di Alessandro Spina
Rileggevo in questi giorni qualche capitolo dei romanzi di Theodor Fontane. Ebbene, ci sono romanzi che funzionano al (loro) massimo anche ad apertura di libro e altri dei quali, per goderne a pieno la grandezza, bisogna seguire tutto il tracciato. È sciocco credere che i primi siano più grandi, si tratta solo di categorie di scrittori diversi. Basti pensare che il Tolstoj di Guerra e pace, per esempio, appartiene alla seconda categoria. Così il diletto Theodor Fontane. Nei due scrittori è una sorta di flusso di vita che incanta, del quale si resta prigionieri.
È ovvio pure che ad avvicinarmi a Fontane c’è, oltre la curiosità inestinguibile per la società tedesca, il posto che lui assegna nel narrare alla conversazione. Come in Thomas Mann c’è in Fontane quella sorta di poesia della decadenza, quando un sistema di valori e una società si sfilacciano, a cui sono sensibile proprio nel lavoro di romanziere. Altri narrano di rivoluzioni, dell’epopea napoleonica, delle lotte di classe... Albe di nuovo mondo più o meno felice, magari disgraziatissimo.
La vita, in qualunque campo, è una somma di varianti, tutte legittime. Ma uno non si trova dovunque a casa sua. Fontane fa parte della mia casa – tutto qui. In qualche maniera (vedi Mann) a me sembra che Fontane apra le porte del ’900. Lasciamo parlare Ladislao Mittner, la cui Storia della letteratura tedesca è molto lodata. A me piaceva poco, forse (è impensabile leggere tutto) perché avevo scorso qualche capitolo fiacco. Invece (bontà delle riletture!) leggo adesso con interesse il capitolo (appunto!) su Fontane. Non tanto poi per capire meglio Fontane ma perché trovo qua e là una... giustificazione dei miei Ufficiali, una precisa descrizione dei miei racconti.
Leggiamo dunque: «Un’infallibile sicurezza nello svolgimento delle scene compiutamente dialogiche, nelle scene in cui i personaggi apparentemente si limitano a conversare di cose insignificanti e proprio con ciò rivelano l’essenza più profonda della loro anima». Altrove:«La grande arte fontaniana, quella della conversazione vivacissima, arguta e molto precisa, ma altrettanto lieve ed inconcludente, consiste in una maniera particolarissima di essere dentro e fuori della propria età concreta, di essere individui politici ed individui privati ad un tempo». Più avanti: «Accolse in apparenza varie correnti moderne, ma rimase anacronisticamente legato ad un tipo di letteratura che da molti decenni apparteneva al passato».
Poi: «I ricevimenti affascinano Fontane non perché vi succeda qualcosa (infatti non vi succede mai nulla), ma perché vi si conversa; e quanto egli si propone di farci sapere non è ciò di cui si conversa, ma la maniera come si conversa». Infine: «Fontane evita il più possibile la narrazione dei grandi fatti sconvolgenti del suo secolo, limitandosi ad un studio attento e sagace delle condizioni sociali e morali che predisposero e quasi determinarono quegli sconvolgimenti». Ecc., inutile andare oltre. Negli scritti dei critici del passato troviamo talvolta splendide recensioni dei nostri libri.
È ovvio pure che ad avvicinarmi a Fontane c’è, oltre la curiosità inestinguibile per la società tedesca, il posto che lui assegna nel narrare alla conversazione. Come in Thomas Mann c’è in Fontane quella sorta di poesia della decadenza, quando un sistema di valori e una società si sfilacciano, a cui sono sensibile proprio nel lavoro di romanziere. Altri narrano di rivoluzioni, dell’epopea napoleonica, delle lotte di classe... Albe di nuovo mondo più o meno felice, magari disgraziatissimo.
La vita, in qualunque campo, è una somma di varianti, tutte legittime. Ma uno non si trova dovunque a casa sua. Fontane fa parte della mia casa – tutto qui. In qualche maniera (vedi Mann) a me sembra che Fontane apra le porte del ’900. Lasciamo parlare Ladislao Mittner, la cui Storia della letteratura tedesca è molto lodata. A me piaceva poco, forse (è impensabile leggere tutto) perché avevo scorso qualche capitolo fiacco. Invece (bontà delle riletture!) leggo adesso con interesse il capitolo (appunto!) su Fontane. Non tanto poi per capire meglio Fontane ma perché trovo qua e là una... giustificazione dei miei Ufficiali, una precisa descrizione dei miei racconti.
Leggiamo dunque: «Un’infallibile sicurezza nello svolgimento delle scene compiutamente dialogiche, nelle scene in cui i personaggi apparentemente si limitano a conversare di cose insignificanti e proprio con ciò rivelano l’essenza più profonda della loro anima». Altrove:«La grande arte fontaniana, quella della conversazione vivacissima, arguta e molto precisa, ma altrettanto lieve ed inconcludente, consiste in una maniera particolarissima di essere dentro e fuori della propria età concreta, di essere individui politici ed individui privati ad un tempo». Più avanti: «Accolse in apparenza varie correnti moderne, ma rimase anacronisticamente legato ad un tipo di letteratura che da molti decenni apparteneva al passato».
Poi: «I ricevimenti affascinano Fontane non perché vi succeda qualcosa (infatti non vi succede mai nulla), ma perché vi si conversa; e quanto egli si propone di farci sapere non è ciò di cui si conversa, ma la maniera come si conversa». Infine: «Fontane evita il più possibile la narrazione dei grandi fatti sconvolgenti del suo secolo, limitandosi ad un studio attento e sagace delle condizioni sociali e morali che predisposero e quasi determinarono quegli sconvolgimenti». Ecc., inutile andare oltre. Negli scritti dei critici del passato troviamo talvolta splendide recensioni dei nostri libri.
«Avvenire» del 15 marzo 2011
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