Dai premi truccati ai critici che elargiscono patenti o stendono veti con logiche da consorteria. E i nuovi «salotti» proni alle regole del banale televisivo. Parlano gli intellettuali
di Fulvio Panzeri
Negli anni Sessanta e Settanta c’erano i salotti romani guidati da Moravia, Pasolini e Siciliano e certe pastette o certi veti rispetto a scrittori scomodi o non 'integrati' in questi giri, dietro ai giochini di sostegno benevolo o di raccomandazione evidente, c’era una facciata di rigore intellettuale, data anche dal di più della disputa ideologica che salvava e giustificava tutto. Passano gli anni, ma nulla cambia e il modello del salotto romano fa strada nella società letteraria italiana e si espande e si diffonde, creando quelle che Alfonso Berardinelli su Avvenire nei giorni scorsi (dopo una riflessione di Filippo La Porta sul Riformista), ha chiamato 'mafie buone' e 'mafie cattive', «mafie anche a fin di bene», che si insinuano e inquinano quello che invece dovrebbe essere un semplice 'fare cultura'. E il nuovo modello di 'salotto italiano', che trova sedi a Torino, ma anche a Milano, nel Triveneto e a Roma, 'lupa' genetrice del salotto, è in ascesa libera, come da modelli televisivi fortemente in voga in questi decenni. Certi salotti mantengono la loro dimensione discreta e potente, altri si involgariscono e trasformano questa nostra società letteraria in un vero e proprio Circo Barnum, dove i premi spesso sono 'truccati'. Non c’è bisogno di essere Giucas Casella per sapere chi vincerà il premio Strega 2008: già circola il nome (che non faremo, per lasciare la sorpresa al pubblico), come era circolato negli anni scorsi e l’esito finale non ha mai smentito le funeste previsioni. E dove le recensioni sono un gioco al baratto, io la faccio a te e tu la fai a me e magari poi ci costruiamo un gossip che serve a fare schizzare il libro in classifica. E ancora le case editrici, le maggiori, pubblicano tanto, troppo, senza editing, libri che sembrano bozze non corrette, manoscritti che danno l’impressione di essere stati raccattati dalla strada e magari dietro si nasconde un 'padrino' eccellente che serve la buona causa di lanciare uno scrittore magari 'bisognoso', un po’ come era il patronato di una volta. Con un chiodo fisso: portare il salotto in televisione e istituire così il cosiddetto circo mediatico. Questi i fatti sommari di quella che alcuni si ostinano a chiamare 'casta letteraria'. Ermanno Paccagnini, docente universitario alla Cattolica e critico del Corriere della Sera, ritiene eccessivo definire tutto questo come una 'casta': «È troppo e offende il valore storico che questa parola ha avuto. Quella della società letteraria italiana è una situazione da sottobanco, non può essere nobilitata dall’essere chiamata 'casta'. Oggi la società letteraria si fonda sul concetto del 'dare per avere' e riconosci facilmente queste mosse. Il problema di fondo è quello dell’onestà intellettuale che viene a mancare, perché i recensori in genere non hanno più una propria deontologia che porta a non compromettersi con le case editrici con cui si collabora. Se per esempio un critico dirige una collana di letteratura dovrebbe evitare di recensire i libri che pubblica. Invece succede proprio il contrario e quando l’ho fatto notare, mi è stato risposto che è un comportamento assolutamente lecito. Il responsabile di un supplemento culturale dovrebbe dimettersi, per onestà, da qualsiasi consulenza di tipo editoriale. Questo però non avviene». E aggiunge lo scrittore Guido Conti: «Il clientelismo della critica è evidente. Più che alla sostanza del libro si guarda a fattori personali. Certi giornali preferiscono recensire solo alcune case editrici particolari e il perché lo si scopre subito, in quanto i responsabili delle pagine di cultura pubblicano proprio per quelle case editrici o per quei gruppi». A complicare le cose ci si mettono anche gli scrittori che si inventano critici e si recensiscono tra di loro, un po’ com’è abitudine ormai quarantennale in Italia nell’ambito della poesia, dove i poeti fanno tutto, scrivono i libri, li recensiscono tra loro e poi firmano anche le antologie, senza nessun confronto. Paola Mastrocola, dal suo 'ritiro' torinese se la prende con la critica letteraria che ha perso un proprio metodo: «Non mi piace questa continua mescolanza di ruoli. La trovo scorretta. Va bene che il critico faccia lo scrittore (o viceversa) se ha una vocazione narrativa o una forte tentazione critica, ma non deve recensire altri scrittori italiani. È malsano parlare di gente che frequenti, che fa il tuo stesso lavoro, con cui ti scontri magari sul piano delle poetiche. Meglio astenersi. E non solo per una questione di eleganza formale ». Per Paccagnini si tratta di «una deviazione critica che diventa deleteria » e specifica come «non si sia ancora riusciti a liberarsi del modello Siciliano che esisteva una volta e che era più scafato di quanto succede adesso, con una dose di forte ingenuità ». E aggiunge un dato inedito, quello del giovane scrittore che dirige le collane letterarie: «Non sono ancora riusciti a dare un’opera compiuta di sé e valevole di una citazione e già a 26 anni sono responsabili o di collane o addirittura si inventano maestri nelle scuole di scrittura». Ha invece abbandonato subito la più prestigiosa Marco Missiroli, autore de Il buio addosso, 25 anni, transfugo dalla Scuola Holden: «Le scuole di scrittura non sono luoghi di potere, fanno solo perdere la fiducia in se se stessi. Hanno il vantaggio di offrire vie preferenziali, canali già attivati, conoscenze con le case editrici. Però la competizione lì è troppa e deleteria». E come sopravvive un giovane autore che decide di rimanere fedele alla propria etica: «Se non hai accettato la logica dei sottogruppi che ti può portare dei vantaggi, stai per i fatti tuoi, rimani isolato e vai a finire nel dimenticatoio. L’antidoto è quello di scrivere un buon libro, per stare sopra qualsiasi giochetto editoriale. Un buon libro sfonda comunque e elimina qualsiasi gruppo, perché credo che le coscienze dei lettori siano ancora molto ricettive». È anche l’antidoto di Paola Mastrocola: «Se c’è un mondo salottiero che lega gli scrittori non posso dirlo precisamente. Io non frequento niente e nessuno e mi piace stare con gente che non abbia a che fare con la letteratura. Tanto sui libri, più che la critica, decide il pubblico. La mia è l’ottica di uno scrittore che risponde solo ai suoi lettori». Eppure oggi i libri in classifica sono spesso casi costruiti a tavolino, per fare effetto, casi mediatici o trainati dalle pagine culturali dei giornali che sono in piena crisi. Paccagnini è molto severo in questo senso: «C’è stato uno smantellamento del concetto di cultura nei quotidiani e oggi non interessa più l’approfondimento, ma la concorrenza. Così tutto è stato ridotto alla chiacchiera, alla ricerca dello scoop (spesso falso), al capolavoro presunto e gridato. Si è pensato che la cultura, intesa come fortino, poteva essere più comunicativa e così è iniziato il processo di spettacolarizzazione, dove cultura equivale a gossip culturale. Così se oggi dovessero arrivare in redazione un inedito di Montale e uno di Moana Pozzi, si sceglierebbe senz’altro quello della pornostar». Il resto viene da sé, di degrado in degrado, con poche sacche di resistenza. E un principio sepolto: l’etica personale cui ognuno risponde.
Avvenire del 10 ottobre 2007
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