di Paolo Simoncelli
Passato il momento degli interventi a caldo sulla sentenza della Cassazione che ha definito legittimo «atto di guerra» l'attentato di via Rasella, si può tornare a riflettere su quell'atto che ancora oggi inquieta le coscienze. Viene in genere ignorata la testimonianza di uno dei maggiori storici tedeschi del '900, il sacerdote Hubert Jedin, in quegli anni a Roma perché sospetto alle autorità del Reich. Il suo diario, ai primi di marzo del '44, riporta la confidenza di un esponente della resistenza romana (di cui non fa il nome): «Deve succedere qualcosa che guasti questa riconciliazione (della popolazione civile) con la potenza occupante». Ma c'è di più: l'organizzazione militare della resistenza romana, capeggiata dal colonnello Montezemolo aveva escluso atti di violenza di quel genere, diramando un ordine in cui ricordava testualmente che «la gravità delle conseguenti possibili rappresaglie impedisce di condurre molto attivamente la guerriglia», ed esortando di conseguenza alla propaganda e all'informazione. Non solo all'interno del Cln la presenza del gruppo azionista di giustizia e libertà era forte ma, peggio, a sinistra del Pci s'era sviluppata un'organizzazione politico-militare concorrente, frazionista, «Bandiera rossa». A seguito del tragico attentato si contarono nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine 75 ebrei, 68 esponenti di «Bandiera rossa», 52 azionisti, una trentina di membri della resistenza militare, compreso il colonnello Montezemolo. Venne praticamente decapitata ogni organizzazione resistenziale alternativa a quella comunista. Delle due vittime civili, uno fu un bambino di tredici anni dilaniato in più pezzi dall'esplosione; l'altro fu un esponente di «Bandiera rossa», Antonio Chiaretti (più volte indicato in quei tragici momenti come caduto in combattimento con le SS). La discussione sugli attentati e sulle consapevoli conseguenze che si sarebbero abbattute sulla popolazione civile non è nuova. Già durante la guerra, in Emilia, era noto al P ci l'atteggiamento contadino contrario alle uccisioni di soldati tedeschi; dopo la guerra intervenne Giorgio Agosti a ricordare come in Piemonte ad alienare ai partigiani l'animo contadino era la convinzione che «la rappresaglia poteva essere evitata». Non così per Roma: Amendola, proprio in merito alle Fosse Ardeatine parlò di «tremendo problema» da superare, senza di che non si darebbe guerra partigiana. E veniamo ora anche a un ricordo diverso: la sentenza di condanna di Kappler da parte del tribunale militare, che nel luglio 1948 parlava dell'attentato di via Rasella come di «atto illegittimo di guerra». A far testo stava la II Conferenza internazionale dell'Aia, che prevede per i combattenti di non vestire la divisa però impone la riconoscibilità esterna tramite distintivi del gruppo d'attacco e l'ostentazione palese delle armi. Ma quale resistente o attentatore - di qualunque fronte - l'ha mai fatto? Appunto: di qualunque fronte, anche odierno. Per loro ci sarà domani una sentenza giudiziaria di assoluzione, o solo se saranno stati dalla parte dei vincitori?
«Avvenire» del 10 agosto 2007
Nessun commento:
Posta un commento