Brano tratto da Les Altérations de la personnalité (1892)
di Alfred Binet *
È possibile trovare in condizioni molto diverse dei frammenti di vita psicologica che hanno come caratteristica essenziale di possedere una memoria propria; vogliamo dire con ciò che questi stati non sono percepibili durante la veglia e dunque non lasciano ricordi, ma il ritorno dello stesso stato riconduce i ricordi delle sue manifestazioni anteriori, e l'individuo si ricorda allora tutti i fatti che egli aveva dimenticato durante la vita normale. [...]
Dal punto di vista puramente psicologico, il solo che a noi interessa, le suggestioni retroattive ci insegnano qualcosa di nuovo sul meccanismo della divisione della coscienza. Esse ci insegnano anzitutto che una folla di ricordi antichi, che noi consideriamo morti, perché siamo incapaci di evocarli volontariamente, continuano a vivere in noi; di conseguenza i limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono che quelli della nostra coscienza attuale e dunque non sono limiti assoluti; al di là di queste linee, ci sono dei ricordi, delle percezioni, dei ragionamenti, e ciò che noi conosciamo di noi stessi non è che una parte, forse una parte debolissima, di ciò che noi siamo. [...]
La nostra personalità si modifica col tempo: la personalità, infatti, non è una entità fissa, permanente e immutabile; è una sintesi di fenomeni che varia cogli elementi che la compongono e che è in via di continua e incessante trasformazione. Nel corso di una esistenza anche normale si succedono numerose personalità distinte; ed è solo per artificio che noi le riuniamo in una sola, perché in realtà, a vent'anni di distanza, noi non abbiamo più lo stesso modo di sentire e di giudicare. [...]
Ciascuno di noi non è uno, ma contiene numerose persone che non hanno tutte lo stesso valore. [...] In una stessa persona diversi fatti di coscienza possono vivere separatamente senza confondersi, e dare luogo all'esistenza simultanea di diverse coscienze e anche, in certi casi, di diverse personalità.
Dal punto di vista puramente psicologico, il solo che a noi interessa, le suggestioni retroattive ci insegnano qualcosa di nuovo sul meccanismo della divisione della coscienza. Esse ci insegnano anzitutto che una folla di ricordi antichi, che noi consideriamo morti, perché siamo incapaci di evocarli volontariamente, continuano a vivere in noi; di conseguenza i limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono che quelli della nostra coscienza attuale e dunque non sono limiti assoluti; al di là di queste linee, ci sono dei ricordi, delle percezioni, dei ragionamenti, e ciò che noi conosciamo di noi stessi non è che una parte, forse una parte debolissima, di ciò che noi siamo. [...]
La nostra personalità si modifica col tempo: la personalità, infatti, non è una entità fissa, permanente e immutabile; è una sintesi di fenomeni che varia cogli elementi che la compongono e che è in via di continua e incessante trasformazione. Nel corso di una esistenza anche normale si succedono numerose personalità distinte; ed è solo per artificio che noi le riuniamo in una sola, perché in realtà, a vent'anni di distanza, noi non abbiamo più lo stesso modo di sentire e di giudicare. [...]
Ciascuno di noi non è uno, ma contiene numerose persone che non hanno tutte lo stesso valore. [...] In una stessa persona diversi fatti di coscienza possono vivere separatamente senza confondersi, e dare luogo all'esistenza simultanea di diverse coscienze e anche, in certi casi, di diverse personalità.
(A. Binet, Les Altérations de la personnalité, Parigi, Félix Alcan, 1892, pp. 35, 243, 236-37, 140)
* Alfred Binet (Nizza, 1857 - Parigi, 1911) fu medico e psicologo, diede un notevole contributo allo studio sperimentale delle patologie mentali e della psicologia infantile (insieme a J. Simon elaborò un test per la misurazione dell'intelligenza dei bambini e scrisse Les enfants anormaux, I bambini anormali, Parigi, 1907). Tra le altre sue opere: Les Altérations de la personnalité cit.; Introduction à la psychologie expérimentale, (Introduzione alla psicologia sperimentale) Parigi, 1907; L'Ame et le Corps (L'anima e il corpo), Parigi, 1905.
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Brano tratto dal saggio L'umorismo (1908)
di Luigi Pirandello
Le barriere, i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza, sono anch’essi illusioni, sono le condizioni dell’apparir della nostra individualità relativa; ma, nella realtà, quei limiti non esistono punto. Non soltanto noi, quali ora siamo, viviamo in noi stessi, ma anche noi, quali fummo in altro tempo, viviamo tuttora e sentiamo e ragioniamo con pensieri e affetti già da un lungo oblìo oscurati, cancellati, spenti nella nostra coscienza presente, ma che a un urto, a un tumulto improvviso dello spirito, possono ancora dar prova di vita, mostrando vivo in noi un altro essere insospettato. I limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono limiti assoluti. Di là da quella linea vi sono memorie, vi sono percezioni e ragionamenti. Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza, che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente. Certi ideali che crediamo ormai tramontati in noi e non più capaci d’alcuna azione nel nostro pensiero, su i nostri affetti, su i nostri atti, forse persistono tuttavia, se non più nella forma intellettuale, pura, nel sostrato loro, costituito dalle tendenze affettive e pratiche. E possono essere motivi reali di azione certe tendenze da cui ci crediamo liberati e non aver per l’opposto efficacia pratica in noi, se non illusoria, credenze nuove che riteniamo di possedere veramente, intimamente.
E appunto le varie tendenze che contrassegnano la personalità fanno pensare sul serio che non sia una l’anima individuale. Come affermarla una, difatti, se passione e ragione, istinto e volontà, tendenze e idealità, costituiscono in certo modo altrettanti sistemi distinti e mobili, che fanno sì che l’individuo, vivendo ora l’uno ora l’altro di essi, ora qualche compromesso fra due o più orientamenti psichici, apparisca come se veramente in lui fossero più anime diverse e perfino opposte, più e opposte personalità?
Non c’è uomo, osservò il Pascal, che differisca più da un altro che da sé stesso nella successione del tempo. [...]
La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, per-ché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.
Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d’irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un’altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti.
E per tutti però può rappresentare talvolta una tortura, rispetto all’anima che si muove e si fonde, il nostro stesso corpo fissa-to per sempre in fattezze immutabili. Oh perché proprio dobbiamo essere così, noi? - ci domandiam talvolta allo specchio, - con questa faccia, con questo corpo? - Alziamo una mano nell’incoscienza; e il gesto ci resta sospeso. Ci pare strano che l’abbiamo fatto noi. Ci vediamo vivere.
E appunto le varie tendenze che contrassegnano la personalità fanno pensare sul serio che non sia una l’anima individuale. Come affermarla una, difatti, se passione e ragione, istinto e volontà, tendenze e idealità, costituiscono in certo modo altrettanti sistemi distinti e mobili, che fanno sì che l’individuo, vivendo ora l’uno ora l’altro di essi, ora qualche compromesso fra due o più orientamenti psichici, apparisca come se veramente in lui fossero più anime diverse e perfino opposte, più e opposte personalità?
Non c’è uomo, osservò il Pascal, che differisca più da un altro che da sé stesso nella successione del tempo. [...]
La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, per-ché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.
Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d’irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un’altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti.
E per tutti però può rappresentare talvolta una tortura, rispetto all’anima che si muove e si fonde, il nostro stesso corpo fissa-to per sempre in fattezze immutabili. Oh perché proprio dobbiamo essere così, noi? - ci domandiam talvolta allo specchio, - con questa faccia, con questo corpo? - Alziamo una mano nell’incoscienza; e il gesto ci resta sospeso. Ci pare strano che l’abbiamo fatto noi. Ci vediamo vivere.
Postato il 2 marzo 2011
1 commento:
Grazie, mi serviva sia per gli esami che per interesse personale. Quindi "doppio" grazie.
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