Di Massimo Gramellini
Faccio stecca sul coro di stilisti e ministri - da Dolce a Gabbana, da Livia a Turco - che si sono sdilinquiti/e in complimenti per l’ultima pubblicità di Oliviero Toscani, nella quale una modella affetta da anoressia mostra le sue nudità raggrinzite. Non metto in dubbio la buona fede e il talento di chi l’ha ideata. Ma ho oltrepassato la soglia della nausea nei confronti di qualsiasi iniziativa che si proponga di combattere l’orrore con l’orrore. Il fine non giustifica i mezzi, e nemmeno i grezzi. L’arroganza dei politici si contesta meglio senza «vaffa», perché chi parla male alla lunga penserà male, allineandosi a coloro che critica (i quali usano lo stesso linguaggio scurrile). E si possono combattere i drammi del nostro tempo - dal precariato alla depressione, fino alla depressione da precariato - con scelte forti ma eleganti e magari poetiche, senza essere costretti ad alzare di continuo la posta dello stupore.
A furia di bombardare i consumatori con messaggi dirompenti, quelli non si stupiscono più di niente e bisogna aumentargli ogni volta la dose come con i drogati. Un’immagine sempre più scioccante sui muri e una parolaccia pronunciata in coro o in tv elemosinano un attimo d’attenzione, però poi affogano come tutto il resto nella brodaglia di cinismo che è il liquido amniotico in cui flottano le nostre vite. Mostrare quanto faccia schifo la realtà non ha mai migliorato la realtà. Così come esibire il male non induce di per sé al bene. Per spezzare la crosta dell’indifferenza ci vuole la catarsi. Ci vuole cuore. Ci vuole Shakespeare
«La Stampa» del 25 settembre 2007
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