di Fulvio Panzeri
Paola Mastrocola ha il dono raro di pensare la propria narrativa come una variazione continua sul 'romanzo di formazione', creando ad ogni sua nuova prova una storia avvincente, sospesa tra insofferenza del quotidiano e forza vitale dell’utopia. Accade anche in questa sua nuova storia che è 'controcorrente' in tutti i sensi, come del resto la narratrice ha sempre dimostrato nelle opere precedenti, con una ostinata (e salutare) impossibilità ad allinearsi a quelle che sono le convenzioni 'culturali' della società italiana. In Più lontana dalla luna il primo 'strappo alla regola' avviene nella lettura del 'passato prossimo' che fa da sfondo alla vicenda, vale a dire gli anni settanta, quelli che sono passati come gli anni della 'contestazione', delle assemblee, dei movimenti di sinistra: la Mastrocola non si allinea a questa lettura e ci presenta una ragazzina di famiglia povera, che vive in una cascina a Stupinigi, l’ex scuderia della Palazzina di caccia dei Savoia e non vuole sentir parlare né di manifestazioni, né di impegno politico, nonostante i cambiamenti evidenti della sua amica che da un giorno all’altro compare con jeans e maglioni pelosi in stile sudamericano.
Attraverso la sua esperienza ci racconta gli anni Settanta e i sogni di quella maggioranza silenziosa di giovani, un po’ bistrattati dagli arroganti 'impegnati' e violenti. Lei invece ha altre aspettative, quelle che possono in qualche modo salvare il grigiore di un’esistenza piccolo-borghese con un padre che lavora alla Fiat, orgoglioso e fiero del suo lavoro di operaio e di una madre che ha un banco di frutta e verdura al mercato e che lei andrà ad aiutare.
Non hanno un’automobile, ma un cavallo, Pino che diventerà il compagno di quella che sarà la metafora dell’inseguimento della sua utopia, quella di trovare «un amore da lontano», un pensiero che si porta in testa da quando, giocando con l’enciclopedia che le hanno regalato i suoi genitori, pagandola a rate, ha scoperto la storia di Bernart de Ventadorn, trovatore provenzale, colui che l’avvicina alla poesia: «Leggevo sempre poesie. Mi era rimasto quel chiodo pazzesco di riempirmi la testa di parole strane, che poi chissà se lo capivo che cosa volevano dire, ma andava bene lo stesso, mi facevano salire l’anima, mi portavano in alto…».
E si incontrano tante poesie e tanti poeti in questo romanzo, che lo attraversano come nuvole passeggere, Dante e Petrarca, Saba e Prevert, ma anche quelle dei cantautori da Sergio Endrigo a Lucio Dalla. Perché paradossalmente questa ragazza secca e mingherlina decide di salire in groppa al suo cavallo e di partire perché vuole fare il trovatore. Ne esce un viaggio in Italia, inconsueto e agrodolce, che si si interroga sulla natura dell’amore da lontano, un amore fatto di innocenza e di castità, di quelle cose leggere e vaganti che sono proprie della poesie di Saba. C’è però, all’interno di questa stravaganza narrativa che la Mastrocola sa restituire con grande equilibrio, una forma di moralità per il nostro presente, la chiave di volta che regge questa sua nuova variazione sul tema della 'formazione'. Infatti questa volta punta l’attenzione su un concetto vitale, desueto e dimenticato, la necessità di 'innalzare la vita', di non arrendersi alla sua banalità e ai suoi conformismi, di avere il coraggio di essere sempre fedeli alle proprie personali utopie e non alle ragioni del tempo in cui si vive, che non sono 'ragioni', ma solo accomodamenti.
La ragazza di questo romanzo nella poesia provenzale trova una ragione di più che vuole per lei, per la sua vita, per avere uno sguardo in cui sia possibile che il mondo non stia più addosso, ma possa essere guardato in tutta la sua interezza.
Attraverso la sua esperienza ci racconta gli anni Settanta e i sogni di quella maggioranza silenziosa di giovani, un po’ bistrattati dagli arroganti 'impegnati' e violenti. Lei invece ha altre aspettative, quelle che possono in qualche modo salvare il grigiore di un’esistenza piccolo-borghese con un padre che lavora alla Fiat, orgoglioso e fiero del suo lavoro di operaio e di una madre che ha un banco di frutta e verdura al mercato e che lei andrà ad aiutare.
Non hanno un’automobile, ma un cavallo, Pino che diventerà il compagno di quella che sarà la metafora dell’inseguimento della sua utopia, quella di trovare «un amore da lontano», un pensiero che si porta in testa da quando, giocando con l’enciclopedia che le hanno regalato i suoi genitori, pagandola a rate, ha scoperto la storia di Bernart de Ventadorn, trovatore provenzale, colui che l’avvicina alla poesia: «Leggevo sempre poesie. Mi era rimasto quel chiodo pazzesco di riempirmi la testa di parole strane, che poi chissà se lo capivo che cosa volevano dire, ma andava bene lo stesso, mi facevano salire l’anima, mi portavano in alto…».
E si incontrano tante poesie e tanti poeti in questo romanzo, che lo attraversano come nuvole passeggere, Dante e Petrarca, Saba e Prevert, ma anche quelle dei cantautori da Sergio Endrigo a Lucio Dalla. Perché paradossalmente questa ragazza secca e mingherlina decide di salire in groppa al suo cavallo e di partire perché vuole fare il trovatore. Ne esce un viaggio in Italia, inconsueto e agrodolce, che si si interroga sulla natura dell’amore da lontano, un amore fatto di innocenza e di castità, di quelle cose leggere e vaganti che sono proprie della poesie di Saba. C’è però, all’interno di questa stravaganza narrativa che la Mastrocola sa restituire con grande equilibrio, una forma di moralità per il nostro presente, la chiave di volta che regge questa sua nuova variazione sul tema della 'formazione'. Infatti questa volta punta l’attenzione su un concetto vitale, desueto e dimenticato, la necessità di 'innalzare la vita', di non arrendersi alla sua banalità e ai suoi conformismi, di avere il coraggio di essere sempre fedeli alle proprie personali utopie e non alle ragioni del tempo in cui si vive, che non sono 'ragioni', ma solo accomodamenti.
La ragazza di questo romanzo nella poesia provenzale trova una ragione di più che vuole per lei, per la sua vita, per avere uno sguardo in cui sia possibile che il mondo non stia più addosso, ma possa essere guardato in tutta la sua interezza.
Paola Mastrocola, Più lontana della luna, Guanda, pp. 300, € 16
Avvenire del 27 ottobre 2007
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