di Cesare Cavalleri
Nella bibliografia per il 150° dell’Unità d’Italia non poteva mancare un pamphlet antipatizzante verso Garibaldi, e vi ha provveduto Luca Marcolivio, direttore del settimanale web «L’Ottimista», pubblicando Contro Garibaldi (Vallecchi, pp. 216, euro 12). Il sottotitolo, «Quello che a scuola non vi hanno raccontato», spiega l’intento del lavoro. Marcolivio, infatti, dà per nota l’epopea garibaldina, non traccia un quadro storico completo, e si concentra sulla figura di Garibaldi in una sorta di controcanto rispetto a quello che, effettivamente, a scuola ci hanno raccontato.
Assai poco gloriose le gesta del nizzardo in Sudamerica, in sospetto presso governi e presso gli insorti di Brasile, Argentina, Uruguay, che pure occasionalmente si servirono dei suoi quadri paramilitari, formati soprattutto da avanzi di galera o da futuri inquilini di galera. Marcolivio, peraltro, non dà credito alla leggenda secondo cui la famosa zazzera di Garibaldi serviva a coprire un orecchio mozzato, punizione – laggiù – per i ladri di bestiame: l’orecchio era effettivamente danneggiato, ma a seguito di uno scontro a fuoco con la guardia costiera di Montevideo. Garibaldi non aveva opinioni politiche proprie.
Dapprima si entusiasmò per l’idea repubblicana di Mazzini, e la partecipazione a un’insurrezione ordita dalla Giovine Italia, a Genova, nel 1834 (insurrezione regolarmente fallita) gli fruttò la condanna a morte che lo costrinse a prendere la via del mare verso il Sudamerica. L’unica conquista garibaldina d’oltremare fu Anita, vero e corrisposto amore della sua vita, che gli diede i primi figli e condivise le sue battaglie fino a quando morì, ventottenne, in fuga con l’eroe, a Mandriole di Ravenna, nel 1849. Il capitolo delle donne di Garibaldi è troppo affollato e largamente boccaccesco, per cui non ne parliamo qui. Quanto al profilo politico, Marcolivio illustra assai bene come Garibaldi, nella spedizione dei Mille, fu vittima consenziente del doppiogioco dei Savoia: da Marsala a Napoli non fu una cavalcata trionfale, ma un percorso di stragi, di ruberie e di corruzione degli ufficiali borbonici, al punto che, a Napoli, Garibaldi fu accolto come liberatore addirittura dal Ministro degli Interni borbonico, Liborio Romano. Il dato costante della vita di Garibaldi è la sua adesione alla massoneria, fino ai gradi più alti, con gli aiuti che ne ricevette. Ciò non gli impedì, a Napoli, di rendere omaggio alla Madonna di Piedigrotta e di assistere alla liquefazione del sangue di san Gennaro, che peraltro, anni dopo, definirà «una umiliante composizione chimica». Il culmine del grottesco fu raggiunto nei suoi ultimi anni quando, trasportato in barella sulle piazze, amministrava addirittura dei battesimi rigorosamente 'laici'.
L’ambiguità politica di Garibaldi caratterizza anche i suoi rapporti con il Parlamento, di cui fu fiero oppositore, pur non rinunciando a farsi eleggere di volta in volta. Guerriero di dubbie capacità, privo di un disegno istituzionale, acerbissimo anticlericale, dissoluto lussurioso: ce n’è d’avanzo per demolire Garibaldi.
Eppure, resta un interrogativo: come si spiega l’eccezionale popolarità del Generale, il credito internazionale, il consenso di scrittori come Dumas e Hugo? Soltanto propaganda, autocelebrazione, esacerbato narcisismo, strumentalizzazione da parte dei «poteri forti» dell’epoca? Fatto sta che, nonostante le buone ragioni addotte da Marcolivio, è difficile non conservare per Garibaldi una certa simpatia. Proprio per ciò che ci è stato insegnato a scuola, e che è entrato nel nostro immaginario interiore. Un pamphlet ridimensiona autorevolmente la leggenda, ma lo zoccolo duro resiste.
Assai poco gloriose le gesta del nizzardo in Sudamerica, in sospetto presso governi e presso gli insorti di Brasile, Argentina, Uruguay, che pure occasionalmente si servirono dei suoi quadri paramilitari, formati soprattutto da avanzi di galera o da futuri inquilini di galera. Marcolivio, peraltro, non dà credito alla leggenda secondo cui la famosa zazzera di Garibaldi serviva a coprire un orecchio mozzato, punizione – laggiù – per i ladri di bestiame: l’orecchio era effettivamente danneggiato, ma a seguito di uno scontro a fuoco con la guardia costiera di Montevideo. Garibaldi non aveva opinioni politiche proprie.
Dapprima si entusiasmò per l’idea repubblicana di Mazzini, e la partecipazione a un’insurrezione ordita dalla Giovine Italia, a Genova, nel 1834 (insurrezione regolarmente fallita) gli fruttò la condanna a morte che lo costrinse a prendere la via del mare verso il Sudamerica. L’unica conquista garibaldina d’oltremare fu Anita, vero e corrisposto amore della sua vita, che gli diede i primi figli e condivise le sue battaglie fino a quando morì, ventottenne, in fuga con l’eroe, a Mandriole di Ravenna, nel 1849. Il capitolo delle donne di Garibaldi è troppo affollato e largamente boccaccesco, per cui non ne parliamo qui. Quanto al profilo politico, Marcolivio illustra assai bene come Garibaldi, nella spedizione dei Mille, fu vittima consenziente del doppiogioco dei Savoia: da Marsala a Napoli non fu una cavalcata trionfale, ma un percorso di stragi, di ruberie e di corruzione degli ufficiali borbonici, al punto che, a Napoli, Garibaldi fu accolto come liberatore addirittura dal Ministro degli Interni borbonico, Liborio Romano. Il dato costante della vita di Garibaldi è la sua adesione alla massoneria, fino ai gradi più alti, con gli aiuti che ne ricevette. Ciò non gli impedì, a Napoli, di rendere omaggio alla Madonna di Piedigrotta e di assistere alla liquefazione del sangue di san Gennaro, che peraltro, anni dopo, definirà «una umiliante composizione chimica». Il culmine del grottesco fu raggiunto nei suoi ultimi anni quando, trasportato in barella sulle piazze, amministrava addirittura dei battesimi rigorosamente 'laici'.
L’ambiguità politica di Garibaldi caratterizza anche i suoi rapporti con il Parlamento, di cui fu fiero oppositore, pur non rinunciando a farsi eleggere di volta in volta. Guerriero di dubbie capacità, privo di un disegno istituzionale, acerbissimo anticlericale, dissoluto lussurioso: ce n’è d’avanzo per demolire Garibaldi.
Eppure, resta un interrogativo: come si spiega l’eccezionale popolarità del Generale, il credito internazionale, il consenso di scrittori come Dumas e Hugo? Soltanto propaganda, autocelebrazione, esacerbato narcisismo, strumentalizzazione da parte dei «poteri forti» dell’epoca? Fatto sta che, nonostante le buone ragioni addotte da Marcolivio, è difficile non conservare per Garibaldi una certa simpatia. Proprio per ciò che ci è stato insegnato a scuola, e che è entrato nel nostro immaginario interiore. Un pamphlet ridimensiona autorevolmente la leggenda, ma lo zoccolo duro resiste.
Un pamphlet tenta di demolire il mito. Però nonostante tutto è difficile non avere simpatia per il patriota e la sua leggenda
«Avvenire» del 9 marzo 2011
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