L’attacco contro il cristianesimo delle ideologie 'secolari', dalla Rivoluzione francese alla massoneria, dal nazismo al comunismo: una riflessione di Luigi Negri
di Luigi Negri
L’importanza e l’attualità della dottrina sociale ci è testimoniata anche dalla pubblicazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, dove viene affermato: «La Chiesa [...] anche con questo documento sulla sua dottrina sociale intende proporre a tutti gli uomini un umanesimo all’altezza del disegno d’amore di Dio sulla storia, un umanesimo integrale e solidale, capace di animare un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà». Che cosa allora offre all’uomo di oggi la Chiesa attraverso il compendio, ma più in generale attraverso l’intero Magistero sociale di cui questo importante documento rappresenta appunto una sintesi? La possibilità di guadagnare un «umanesimo integrale e solidale».
Il termine umanesimo non è tuttavia esente da ambiguità e richiede pertanto ulteriori chiarimenti. Non bisogna scordare che la modernità ha cercato di realizzare un umanesimo senza Dio. La modernità ha voluto percorrere una strada che poggiava totalmente sull’uomo, sul suo potere, sulla sua capacità di conoscere la realtà, di organizzarla scientificamente e di manipolarla tecnologicamente. Abbiamo assistito per più di due secoli al tentativo di creare un umanesimo senza riferimento religioso, non necessariamente contro Dio, ma certamente senza Dio.
Contro l’idea di umanesimo cristiano la modernità ha adottato due atteggiamenti. Il primo è stato l’atteggiamento del rifiuto, quello della negazione violenta, il cui apice è sicuramente rappresentato dall’enorme numero di cristiani martirizzati nel corso dell’epoca moderna, con l’ultimo immenso tributo pagato nel XX secolo: «Secondo la World Christian Enciclopedia, compilata dallo studioso protestante David Barret (esperto di statistiche), nel XX secolo vi sono stati oltre 45 milioni di martiri, cioè di cristiani che hanno perduto la vita prematuramente in una situazione di ostilità verso il cristianesimo. La cifra è pari a più di 2/3 della somma totale dei martiri dagli inizi del cristianesimo [...]. Il ’900 iniziato con la rivoluzione dei Boxers in Cina, è proseguito con il genocidio degli armeni a opera dei turchi, le persecuzioni anticlericali (massoniche e social-comuniste) in Brasile, Messico, Spagna, la persecuzione nazista in buona parte dell’Europa; il comunismo in Urss e nell’Europa dell’Est».
La distruzione delle chiese, dei conventi, la soppressione delle persone fisiche, dei vescovi, dei sacerdoti, dei laici e il rifiuto del cristianesimo sono conseguenza dell’opzione fondamentale che la modernità ha radicalmente posto: o si è moderni o si è cristiani; o si è per il progresso, per una piena e definitiva realizzazione dell’uomo che rifiuta totalmente il piano trascendente, o si è per una visione retrograda e reazionaria, superstiziosa e nociva che si fonda sulla religione, sulle Chiese e su Dio. Secondo una tale prospettiva, come ha bene evidenziato Augusto Del Noce, «la storia del XX secolo non potrebbe essere intesa che come un processo verso il culmine della modernità coincidente con la piena secolarizzazione, tale da escludere ogni richiamo alla trascendenza religiosa». Le parole di Lenin, nonché la sua azione politica, ce lo confermano a pieno: «Tutte le religioni contemporanee, tutte le Chiese e ogni organizzazione religiosa sono considerate dal marxismo come organi della reazione borghese che servono a difendere lo sfruttamento e l’istupidimento della classe operaia [...]».
Non molto diversa era la concezione di Hitler il quale, commentando il concordato con la Chiesa, così si esprimeva: «Ciò non mi impedirà di sradicare totalmente il cristianesimo dalla Germania, di eliminarlo in maniera completa, radicale e definitiva. È una questione decisiva se il nostro popolo ha una fede ebraico cristiana con la sua morale molle e compassionevole, oppure una forte ed eroica fede in dio nella natura, in dio nel proprio popolo, in dio nel proprio destino, in dio nel proprio sangue [...]. Non è possibile essere cristiani e tedeschi insieme: o si è l’uno o si è l’altro».
L’altro atteggiamento molto più subdolo e pervasivo ha cercato di subordinare la Chiesa al progetto secolaristico della modernità. Ciò è avvenuto innanzitutto tentando, attraverso la rivendicazione della separazione tra Stato e Chiesa, di subordinare la Chiesa allo Stato. Fin dalla Costituzione civile del Clero del 1790 il tema della separazione della Chiesa dallo Stato è stato l’occasione per ribadire la tendenza ad assimilare la vita e la struttura religiosa nell’ambito dello Stato, sviluppando quell’interpretazione rinascimentale e, successivamente, protestante, della politica come strumento del regno. Il tema della separazione è stato affrontato dalla modernità con l’intenzione non tanto di affermare la totale separazione dei due ordini, bensì la priorità dell’ordine politico su quello religioso. Il Concordato con la Chiesa cattolica voluto da Napoleone, come traspare dalle sue stesse parole, è anch’esso inscrivibile in una logica puramente strumentale di subordinazione della religione alla politica. La stessa formula «Libera Chiesa in libero Stato» è espressione di questo tentativo di distinguere e separare la Chiesa e lo Stato nel senso di un assorbimento della Chiesa nello Stato. Prima ancora dello Stato totalitario, lo Stato liberale ha preteso di essere lui a concedere il diritto a esistere e a normare ogni espressione e opera sociale del popolo cristiano. Si è cercato di ridurre la Chiesa a una funzione pedagogica e morale, sempre all’interno dello Stato, come parte integrante di esso, come strumento del regno appunto.
Il termine umanesimo non è tuttavia esente da ambiguità e richiede pertanto ulteriori chiarimenti. Non bisogna scordare che la modernità ha cercato di realizzare un umanesimo senza Dio. La modernità ha voluto percorrere una strada che poggiava totalmente sull’uomo, sul suo potere, sulla sua capacità di conoscere la realtà, di organizzarla scientificamente e di manipolarla tecnologicamente. Abbiamo assistito per più di due secoli al tentativo di creare un umanesimo senza riferimento religioso, non necessariamente contro Dio, ma certamente senza Dio.
Contro l’idea di umanesimo cristiano la modernità ha adottato due atteggiamenti. Il primo è stato l’atteggiamento del rifiuto, quello della negazione violenta, il cui apice è sicuramente rappresentato dall’enorme numero di cristiani martirizzati nel corso dell’epoca moderna, con l’ultimo immenso tributo pagato nel XX secolo: «Secondo la World Christian Enciclopedia, compilata dallo studioso protestante David Barret (esperto di statistiche), nel XX secolo vi sono stati oltre 45 milioni di martiri, cioè di cristiani che hanno perduto la vita prematuramente in una situazione di ostilità verso il cristianesimo. La cifra è pari a più di 2/3 della somma totale dei martiri dagli inizi del cristianesimo [...]. Il ’900 iniziato con la rivoluzione dei Boxers in Cina, è proseguito con il genocidio degli armeni a opera dei turchi, le persecuzioni anticlericali (massoniche e social-comuniste) in Brasile, Messico, Spagna, la persecuzione nazista in buona parte dell’Europa; il comunismo in Urss e nell’Europa dell’Est».
La distruzione delle chiese, dei conventi, la soppressione delle persone fisiche, dei vescovi, dei sacerdoti, dei laici e il rifiuto del cristianesimo sono conseguenza dell’opzione fondamentale che la modernità ha radicalmente posto: o si è moderni o si è cristiani; o si è per il progresso, per una piena e definitiva realizzazione dell’uomo che rifiuta totalmente il piano trascendente, o si è per una visione retrograda e reazionaria, superstiziosa e nociva che si fonda sulla religione, sulle Chiese e su Dio. Secondo una tale prospettiva, come ha bene evidenziato Augusto Del Noce, «la storia del XX secolo non potrebbe essere intesa che come un processo verso il culmine della modernità coincidente con la piena secolarizzazione, tale da escludere ogni richiamo alla trascendenza religiosa». Le parole di Lenin, nonché la sua azione politica, ce lo confermano a pieno: «Tutte le religioni contemporanee, tutte le Chiese e ogni organizzazione religiosa sono considerate dal marxismo come organi della reazione borghese che servono a difendere lo sfruttamento e l’istupidimento della classe operaia [...]».
Non molto diversa era la concezione di Hitler il quale, commentando il concordato con la Chiesa, così si esprimeva: «Ciò non mi impedirà di sradicare totalmente il cristianesimo dalla Germania, di eliminarlo in maniera completa, radicale e definitiva. È una questione decisiva se il nostro popolo ha una fede ebraico cristiana con la sua morale molle e compassionevole, oppure una forte ed eroica fede in dio nella natura, in dio nel proprio popolo, in dio nel proprio destino, in dio nel proprio sangue [...]. Non è possibile essere cristiani e tedeschi insieme: o si è l’uno o si è l’altro».
L’altro atteggiamento molto più subdolo e pervasivo ha cercato di subordinare la Chiesa al progetto secolaristico della modernità. Ciò è avvenuto innanzitutto tentando, attraverso la rivendicazione della separazione tra Stato e Chiesa, di subordinare la Chiesa allo Stato. Fin dalla Costituzione civile del Clero del 1790 il tema della separazione della Chiesa dallo Stato è stato l’occasione per ribadire la tendenza ad assimilare la vita e la struttura religiosa nell’ambito dello Stato, sviluppando quell’interpretazione rinascimentale e, successivamente, protestante, della politica come strumento del regno. Il tema della separazione è stato affrontato dalla modernità con l’intenzione non tanto di affermare la totale separazione dei due ordini, bensì la priorità dell’ordine politico su quello religioso. Il Concordato con la Chiesa cattolica voluto da Napoleone, come traspare dalle sue stesse parole, è anch’esso inscrivibile in una logica puramente strumentale di subordinazione della religione alla politica. La stessa formula «Libera Chiesa in libero Stato» è espressione di questo tentativo di distinguere e separare la Chiesa e lo Stato nel senso di un assorbimento della Chiesa nello Stato. Prima ancora dello Stato totalitario, lo Stato liberale ha preteso di essere lui a concedere il diritto a esistere e a normare ogni espressione e opera sociale del popolo cristiano. Si è cercato di ridurre la Chiesa a una funzione pedagogica e morale, sempre all’interno dello Stato, come parte integrante di esso, come strumento del regno appunto.
«Avvenire» del 21 novembre 2007
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