Lozano Barragán: il Papa non volle ritornare al Gemelli
Di Mario Pappagallo
Di Mario Pappagallo
Accanimento terapeutico, testamento biologico, eutanasia? Cardinale Javier Lozano Barragán che ne pensa? «No all’accanimento terapeutico, sempre che si definisca quali sono le cure sproporzionate. No netto all’eutanasia... ». E il testamento biologico? «Se vuol dire rinunciare all’accanimento terapeutico in quanto tale, non ho obiezioni morali. Ma nella pratica bisogna prendere in considerazione tante condizioni. Non dev’essere un pretesto per l’eutanasia, si deve poter cambiare decisione nel corso della vita, ci dev’essere un fiduciario superpartes (come un notaio per esempio). Ma gli interrogativi aperti restano molti: chi può giudicare se le cure sono sproporzionate e inutili? Chi decide i confini dell’accanimento? Sono questioni troppo difficili da risolvere concretamente ed è per questo che la Conferenza episcopale italiana (la Cei, ndr) si è espressa contro. Perché, nella realtà, il testamento biologico rischia di trasformarsi in una scorciatoia per l’eutanasia». Lei condivide questa posizione o si adegua? Il cardinale sorride e replica: «Domanda furba e intelligente. Io mi attengo alla posizione della Cei, perché ci sono molti nodi ancora da sciogliere». Il cardinale Lozano Barragán è a Milano per partecipare al convegno sull’«eutanasia in oncologia» organizzato dall’Istituto nazionale dei tumori di via Venezian. È il presidente del Pontificio consiglio per gli Operatori sanitari (per la Pastorale della Salute). Tradotto: il ministro della Salute del Vaticano. È arcivescovo di Zacatecas (Messico), ha 74 anni. Sudamericano? «Nordamericano», precisa. Cardinale, ma nel caso di papa Karol Wojtyla, chi ha deciso di non portarlo al Policlinico Gemelli quel 30 marzo 2005 (Giovanni Paolo II è morto la sera del 2 aprile 2005, ndr)? «Lui. Chiese: "Se mi portate al Gemelli avete modo di guarirmi?". La risposta fu no. Allora replicò: "Resto qui, mi affido a Dio"». E’un rifiuto all’accanimento terapeutico? «Sì, nel senso di cure sproporzionate e inutili», dice Lozano Barragán. Wojtyla forse, attaccato a una macchina, sarebbe sopravvissuto oltre il 2 aprile. Ma ai medici disse: «Al Gemelli mi possono fare cure per guarire? No? Allora, grazie ma io resto nel mio appartamento». Lozano Barragán nel suo intervento al convegno ha ribadito che la «Chiesa cattolica è sempre contro la cultura della morte, che la vita umana non è negoziabile». E l’antidoto alla richiesta di morire dei malati? «Il calore umano e le cure palliative. Ho visto troppi malati morire soli», risponde il ministro della Salute del Vaticano. E i malati al convegno sottolineano: «È importante far sentire un paziente terminale non un peso per la sanità e la famiglia, ma curarlo per permettergli di essere attivo fino alla fine». Su 40 mila malati oncologici ricoverati all’Istituto nazionale dei tumori negli ultimi 25 anni, solo quattro hanno chiesto di poter ricorrere all’eutanasia. Ma nessuno di questi, alla fine, l’ha affrontata davvero. A raccontarlo è stata l’oncologa Carla Ripamonti: «Di questi quattro, tre hanno cambiato idea non appena è stato possibile controllare meglio il loro dolore. Il quarto paziente invece ha tentato anche il suicidio, ma è stato salvato: soffriva però di una forte depressione, e aveva paura di perdere la vista a causa della sua malattia, e di dover così dipendere dagli altri». Resta comunque la realtà dei numeri. Un recente sondaggio Ipso indica l’ultimo orientamento degli italiani: il 60% della popolazione «presunta sana» è favorevole all’eutanasia ed oltre l’80% ritiene che «il Parlamento debba discutere nuove norme di legge che prevedano l’eutanasia».
«Corriere della sera» del 4 ottobre 2007
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