Non è frutto di un'impostazione fideistica, ma razionale
di Giacomo Samek Lodovici
«Il testamento biologico permette a ciascuno di far valere la propria volontà evitandogli di subire l’imposizione di principi confessionali». È una tesi ricorrente in questi giorni di confronto parlamentare e mediatico sulla legge che dovrà normare le Dichiarazioni anticipate di trattamento, ma si tratta di un teorema erroneo da molti punti di vista.
Chiarito, infatti, e sottolineato che si deve evitare l’accanimento terapeutico, il problema morale che si pone è relativo all’esecuzione di una dichiarazione di volontà scritta da chi, in passato, ha affermato che vuole in futuro essere lasciato morire o addirittura ucciso, anche se non ci sarà nei suoi riguardi alcun accanimento. Ora, per criticare questa forma di espressione delle scelte di fine vita (che qualcuno vorrebbe nella modalità vincolante del «testamento biologico») ci sono molti argomenti razionali e laici, per nulla confessionali, tanto è vero che ci sono anche persone non credenti che li utilizzano.
Intanto, se un soggetto vuole essere ucciso, la sua volontà non deve autorizzare nessuno ad accontentarlo perché la sua uccisione calpesta in modo gravissimo la sua incancellabile, e mai sminuibile, preziosità.
Proprio per questo la vita di ogni uomo e di ogni donna dev’essere onorata sempre, in ogni condizione e circostanza, prestando soccorso e cura. Sarebbe perciò profondamente ingiusto acconsentire a una richiesta 'non attuale' di sospensione di terapie e azioni che siano utili, efficaci, non rischiose né significativamente dolorose in questa attività di soccorso e cura, perché una persona che non è più in grado di comunicare potrebbe aver cambiato idea – rispetto a quanto scritto tempo addietro – ma non riuscire a manifestarla.
È noto il caso di Sylvie Ménard, allieva di Veronesi che ha guidato un reparto dell’Istituto dei tumori di Milano, energicamente battutasi per la legalizzazione dell’eutanasia. Poi, però, ammalatasi di cancro, ha cambiato radicalmente la sua volontà: «Adesso che per me la morte non è più un concetto virtuale non ho nessuna voglia di andarmene. [...] Anche se concluderò la mia vita in un letto con le ossa che rischiano di sbriciolarsi, io ora voglio vivere fino in fondo la mia esistenza». Quanto al testamento biologico, «da sana l’avrei sottoscritto, oggi l’avrei voluto stracciare». Che situazione atroce per chi non è più in grado di stracciarlo o di comunicare...
Un altro caso è quello di Jean-Dominique Bauby, un giornalista francese che ha trascorso l’ultima parte della sua vita completamente immobilizzato, con l’unica residua capacità di muovere un ciglio. Ebbene, sbattendo il ciglio Jean-Dominique è riuscito lentamente a 'dettare', perché divenissero un libro, i suoi pensieri e i suoi desideri, che all’inizio furono quelli di morire, ma poi, grazie all’affetto ricevuto, si trasformarono radicalmente nel desiderio di sopravvivere. Da notare che egli non è stato sorretto da motivazioni religiose, come si coglie dal libro e dal bellissimo film Lo scafandro e la farfalla che ripercorre con sostanziale fedeltà la vicenda.
Sono solo due esempi tra i molti possibili, che mostrano come, a seconda delle situazioni in cui ci troviamo, le nostre volontà possono cambiare molto, come non ci saremmo mai aspettati. Persino nei malati gravi, che inizialmente hanno desiderato di morire, in seguito prevale quasi sempre l’attaccamento alla vita, purché essi siano assistiti e confortati e purché vengano loro somministrate le cure palliative contro il dolore.
È vero che non possiamo esser certi che un malato abbia cambiato idea, ma si deve applicare comunque e sempre il principio di precauzione: se al riguardo sorge anche il minimo dubbio, non si debbono sospendere azioni proporzionate senza le quali una persona muore.
Ovviamente gli argomenti appena svolti sono solo accennati e richiederebbero ben altre specificazioni. Ma una cosa è chiara: non hanno nulla di confessionale, con buona pace di chi insiste nel parlare di una legge da rifiutare a priori perché «imposta» da chi ha una visione cristiana della vita e, addirittura, dalle «gerarchie ecclesiastiche». È solo una scusa, irrazionale e dunque mal congegnata.
Chiarito, infatti, e sottolineato che si deve evitare l’accanimento terapeutico, il problema morale che si pone è relativo all’esecuzione di una dichiarazione di volontà scritta da chi, in passato, ha affermato che vuole in futuro essere lasciato morire o addirittura ucciso, anche se non ci sarà nei suoi riguardi alcun accanimento. Ora, per criticare questa forma di espressione delle scelte di fine vita (che qualcuno vorrebbe nella modalità vincolante del «testamento biologico») ci sono molti argomenti razionali e laici, per nulla confessionali, tanto è vero che ci sono anche persone non credenti che li utilizzano.
Intanto, se un soggetto vuole essere ucciso, la sua volontà non deve autorizzare nessuno ad accontentarlo perché la sua uccisione calpesta in modo gravissimo la sua incancellabile, e mai sminuibile, preziosità.
Proprio per questo la vita di ogni uomo e di ogni donna dev’essere onorata sempre, in ogni condizione e circostanza, prestando soccorso e cura. Sarebbe perciò profondamente ingiusto acconsentire a una richiesta 'non attuale' di sospensione di terapie e azioni che siano utili, efficaci, non rischiose né significativamente dolorose in questa attività di soccorso e cura, perché una persona che non è più in grado di comunicare potrebbe aver cambiato idea – rispetto a quanto scritto tempo addietro – ma non riuscire a manifestarla.
È noto il caso di Sylvie Ménard, allieva di Veronesi che ha guidato un reparto dell’Istituto dei tumori di Milano, energicamente battutasi per la legalizzazione dell’eutanasia. Poi, però, ammalatasi di cancro, ha cambiato radicalmente la sua volontà: «Adesso che per me la morte non è più un concetto virtuale non ho nessuna voglia di andarmene. [...] Anche se concluderò la mia vita in un letto con le ossa che rischiano di sbriciolarsi, io ora voglio vivere fino in fondo la mia esistenza». Quanto al testamento biologico, «da sana l’avrei sottoscritto, oggi l’avrei voluto stracciare». Che situazione atroce per chi non è più in grado di stracciarlo o di comunicare...
Un altro caso è quello di Jean-Dominique Bauby, un giornalista francese che ha trascorso l’ultima parte della sua vita completamente immobilizzato, con l’unica residua capacità di muovere un ciglio. Ebbene, sbattendo il ciglio Jean-Dominique è riuscito lentamente a 'dettare', perché divenissero un libro, i suoi pensieri e i suoi desideri, che all’inizio furono quelli di morire, ma poi, grazie all’affetto ricevuto, si trasformarono radicalmente nel desiderio di sopravvivere. Da notare che egli non è stato sorretto da motivazioni religiose, come si coglie dal libro e dal bellissimo film Lo scafandro e la farfalla che ripercorre con sostanziale fedeltà la vicenda.
Sono solo due esempi tra i molti possibili, che mostrano come, a seconda delle situazioni in cui ci troviamo, le nostre volontà possono cambiare molto, come non ci saremmo mai aspettati. Persino nei malati gravi, che inizialmente hanno desiderato di morire, in seguito prevale quasi sempre l’attaccamento alla vita, purché essi siano assistiti e confortati e purché vengano loro somministrate le cure palliative contro il dolore.
È vero che non possiamo esser certi che un malato abbia cambiato idea, ma si deve applicare comunque e sempre il principio di precauzione: se al riguardo sorge anche il minimo dubbio, non si debbono sospendere azioni proporzionate senza le quali una persona muore.
Ovviamente gli argomenti appena svolti sono solo accennati e richiederebbero ben altre specificazioni. Ma una cosa è chiara: non hanno nulla di confessionale, con buona pace di chi insiste nel parlare di una legge da rifiutare a priori perché «imposta» da chi ha una visione cristiana della vita e, addirittura, dalle «gerarchie ecclesiastiche». È solo una scusa, irrazionale e dunque mal congegnata.
«Avvenire» del 9 marzo 2011
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