di Massimo Gramellini
Gli studenti politicizzati scendono in piazza. Meno male. Non se ne poteva più di leggere gli appelli dei sessantottini alla D'Alema, che invitavano la Molle Gioventù a imitare l'esempio dei padri e a ribellarsi contro il potere costituito, cioè contro di loro. Finalmente il gran giorno è arrivato. Resta da scoprire la pulsione universale che spinge le nuove avanguardie a occupare le strade, trascinandosi per inerzia una parte del corpaccione studentesco. La solidarietà alla Birmania? Acqua. Il surriscaldamento del globo? Acqua, sia pure calda. La precarietà degli stipendi giovanili e la lievitazione di quelli manageriali? Nemmeno. L'oltraggio che infiamma gli animi è il ripristino degli esami di riparazione a settembre. Che non s'hanno da fare: né a settembre né mai. E la Birmania, il globo, gli stipendi da schiavi? Importanti. Importantissimi. Ma mai quanto un'estate libera dai compiti. Intendiamoci. Nei manifesti si parla anche di temi sacrosanti, quali il caro-libri e la scarsità degli investimenti nella ricerca. Ma rimane l'impressione di una protesta corporativa. Che, come tutte le proteste corporative, sposta il problema sempre un po' più in là e addosso a qualcun altro: in questo caso ai docenti, che non sarebbero all'altezza di esaminare i rimandati. E' la dannazione di un Paese diviso in centinaia di caste abbarbicate ai propri privilegi o comunque ai propri comodi. Però i giovani, almeno loro, non dovrebbero essere una casta. Dovrebbero essere un tutto. Un tutto capace di sognare in grande, visto che i grandi non lo fanno più.
La stampa del 12 ottobre 2007
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