Il Premio Nobel racconta il suo rapporto con la scrittura, il potere e l’Europa
di Paul Holdengraber
«Non ho voluto io la polemica sugli armeni L’impegno distrugge il bello della letteratura»
di Paul Holdengraber
«Non ho voluto io la polemica sugli armeni L’impegno distrugge il bello della letteratura»
Può apparire singolare l’interpretazione di Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij proposta da Orhan Pamuk nella sua introduzione a un’edizione turca di quest’opera, prendendo di mira non l’alienazione dell’individuo, bensì il rapporto tra il centro e il margine. Il Premio Nobel scrive che «il vero soggetto di quel libro è la gelosia, la rabbia e l’orgoglio di un uomo che non riesce a trasformarsi in un europeo». Questo, ovviamente, ha una certa risonanza oggi nella situazione turca nei confronti dell’Europa. «Sì - conferma Pamuk - Dostoevskij è un autore con cui mi identifico spesso. Ho imparato molto da lui. Nelle sue Memorie dal sottosuolo, Dostoevskij dichiarava guerra agli occidentalisti superficiali, quegli scrittori didattici che esaltavano incessantemente le meraviglie dell’Occidente. Dostoevskij stesso, è ovvio, si era formato all’occidentale. Aveva frequentato un’accademia militare, ma aveva studiato l’ingegneria così com’era insegnata in Occidente. In gioventù, era stato un sostenitore acceso dell’Occidente anche se, verso la cinquantina, si convertì a un panslavismo di stampo conservatore. Ma proprio in quel periodo, quando stava sviluppando le idee per la sua opera, essere a favore dell’Occidente, adottare la prospettiva positivista della scienza occidentale era un atteggiamento molto ammirato dai giovani russi. E Dostoevskij detestava tutto ciò. Non solo detestava questa ammirazione per l’Occidente, ma si sforzava di contraddire le idee fondamentali della civiltà occidentale del tempo, come quella che tutti gli esseri umani sono razionali e che le loro azioni egocentriche e razionali sarebbero vantaggiose per loro stessi e per la società. Dostoevskij scriveva, molto prima di Freud, che gli esseri umani non sono creature razionali, ma seguono istinti a loro stessi incomprensibili. Si sforzava di penetrare questo lato oscuro dell’animo umano. Chiaramente, si avverte anche una certa gelosia. In quanto russo, era consapevole che la cultura del suo Paese era considerata in Occidente come barbara e sottosviluppata. E questo lo turbava. E reagiva con rabbia contro l’Occidente e gli occidentali per il disprezzo che manifestavano verso il suo popolo». Qui emerge l’analogia con Pamuk: «Per venire al mio caso, io sono turco. Vengo da Istanbul. Sono pienamente calato nella mia cultura. Ma la cultura e la lingua turche non sono mai state al centro del mondo. Così, come Dostoevskij, anch’io nutro una certa qual rabbia e risentimento verso il centro». Naipaul è un altro premio Nobel che scrive sempre su questo tema del centro e del margine. Si identifica in qualche modo con lui? «Le racconterò un aneddoto su Naipaul che non ho mai raccontato a nessuno. A maggio, eravamo tutti e due nello stesso albergo in Italia. Ci siamo incrociati nel salone brevemente e mi ha detto: "Piacere di conoscerla", e se n’è andato. Mentre stavo lasciando l’albergo, il concierge mi si è avvicinato e mi ha detto: "Lo sa, il signor Naipaul l’ammira tantissimo, ha detto tante belle cose su di lei!" Naipaul queste cose non le ha dette a me personalmente, bensì al concierge. Che ironia! Due scrittori non occidentali che comunicano tramite un portiere d’albergo europeo!» Al di là dell’aneddoto, la stima è reciproca: «Oggi - dice Pamuk - quando si fa il nome di Naipaul, tutti si affrettano immediatamente a condannare i suoi commenti politicamente scorretti. Ma questo non è il punto essenziale. Il punto essenziale degli scrittori non sta nei loro fallimenti, ma in quello che riescono a realizzare. Pochi autori sono sempre geniali. Talvolta scrivono qualcosa di straordinario, ed è questo che dovrebbe contare. È a questo che dovremmo fare attenzione. I loro insuccessi, le loro osservazioni insulse in qualche intervista non interessano a nessuno. Resta il fatto che Naipaul è stato il primo scrittore a prestare attenzione a quelle che oggi definiamo le "società postcoloniali" non occidentali, dove, quando i cattivi imperialisti se ne sono andati - ed erano davvero cattivi - una nuova generazione di leader nazionali è salita al potere. A causa dei sensi di colpa, in Occidente vi è stata la tendenza a elogiare queste società postcoloniali senza capire che cosa stava avvenendo al loro interno. Per la prima volta, Naipaul ha saputo osservare con attenzione gli orrori che si andavano perpetrando nel Paese a cui apparteneva, da cui proveniva». Nel frontespizio del romanzo Neve, lei cita Stendhal: «La politica in un’opera letteraria è un colpo di pistola nel bel mezzo di un concerto, un gesto rozzo ma che è impossibile ignorare. Come a dire, stiamo per affrontare un soggetto molto sgradevole». Albert Camus ha detto qualcosa di simile, che la storia politica perfetta ritrae la politica non come qualcosa che abbiamo volutamente ricercato, bensì come «un incidente spiacevole che siamo costretti ad accettare.» Queste idee trovano riscontro nella sua concezione del romanzo e della politica? «Se mette insieme le due cose, trova il mio punto di vista: un incidente spiacevole può capitare a tutti noi, e ci ritroveremo a guardare in faccia cose assai sgradevoli. È certamente quello che mi è capitato in Turchia». Infatti nel 2005 lo scrittore è stato messo sotto accusa per aver parlato apertamente del genocidio degli armeni compiuto dai suoi compatrioti durante la prima guerra mondiale: «Io non mi sono messo a fare politica, non ho mai avuto finalità di questo genere, ma mi sono ritrovato in una situazione politica. Nella mia esperienza, se ripenso ai miei vent’anni, quando tutti erano politicizzati in Turchia, posso dire che mettersi al servizio di una causa distrugge la bellezza della letteratura. Ho visto spesso ottimi autori sperperare il loro talento a causa della politica. Se si considera il romanzo nel suo complesso, la politica non costituisce il soggetto più avvincente. I soggetti affascinanti sono l’amore, la felicità, la vita borghese, il senso della vita, sogni e desideri che sfociano nella delusione». Insomma, Pamuk non ama l’engagement: «La letteratura che tratta di politica è imbevuta di moralismo dozzinale. Anch’io ho scritto un romanzo politico, Neve, ma mi sono sforzato di non emettere giudizi morali su nessuno dei miei personaggi. Il problema del romanzo politico è che il lettore si aspetta il giudizio dell’autore sui personaggi. La vera forza del romanzo sta nell’identificazione dell’autore con il personaggio da lui creato, un’identificazione talmente intensa che gli impedisce di pronunciare giudizi morali. L’arte del romanzo si fonda sulla capacità unica degli esseri umani di identificarsi con l’Altro, con il quale non abbiamo alcun interesse in comune. Mentalmente, mi sforzo di capire quello che questo individuo pensa e prova dentro di sé - un individuo che non è come me, ma appartiene a razza, genere, cultura e classe diverse, che possono anche essere strane o perverse. Si chiama empatia. Certo, non intendo dire che gli esseri umani sono sempre così. Siamo capaci di ammazzare 200 mila iracheni e non ce ne importa più niente, continuiamo ad ascoltare quello che dice George Bush. Siamo capaci di questo, ma anche di pensare e sentire quello che pensano e sentono gli altri. L’arte del romanzo è fondata sulla capacità umana di immedesimazione. Il romanzo funziona se l’autore riesce a identificarsi con i suoi personaggi. Questo significa mettersi nei panni degli altri, non giudicarli».
© Global Viewpoint distribuito da Tribune Media Services (traduzione di Rita Baldassarre)
Su quel genocidio negato ha sfidato la verità ufficiale Il genocidio degli armeni avvenuto sotto l’impero ottomano durante il primo conflitto mondiale (nella foto Ap armeni massacrati dall’esercito turco ad Aleppo) rimane un peso sulla coscienza della Turchia: le vittime furono oltre un milione, ma le autorità di Ankara continuano a sminuire la gravità dell’accaduto Nel 1915, di fronte all’avanzata dell’esercito russo, il governo turco decise di deportare in massa gli armeni, considerati una nazionalità poco affidabile, verso zone desertiche: il risultato fu una strage di enormi proporzioni Per aver parlato della vicenda su una rivista svizzera, Pamuk è stato accusato nel 2005 di atteggiamento «ostile alla Turchia», anche se poi il procedimento contro di lui si è concluso con un nulla di fatto nel gennaio del 2006
«Corriere della sera» del 19 ottobre 2007
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