di Massimiliano Parente
Cosa fanno i critici in Italia? Cercano di convincere i lettori che i romanzi non ci sono più e resteranno solo loro, i critici. Non hanno prodotto nulla di fondamentale per la storia della letteratura, niente di paragonabile ai saggi di Adorno, Bachtin, Barthes, Steiner, Wilson, Todorov, piuttosto molte raccolte di recensioni travestite da saggi. Tuttavia le recensioni, lo afferma Massimo Onofri, «non sono piuttosto una modalità di pensiero e della scrittura, tale da poter coincidere con la critica letteraria?», di conseguenza bastano e avanzano, perché studiare? Tana libera tutti. Così secondo Carla Benedetti, autrice di Disumane lettere (Laterza), la letteratura non serve più a niente perché deve darsi obiettivi più politici: salvare il pianeta terra dal capitalismo, altrimenti la specie umana si estinguerà «tra pochi decenni». Secondo Angelo Guglielmi, si sa, la letteratura era finita già nel 1963 con il suo Gruppo 63, e quindi, dopo, anything goes, per esempio: Silvia Ballestra è un genio, Nico Orengo pure, Antonio Moresco illeggibile, Aldo Busi scrive brutti libri, più sei grande più ti stronco. Meno letteratura, per favore! (Bollati Boringhieri) è lo sfacciato titolo di un recente pamphlet di Filippo La Porta, secondo il quale gli scrittori devono smetterla di scrivere, la vera letteratura la fanno i critici, per esempio se stesso o l’amico Berardinelli. E quest’ultimo, forse invidioso, sforna in questi giorni Non incoraggiate il romanzo (Marsilio), un titolo una garanzia, il maestro supera di nuovo l'allievo. Per chi non lo conoscesse Berardinelli è un signore serioso e con un grande ciuffo brizzolato che dichiara candidamente di leggere solo saggi e quasi mai romanzi, in quanto lo annoiano, per questo fa il critico letterario. Se fosse astemio farebbe il sommelier, se fosse omosessuale sarebbe Rocco Siffredi. L’ultima pensata è che i romanzi sono ormai «un genere editoriale», ecco perché non interessano. Siccome poi, avendo raccolto le sue recensioni, ci si accorge di quanto pochi romanzi abbia letto Berardinelli in dieci anni, nella premessa avverte: «Il lettore che si aspetta di trovare qui un panorama esauriente della nostra narrativa resterà deluso. Il libro raccoglie gli articoli che ho scritto, non quelli che avrei potuto scrivere. Alcuni autori non li ho recensiti soltanto per caso». A leggerlo ci si accorge come, in altri tempi, Berardinelli, un critico per caso, si sarebbe accorto di Ponsard ma non di Flaubert, di Del Balzo ma non di De Roberto, di Hamp ma non di Proust, di Carolina Invernizio ma non di Italo Svevo. Forse avrebbe perfino recensito i libri di Monaldo Leopardi ma gli sarebbe sfuggito il figlio, non in malafede ma per caso. Come nei salotti che si rispettano, comunque, tutti gli autori schedati sono anche compagni di cenette e convegnetti e presentazioncine reciproche, come sa chi frequenta il demi-monde letterario, e non c’è bisogno di intercettazioni per avere la mappa dei do ut des, né di essere me e aprire il mio personale wikileaks letterario, ormai è tutto davanti, tanto nessuno se ne accorge, come nota Arbasino della cultura non è mai fregato nulla a nessuno. A Nicola Lagioia, pur autore, in un decennio, di soli due romanzi pugliesi, eterna promessa a vita ma bravo ragazzo e utile operatore editoriale con cui lavorare, Berardinelli dedica ben quattro pagine per dire che «è uno dei talenti letterari più brillanti oggi in attività», ad Aldo Busi le stesse quattro pagine, per stroncarlo dandogli del misantropo e del ridondante. Dal suo punto di vista ha ragione: come si è permesso Busi di aver scritto così tanti romanzi, e così complessi? A Franco Cordelli, in compenso, Berardinelli dedica ben dodici pagine di sperticatissimi elogi, un vero mostro sacro, ed è successo che sabato scorso, in una bella giornata primaverile, Berardinelli abbia ricevuto una lunghissima intervista a tutta pagina sul Corriere della Sera (titolo emblematico: Il romanzo non serve più alla democrazia), indovinate da chi? Ma proprio da Franco Cordelli, ovviamente per caso. Quando si dice la coincidenza.
«Il Giornale» del 30 marzo 2011
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