di Bianca Garavelli
Che cosa rende simili la gorgone Medusa e le pallide, fragili donne protagoniste delle storie dell’età romantica? E perché tanti poeti e scrittori ne sono stati affascinati, come costretti da un destino comune? Sono domande che si è posto quasi ottant’anni fa Mario Praz in questo celebre saggio dal titolo sontuoso, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, che ancora è attuale. E ha trovato delle risposte convincenti, ampliando la nozione stessa di Romanticismo. Così il mito della bellezza medusea, non una vera e propria bellezza in senso classico, ma una mistura di inquietudine, torbido fascino e sottile perversione diventa il ponte tra il Romanticismo e il suo prolungamento nel Novecento, l’ampio fenomeno del Decadentismo, che acquista solide radici e significative sfumature. Ma non è il solo argomento a suo favore: l’analisi di Praz, anglista, ma anche critico letterario e d’arte, spazia dalla figura femminile nelle poesie, nei romanzi e nelle opere teatrali d’Europa dalla fine del Settecento in poi, alla personificazione stessa del male, Satana, che si incarna in svariati personaggi maschili anche insospettabili, alle varianti del sadismo, e ancora alle sfumature della sensualità perversa che percorre molta letteratura e arte figurativa. Basta scorrere l’indice per intuire l’ampiezza di raggio di questa indagine e la ricchezza dei suoi risultati. Forse è uno dei motivi per cui questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1930, ha avuto un successo tanto straordinario e ancora oggi si può considerare un caso. È quanto cerca di capire Francesco Orlando, l’autore del saggio introduttivo, che è stato docente di Letteratura Francese e di Teoria della Letteratura e si è a lungo occupato dei rapporti fra letteratura e psicanalisi, ponendo alcune questioni importanti: dato che questo è un saggio di letteratura tematica, o potremmo dire con termine odierno comparata, quali sono gli eccessi e i limiti di tale disciplina? Il primo aspetto che emerge è la difficoltà di trovare un equilibrio fra analogie e differenze. Praz in questo si è dimostrato in grado di agire con grande libertà, superando pregiudizi e aspettative, come quelli generati per esempio dalle riflessioni di Benedetto Croce. Ma è stato soprattutto sul versante di somiglianze e analogie che si è mosso, e facendo di questo strumento di indagine, che gli riusciva congeniale, la sua arma vincente. Allo stesso modo ha agito per le riflettere sui periodi letterari. Come osserva Orlando, «decidere il limite superiore dei fenomeni equivale quasi a chiedersi come nascono, perfino un po’ cosa sono». Ecco dunque perché possiamo tanto godere, ancora oggi, dell’audacia di Praz nell’affondare nel passato di miti vicini a noi, scoprendo come l’eroe tipico di Byron, solitario, ribelle e trasgressivo, sia imparentato con il Satana biblico, mentre il celebre protagonista del Ritratto di Dorian Gray diviene un discendente sia di qualche eroe di Poe, sia soprattutto del divin Marchese De Sade. Da cui forse non è lontano, attraverso il genere del romanzo nero, persino il nostro Manzoni. Anche la nozione di plagio appare sotto una luce nuova, specie nel caso del grande sperimentatore D’Annunzio. E così procedendo, continuando a studiare la natura di questi fenomeni letterari, rischiamo di scoprire quella del nostro tempo, che prolunga le inquietudini del secolo appena concluso.
Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Bur Rizzoli. Pagine 450. Euro 13,00
«Avvenire» del 16 febbraio 2008
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