Alle origini di un movimento che fu non un’organizzazione unitaria, ma un arcipelago di gruppi settari con idee, liturgie e rituali comuni. Un documento del 1819 diceva: «Il nostro scopo è annientare il cattolicesimo»
di Mario Iannaccone
In questi giorni di rievocazioni risorgimentali spesso si sente parlare di Carboneria, la setta politicospirituale alla quale aderirono numerosi patrioti come Pietro Maroncelli, Ciro Menotti e Giuseppe Mazzini. Non fu mai un’organizzazione unitaria ma piuttosto un arcipelago di gruppi settari che da Nord a Sud si costituì attorno a idee, liturgie e riti comuni. Un direttorato centrale, segretissimo, chiamato Alta Vendita, sembra sia esistito per qualche tempo verso il 1830. La Carboneria fu considerata una sorta di massoneria popolare anche per il suo mito di fondazione che – lasciando in pace per una volta cavalieri e costruttori di cattedrali – si richiamava al lavoro di umili artigiani dei boschi. Si sviluppò infatti dalle corporazioni dei taglialegna (fendeurs) e dei carbonari (charbonniers) del Giura e della Franca Contea. Come era accaduto per le corporazioni muratorie, i riti genuinamente cristiani delle fraternità artigianali furono riletti da esterni, intellettuali e professionisti, 'accettati' nell’associazione. Da questo processo, a metà Settecento, si svilupparono progetti settari che snaturarono le narrazioni e i simboli delle fraternità di mestiere e soccorso. Così, i carbonari 'accettati', inventarono una rilettura gnostica della storia di San Teobaldo di Provins, protettore dei carbonari e dei legnaiuoli, aggiungendovi anche intenzioni politiche (liberali, repubblicane persino comuniste).
Il primo a introdurre la setta in Italia fu un tale Pierre-Joseph Briot nel 1806. Presto le 'baracche' (sedi) che contenevano le 'vendite' (logge) carbonare si riempirono di commercianti, professionisti e membri del basso clero ridotti alla strada dagli espropri napoleonici, spesso convinti d’aderire a un’associazione cristiana. Tra il 1815 e il 1831, la Carboneria partecipò a insurrezioni, attentati, complotti contribuendo, con altre organizzazioni, a imporre idee liberali. C’erano carbonari che nutrivano idee ben più radicali di quelle che s’affermarono all’Unità, altri che s’erano fatti iniziare per ragioni contingenti, politiche, e non furono mai messi al corrente delle vere intenzioni dei capi.
Gli adepti si suddividevano in tre gradi (apprendista, maestro, gran maestro). Quando si chiedeva l’ammissione si era 'pagani' in cerca della luce. Si giurava bendati davanti ad un pugnale, si accettava un nome iniziatico. I testi carbonari celebravano Gesù quale profeta dell’uguaglianza (come tra gl’Illuminati di Baviera). Peculiari della Carboneria erano i «riti forestali»: far legna nel bosco, tagliare i ceppi, cuocere la materia vegetale per ricavarne, con faticoso 'travaglio', il carbone che illumina e scalda e infine distribuirlo nelle 'vendite' grazie ai 'cugini' e alle 'cugine'; queste le azioni che simbolizzavano l’attività del carbonaro che politicamente venivano sintetizzate nelle 'parole sacre' di Libertà e Uguaglianza. Certe 'vendite' si distinsero anche per un acceso spirito anticattolico. Un’istruzione segreta del 1819 diceva: «Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della Rivoluzione francese.
L’annientamento per sempre del cattolicesimo ed ancora dell’idea cristiana». Nel 1821, Pio VII condannò la Carboneria con la bolla Ecclesiam a Jesu Christo paragonandone i membri ai manichei. Dopo la fallita insurrezione del 1831, i più convinti confluirono nella Giovine Italia e poi nella massoneria. Né va trascurato il lavorìo culturale dei carbonari: il Dante illuminato gnostico (come il Leonardo da Vinci) del carbonaro Reghellini affascinò Dante Gabriele Rossetti e Giovanni Pascoli, arrivando fino a noi. Sparuti gruppi di carbonari sopravvissero fino al 1950 circa e forse anche oltre, soprattutto nella diaspora dell’emigrazione, in Sud America, in strani sincretismi di teosofismo e culto funerario di Mazzini. Oggi, qualcuno ha fatto rivivere i 'riti forestali' in una recuperata Carboneria del XXI secolo, nella quale si «brinda ai lieti calici» dentro rinnovate «baracche». Sarà che il commercio del carbone ha bisogno di stimoli ...
Il primo a introdurre la setta in Italia fu un tale Pierre-Joseph Briot nel 1806. Presto le 'baracche' (sedi) che contenevano le 'vendite' (logge) carbonare si riempirono di commercianti, professionisti e membri del basso clero ridotti alla strada dagli espropri napoleonici, spesso convinti d’aderire a un’associazione cristiana. Tra il 1815 e il 1831, la Carboneria partecipò a insurrezioni, attentati, complotti contribuendo, con altre organizzazioni, a imporre idee liberali. C’erano carbonari che nutrivano idee ben più radicali di quelle che s’affermarono all’Unità, altri che s’erano fatti iniziare per ragioni contingenti, politiche, e non furono mai messi al corrente delle vere intenzioni dei capi.
Gli adepti si suddividevano in tre gradi (apprendista, maestro, gran maestro). Quando si chiedeva l’ammissione si era 'pagani' in cerca della luce. Si giurava bendati davanti ad un pugnale, si accettava un nome iniziatico. I testi carbonari celebravano Gesù quale profeta dell’uguaglianza (come tra gl’Illuminati di Baviera). Peculiari della Carboneria erano i «riti forestali»: far legna nel bosco, tagliare i ceppi, cuocere la materia vegetale per ricavarne, con faticoso 'travaglio', il carbone che illumina e scalda e infine distribuirlo nelle 'vendite' grazie ai 'cugini' e alle 'cugine'; queste le azioni che simbolizzavano l’attività del carbonaro che politicamente venivano sintetizzate nelle 'parole sacre' di Libertà e Uguaglianza. Certe 'vendite' si distinsero anche per un acceso spirito anticattolico. Un’istruzione segreta del 1819 diceva: «Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della Rivoluzione francese.
L’annientamento per sempre del cattolicesimo ed ancora dell’idea cristiana». Nel 1821, Pio VII condannò la Carboneria con la bolla Ecclesiam a Jesu Christo paragonandone i membri ai manichei. Dopo la fallita insurrezione del 1831, i più convinti confluirono nella Giovine Italia e poi nella massoneria. Né va trascurato il lavorìo culturale dei carbonari: il Dante illuminato gnostico (come il Leonardo da Vinci) del carbonaro Reghellini affascinò Dante Gabriele Rossetti e Giovanni Pascoli, arrivando fino a noi. Sparuti gruppi di carbonari sopravvissero fino al 1950 circa e forse anche oltre, soprattutto nella diaspora dell’emigrazione, in Sud America, in strani sincretismi di teosofismo e culto funerario di Mazzini. Oggi, qualcuno ha fatto rivivere i 'riti forestali' in una recuperata Carboneria del XXI secolo, nella quale si «brinda ai lieti calici» dentro rinnovate «baracche». Sarà che il commercio del carbone ha bisogno di stimoli ...
Dopo la fallita insurrezione del 1831, molti confluirono nella Giovine Italia e nella massoneria. Frange sono sopravvissute fino al 1950
«Avvenire» del 17 marzo 2011
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