Lenin e Stalin al potere: la barbarie come virtù
di Antonio Carioti
Grazie all’apertura degli archivi moscoviti, Andrea Graziosi, nel primo volume della sua storia dell’Unione Sovietica, intitolato L’Urss di Lenin e Stalin (Il Mulino), ha ricostruito il periodo 1915-1945 sulla base di una documentazione vastissima e inedita, che rende il suo lavoro assai interessante e innovativo. L’autore non mostra indulgenza per i bolscevichi, di cui sottolinea i forti limiti culturali e l’assoluta mancanza di scrupoli, che li indusse di fatto, nel processo rivoluzionario, a considerare «la barbarie come virtù». Tuttavia Graziosi è critico verso l’uso del termine «totalitario» per connotare il regime dell’Urss. In particolare, quando si sofferma sulla brutale campagna lanciata da Stalin nel 1929 contro il mondo contadino, che culminò nelle carestie del biennio 1932-33, sostiene che in quella fase il sistema sovietico non funzionò come un «totalitarismo modernizzante», teso a controllare le coscienze, bensì come «uno Stato violento e primitivo, guidato da un despota malvagio». In effetti le repressioni sovietiche furono ben più rozze dello sterminio scientifico attuato dalle SS. Però proprio la riuscita cancellazione dalla memoria della tragedia contadina, su cui insiste Graziosi, dimostra la grande capacità del regime sovietico di condizionare le coscienze. E ripropone il confronto con il tentativo nazista di occultare la Shoah.
«Corriere della sera» del 6 dicembre 2007
«Corriere della sera» del 6 dicembre 2007
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