di Alessandro Caprettini
Nell’Europa a 27 che ha ormai confinato in un angolo l’italiano, spunta a sorpresa una lingua che si riteneva morta e sepolta: il latino. I badge di parlamentari, funzionari e assistenti messi a disposizione per il 2008 hanno infatti stampigliato su - in bella evidenza - «Parlamentum Europeum». Frutto della moral suasion del vice-presidente Mario Mauro (Forza Italia) e di alcuni alleati trovati lungo la strada, convinti che si dovesse fare uno sforzo per evitare che sui tesserini fossero usate le diverse lingue nazionali ma che fosse anche da scartare l’abilitazione delle sole tre (inglese, francese, tedesco) riconosciute come «lingue di lavoro».
Il caso ha voluto poi che un paio di giorni fa, quando i primi badge per l’anno prossimo sono stati distribuiti, fosse presente nel Colosseo di Strasburgo anche una delegazione italo-spagnola di una società che ha creato un nuovo videogioco (Imperium) in cui non solo ci si diverte, ma si fanno anche i conti con la storia ai tempi di Marco Aurelio. Tra coloro che sono approdati sulle rive del Reno per l’occasione, anche due figuranti: un console e un centurione, fotografati in lungo e in largo dalle comitive di turisti che facevano visita all’Europarlamento.
Non è la prima volta che il latino riappare sulla scena Ue. Già a luglio del 2006 la presidenza semestrale finlandese aveva messo sul web traduzioni del proprio programma tra cui una nella lingua di Cicerone, forse perché ad Helsinki ha la sede un radiovideogiornale che trasmette esclusivamente in latino e da 20 anni trova spazio anche nella tv pubblica. Antonio Tajani si complimentò per l’iniziativa («Latine loquimur...» esordì nel suo intervento in aula il capogruppo azzurro), ma sembrava cosa destinata a durare lo spazio di un mattino.
E invece - stando agli esperti per via del semaforo verde acceso da Benedetto XVI al ritorno della messa in latino, come dettato dal Concilio di Trento - ecco che una lingua che si considerava ormai sepolta pare riprender vita, come testimoniato da decine e decine di iniziative.
Peccato che intanto ad avviarsi verso la sepoltura sia l’italiano. Già relegato in seconda fila con l’arrivo dei 15 Paesi ex-est europei nel 2004, la nostra lingua ha perso pian piano posizioni su posizioni nei palazzi europei. Da inizio anno le conferenze stampa della commissione si svolgono ormai solo nelle tre «lingue di lavoro»; da tempo a Bruxelles sono insorti problemi fra istituzioni e comunità italiana per la decisione di spostare i corsi di studio nella nostra lingua in periferia e destinare le scuole europee del centro città solo al trilinguismo ufficiale. Ed è sempre di qualche mese fa la decisione - assunta per cercare di abbattere i costi crescenti delle traduzioni - di limitare ancora ed esclusivamente alle tre «lingue di lavoro» tutti i bandi di concorso Ue.
Bisogna insomma sapere l’inglese, il tedesco o almeno il francese per poter rispondere e partecipare, sia a una eventuale assunzione che a un concorso. L’Avvocatura di Stato ha presentato qualche mese fa un ricorso alla Corte di Lussemburgo, ma si attende l’esito con malcelato pessimismo. La politica, Prodi in testa, non ha fatto invece fin qui una piega. Forse perché proprio l’attuale premier ha portato la Ue a 27. O forse perché hanno ignorato a lungo le disposizioni di Schröder prima e della Merkel poi, come di Chirac prima e di Sarkozy adesso, rivolte ai propri parlamentari e ai propri funzionari perché evitassero nel modo più assoluto di parlare nei luoghi di lavoro comunitari altra lingua che non fossero rispettivamente tedesco e francese.
Il caso ha voluto poi che un paio di giorni fa, quando i primi badge per l’anno prossimo sono stati distribuiti, fosse presente nel Colosseo di Strasburgo anche una delegazione italo-spagnola di una società che ha creato un nuovo videogioco (Imperium) in cui non solo ci si diverte, ma si fanno anche i conti con la storia ai tempi di Marco Aurelio. Tra coloro che sono approdati sulle rive del Reno per l’occasione, anche due figuranti: un console e un centurione, fotografati in lungo e in largo dalle comitive di turisti che facevano visita all’Europarlamento.
Non è la prima volta che il latino riappare sulla scena Ue. Già a luglio del 2006 la presidenza semestrale finlandese aveva messo sul web traduzioni del proprio programma tra cui una nella lingua di Cicerone, forse perché ad Helsinki ha la sede un radiovideogiornale che trasmette esclusivamente in latino e da 20 anni trova spazio anche nella tv pubblica. Antonio Tajani si complimentò per l’iniziativa («Latine loquimur...» esordì nel suo intervento in aula il capogruppo azzurro), ma sembrava cosa destinata a durare lo spazio di un mattino.
E invece - stando agli esperti per via del semaforo verde acceso da Benedetto XVI al ritorno della messa in latino, come dettato dal Concilio di Trento - ecco che una lingua che si considerava ormai sepolta pare riprender vita, come testimoniato da decine e decine di iniziative.
Peccato che intanto ad avviarsi verso la sepoltura sia l’italiano. Già relegato in seconda fila con l’arrivo dei 15 Paesi ex-est europei nel 2004, la nostra lingua ha perso pian piano posizioni su posizioni nei palazzi europei. Da inizio anno le conferenze stampa della commissione si svolgono ormai solo nelle tre «lingue di lavoro»; da tempo a Bruxelles sono insorti problemi fra istituzioni e comunità italiana per la decisione di spostare i corsi di studio nella nostra lingua in periferia e destinare le scuole europee del centro città solo al trilinguismo ufficiale. Ed è sempre di qualche mese fa la decisione - assunta per cercare di abbattere i costi crescenti delle traduzioni - di limitare ancora ed esclusivamente alle tre «lingue di lavoro» tutti i bandi di concorso Ue.
Bisogna insomma sapere l’inglese, il tedesco o almeno il francese per poter rispondere e partecipare, sia a una eventuale assunzione che a un concorso. L’Avvocatura di Stato ha presentato qualche mese fa un ricorso alla Corte di Lussemburgo, ma si attende l’esito con malcelato pessimismo. La politica, Prodi in testa, non ha fatto invece fin qui una piega. Forse perché proprio l’attuale premier ha portato la Ue a 27. O forse perché hanno ignorato a lungo le disposizioni di Schröder prima e della Merkel poi, come di Chirac prima e di Sarkozy adesso, rivolte ai propri parlamentari e ai propri funzionari perché evitassero nel modo più assoluto di parlare nei luoghi di lavoro comunitari altra lingua che non fossero rispettivamente tedesco e francese.
«Il Giornale» del 13 dicembre 2007
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