tribunali inquisitoriali hanno fatto scuola delle varie «cacce alle streghe» del ventesimo secolo: ma purtroppo i giudici moderni hanno ben imparato la lezione della durezza, ma non altrettanto quella dell’equità. Resta comunque da tener presente che l’oggetto del Santo Ufizio era la ricerca dell’eresia: se si dimentica questo, incappare in caso di stregoneria può portare a giudizi facili e pittoreschi.
Naturalmente, la ricchezza di questi documenti è straordinaria. Essi costituiranno un campo di ricerca inesauribile non solo per gli storici, i giuristi e i teologi, ma anche per gli antropologi, per i sociologi, per gli studiosi del folclore e della vita quotidiana. Di questi tempi, quando anche il parere degli studiosi migliori rischia di continuo di venir stravolto e coinvolto nelle polemiche più ignobili e più becere, anche per parlare di ricerche scientifiche ci vuole coraggio civile. Chi volesse saperne di più, legga il Tribunali della coscienza di Prosperi (Einaudi 1996).
Ma l’occasione è seria. Un convegno che si terrà tra 21 e 22 febbraio prossimi a Roma, presso l’Accademia dei Lincei, sul tema «A dieci anni dall’apertura dell’archivio della congregazione per la Dottrina della fede. Storia e archivi dell’Inquisizione». Chi seguirà i lavori di quel convegno ne trarrà grande giovamento sotto il profilo scientifico; ma, se vi si recasse colto da pruriti voyeristici e sensazionalistici, ne resterebbe senz’altro annoiato e deluso. Dieci anni fa il cardinal Joseph Ratzinger, allora prefetto per la congregazione della Fede che ha ereditato e aggiornato le funzioni del Sant’Uffizio, stabilì di aprire gli archivi dell’Inquisizione romana agli studiosi. Fu una scelta di grande coraggio, di grande liberalità, di grande intelligenza. E, nella grande massa di documenti custoditi in quegli archivi preziosi, sono emersi e senza dubbio continueranno ad emergere quelli che parlano anche delle streghe, degli ebrei, dei convertiti dall’ebraismo e dall’islam al cristianesimo (o, al contrario, dei rinnegati) e così via. Naturalmente, il legame che collega tutti questi 'casi' era l’eresia: il Sant’Uffizio si occupava e si preoccupava di eretici, trattava dunque per esempio i casi di stregoneria solo se, quando e nella misura in cui essi potevano esser sospetti di aver a che fare con la propaganda ereticale. Ma i documenti dimostrano come il Sant’Uffizio procedesse sempre con grande cautela, con quel rispetto per l’imputato che i tempi consentivano, con costante moderazione. I casi di streghe condannate dai tribunali locali e assolte dal supremo tribunale romano , se non frequenti, non sono comunque eccezionali.
Rientravano in una prassi ispirata alla severa discrezione. Perfino il grande cardinal Borromeo, san Carlo, che in materia di streghe e di eretici non ci andava morbido, venne bloccato dalla congregazione romana. Né la Chiesa era insensibile di fronte al progresso della scienza.
Tutt’altro. Le nuove disposizioni da essa emanate nel 1620, che possono piacere o no (ad esempio divennero più restrittive in materia di aborti), furono comunque influenzate dalle teorie scientifiche del tempo.
Prosperi cita alcuni casi, tra i quali interessante quello della «strega» pisana del Seicento accusata e torturata dagli inquisitori della sua città e fatta poi liberare per esplicito intervento romano. Vi sarebbero altri casi ancora per ricordare al riguardo: famoso quello della «strega» Costanza da Libiano, luogo sito tra Firenze e Pisa, che venne inchiodata alle sue presunte responsabilità da un solerte giovane inquisitore francescano e liberata poi da un suo più anziano confratello, che dimostrò alla malcapitata la quale fra l’altro si era autodichiarata colpevole, che i rapporti sessuali con il demonio, puro spirito, sono semplicemente e pulitamente impossibili. Non diciamo che non vi furono pagine tristi e addirittura orribili; non è il caso di sostenere che furono sempre rose e fiori. Ma quel che è importante è rilevare la sostanziale, continua e attenta correttezza e un tribunale estremamente duro, che giudicava su materie difficili e delicate, ma che sapeva mantenere tuttavia in generale un equilibrio che altri tribunali, anche nella nostra felice modernità, non hanno mantenuto. D’altra parte, è noto che i tribunali inquisitoriali hanno fatto scuola delle varie «cacce alle streghe» del ventesimo secolo: ma purtroppo i giudici moderni hanno ben imparato la lezione della durezza, ma non altrettanto quella dell’equità. Resta comunque da tener presente che l’oggetto del Santo Ufizio era la ricerca dell’eresia: se si dimentica questo, incappare in caso di stregoneria può portare a giudizi facili e pittoreschi.
Naturalmente, la ricchezza di questi documenti è straordinaria. Essi costituiranno un campo di ricerca inesauribile non solo per gli storici, i giuristi e i teologi, ma anche per gli antropologi, per i sociologi, per gli studiosi del folclore e della vita quotidiana. Di questi tempi, quando anche il parere degli studiosi migliori rischia di continuo di venir stravolto e coinvolto nelle polemiche più ignobili e più becere, anche per parlare di ricerche scientifiche ci vuole coraggio civile. Chi volesse saperne di più, legga il Tribunali della coscienza di Prosperi (Einaudi 1996).
«Avvenire» del 19 febbraio 2008
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