I genitori e la scuola
di Davide Rondoni
E ora che solo uno su dieci dei genitori è andato a votare nelle elezioni scolastiche negli istituti statali, si scopre che c’è qualcosa che non va. Sì, insomma, di fronte al grande segno di disinteresse rispetto alla partecipazione prevista dagli attuali ordinamenti ci si domanda: come mai ai genitori interessa poco o niente della scuola? Sembrava questa ieri la domanda prevalente sui media che si sono occupati della faccenda. Dalle percentuali di partecipazione del ’74, anno di attuazione, che videro il 77% dei genitori delle scuole elementari, il 72,7% delle medie e il 60% delle superiori, si è scesi inesorabilmente fino agli attuali 29,8 e 21,0 e 10,1.
Dunque, ai genitori interessa davvero poco della scuola dei loro figli? Si possono fare infinite analisi sul dato, ma il cuore del problema non deve sfuggire: la scuola come è organizzata tiene lontano i genitori da una responsabilità attiva. Certo, molti genitori sono pure svogliati e approssimativi. Ma il grosso del problema è un altro. Lo ha centrato l’ex ministro De Mauro in un’intervista di ieri. Infatti, mentre Maria Laura Rodotà invitava i genitori a partecipare ad assemblee per affrontare il problema della sicurezza fuori dalle scuole e per scegliere quali tende ricevere, De Mauro accusava l’attuale centralismo e la mancanza di reale autonomia delle scuole, e dunque la possibilità di coinvolgere i genitori in scelte davvero qualificanti. Come la scelta dei docenti, degli orari, dei contenuti e delle modalità di insegnamento. Chiedere il parere ai genitori solo sulle tende e su problemi di sicurezza, per quanto importanti, significa di fatto escluderli dalla reale missione della scuola, che è quella di istruire educando.
Questa esclusione è figlia di un’idea per cui lo Stato presume di avere l’esclusiva 'paternità' dei contenuti e delle modalità formativi ed educativi. In altre parole, è come se la scuola di Stato dicesse: venite, lasciateci i vostri figli da formare, costa poco, e in cambio vi chiediamo poco, al massimo un parere sulle tende e su come tenere lontani brutti ceffi dai cancelli. Una cultura della irresponsabilità, figlia del centralismo statalista, difesa, come riconosce lo stesso ex-ministro, da molti tra coloro che son chiamati a prendere decisioni «sia nel Parlamento che tra le rappresentanze politiche e sindacali ».
De Mauro parla di grandi resistenze. Ma cosa difendono costoro? Dinanzi a ogni proposta che vuole movimentare l’attuale sistema scolastico, statalista e depresso, si alza un coro di resistenti. Che accusando ora uno ora l’altro – il ministro se vuol cambiar qualcosa, i cattolici perché vogliono parità e libertà scolastica, o Confindustria che chiede a sua volta scelte innovative – si attesta sulla difesa dell’esistente.
Ora anche dal mondo dei genitori arriva un segnale, disperatamente forte: questa scuola ci interessa poco. Forse è ora di chiedere uno scatto di responsabilità a tutti. Una scuola poco interessante per i ragazzi, per i genitori e per chi ci si impegna tutti i giorni è una scuola malata. Che ammala l’intera società di cui è silenzioso ma quotidiano humus. Mentre si fa anche troppo parlare di altri problemi minori, snobbare il segnale lanciato dai genitori sarebbe una grave miopia. Certo, si possono migliorare i meccanismi di rappresentanza. Si possono fare modifiche qua e là. Ma c’è un impianto generale a cui metter mano. Lo possono fare uomini coraggiosi e fiduciosi nel futuro. Che non abbiano paura di chiedere più responsabilità a tutti nell’opera grande e delicata della educazione. Ai docenti responsabilità nei confronti della verità e della libertà. Ai genitori nei confronti della maturità dei propri figli. Agli studenti nei confronti di un compito che non si esaurisce nel solo cavarsela.
Occorrono uomini che non badino solo al calcolo o alla difesa di posizioni di rendita. Per educare, occorre amare la vita più che il proprio tornaconto.
Dunque, ai genitori interessa davvero poco della scuola dei loro figli? Si possono fare infinite analisi sul dato, ma il cuore del problema non deve sfuggire: la scuola come è organizzata tiene lontano i genitori da una responsabilità attiva. Certo, molti genitori sono pure svogliati e approssimativi. Ma il grosso del problema è un altro. Lo ha centrato l’ex ministro De Mauro in un’intervista di ieri. Infatti, mentre Maria Laura Rodotà invitava i genitori a partecipare ad assemblee per affrontare il problema della sicurezza fuori dalle scuole e per scegliere quali tende ricevere, De Mauro accusava l’attuale centralismo e la mancanza di reale autonomia delle scuole, e dunque la possibilità di coinvolgere i genitori in scelte davvero qualificanti. Come la scelta dei docenti, degli orari, dei contenuti e delle modalità di insegnamento. Chiedere il parere ai genitori solo sulle tende e su problemi di sicurezza, per quanto importanti, significa di fatto escluderli dalla reale missione della scuola, che è quella di istruire educando.
Questa esclusione è figlia di un’idea per cui lo Stato presume di avere l’esclusiva 'paternità' dei contenuti e delle modalità formativi ed educativi. In altre parole, è come se la scuola di Stato dicesse: venite, lasciateci i vostri figli da formare, costa poco, e in cambio vi chiediamo poco, al massimo un parere sulle tende e su come tenere lontani brutti ceffi dai cancelli. Una cultura della irresponsabilità, figlia del centralismo statalista, difesa, come riconosce lo stesso ex-ministro, da molti tra coloro che son chiamati a prendere decisioni «sia nel Parlamento che tra le rappresentanze politiche e sindacali ».
De Mauro parla di grandi resistenze. Ma cosa difendono costoro? Dinanzi a ogni proposta che vuole movimentare l’attuale sistema scolastico, statalista e depresso, si alza un coro di resistenti. Che accusando ora uno ora l’altro – il ministro se vuol cambiar qualcosa, i cattolici perché vogliono parità e libertà scolastica, o Confindustria che chiede a sua volta scelte innovative – si attesta sulla difesa dell’esistente.
Ora anche dal mondo dei genitori arriva un segnale, disperatamente forte: questa scuola ci interessa poco. Forse è ora di chiedere uno scatto di responsabilità a tutti. Una scuola poco interessante per i ragazzi, per i genitori e per chi ci si impegna tutti i giorni è una scuola malata. Che ammala l’intera società di cui è silenzioso ma quotidiano humus. Mentre si fa anche troppo parlare di altri problemi minori, snobbare il segnale lanciato dai genitori sarebbe una grave miopia. Certo, si possono migliorare i meccanismi di rappresentanza. Si possono fare modifiche qua e là. Ma c’è un impianto generale a cui metter mano. Lo possono fare uomini coraggiosi e fiduciosi nel futuro. Che non abbiano paura di chiedere più responsabilità a tutti nell’opera grande e delicata della educazione. Ai docenti responsabilità nei confronti della verità e della libertà. Ai genitori nei confronti della maturità dei propri figli. Agli studenti nei confronti di un compito che non si esaurisce nel solo cavarsela.
Occorrono uomini che non badino solo al calcolo o alla difesa di posizioni di rendita. Per educare, occorre amare la vita più che il proprio tornaconto.
«Avvenire» del 29 novembre 2007
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