Lo scienziato al microscopio
di Eugenia Roccella
Mentre nel mondo la scoperta delle nuove cellule staminali 'pluripotenti indotte', ottenute senza distruggere embrioni umani, sta rivoluzionando i laboratori di ricerca, in Italia si tenta disperatamente di minimizzare, e soprattutto si tace. Non si sentono più voci che inneggiano alla libertà della scienza e ai suoi meravigliosi progressi, o che magnificano le prospettive, sempre più vicine, di nuove terapie. Quanto fosse strumentale e forzata la contrapposizione tra laici illuminati e cattolici oscurantisti lo si vede adesso, nel confronto con gli altri Paesi. Da noi, silenzio infastidito, amarezza a stento trattenuta. Altrove, sincera gioia per il traguardo raggiunto e nessun imbarazzo nel cambiare idea.
Il New York Times, che ha sempre fieramente sostenuto la ricerca sugli embrioni, pubblica una lunga intervista a Shinya Yamanaka, lo scienziato giapponese che ha scoperto il modo per far regredire le cellule somatiche adulte allo stato embrionale. La scelta fatta da Yamanaka non è stata casuale, e nemmeno dettata da ragioni puramente scientifiche: è stata una scelta etica, o, più semplicemente, umana. È bastato uno sguardo, racconta il New York Times, per cambiare una carriera. Lo scienziato è stato invitato da un amico a visitare una clinica per la procreazione assistita; osservando al microscopio un embrione, Yamanaka ha realizzato che «c’era solo una piccola differenza» tra l’embrione e sua figlia. Da quel momento, ha pensato che non si potevano usare con tanta disinvoltura gli embrioni in laboratorio: «Dev’esserci un altro modo», si è detto. L’ha cercato, e l’ha trovato.
Anche il settimanale americano Time non ha dubbi: è il metodo inventato dal giapponese che, nella classifica delle dieci migliori scoperte pubblicata ogni anno dalla rivista americana, merita di figurare al primo posto. Intanto, i grandi centri che finora hanno drenato flussi di denaro immensi per la ricerca sugli embrioni, subiscono gli scossoni del terremoto scientifico. Nel 2004 la rivista Darwin, diretta da Gilberto Corbellini e sponsorizzata dalla Fondazione Veronesi, parlava con ammirazione del ricercatore coreano Hwang, che sosteneva di aver ottenuto staminali embrionali umane con il metodo della clonazione (in seguito si è scoperto che si trattava di una truffa in perfetto stile Totò). Il titolo del pezzo era significativo: «Il ruggito di Seul». Nello stesso numero si esaltava la creazione, a Singapore, di Biopolis, un enorme campus destinato ad attrarre capitali internazionali da investire nella ricerca biotecnologica. Solo un anno fa, il Corriere della Sera ospitava un intervento dell’esperto Robert Paarlberg in cui si invitava l’Europa a «seguire l’esempio di Singapore e della Corea del Sud», ritenute la punta di diamante della ricerca internazionale. Oggi, però, gli scienziati abbandonano tristemente Singapore. Se ne vanno alla spicciolata – l’ha appena fatto anche Alan Colman, che insieme a Ian Wilmut clonò la famosa pecora Dolly – lasciandosi alle spalle quello che doveva essere il paradiso della libertà di ricerca. Invece – è ancora notizia di ieri – un gruppo italiano conquista la copertina della rivista scientifica internazionale Cell Stem Cell con uno studio assai promettente sulla cura della distrofia muscolare grazie alle staminali adulte.
Impressionante, no? Eppure chissà se tutto questo basterà per convincere i governi europei a fermarsi a riflettere, e a sospendere la distruzione seriale degli embrioni nei laboratori. Chissà se basterà a convincere qualche scienziato a guardare nel microscopio, e a stupirsi di quanto un minuscolo embrione possa essere simile a suo figlio.
Il New York Times, che ha sempre fieramente sostenuto la ricerca sugli embrioni, pubblica una lunga intervista a Shinya Yamanaka, lo scienziato giapponese che ha scoperto il modo per far regredire le cellule somatiche adulte allo stato embrionale. La scelta fatta da Yamanaka non è stata casuale, e nemmeno dettata da ragioni puramente scientifiche: è stata una scelta etica, o, più semplicemente, umana. È bastato uno sguardo, racconta il New York Times, per cambiare una carriera. Lo scienziato è stato invitato da un amico a visitare una clinica per la procreazione assistita; osservando al microscopio un embrione, Yamanaka ha realizzato che «c’era solo una piccola differenza» tra l’embrione e sua figlia. Da quel momento, ha pensato che non si potevano usare con tanta disinvoltura gli embrioni in laboratorio: «Dev’esserci un altro modo», si è detto. L’ha cercato, e l’ha trovato.
Anche il settimanale americano Time non ha dubbi: è il metodo inventato dal giapponese che, nella classifica delle dieci migliori scoperte pubblicata ogni anno dalla rivista americana, merita di figurare al primo posto. Intanto, i grandi centri che finora hanno drenato flussi di denaro immensi per la ricerca sugli embrioni, subiscono gli scossoni del terremoto scientifico. Nel 2004 la rivista Darwin, diretta da Gilberto Corbellini e sponsorizzata dalla Fondazione Veronesi, parlava con ammirazione del ricercatore coreano Hwang, che sosteneva di aver ottenuto staminali embrionali umane con il metodo della clonazione (in seguito si è scoperto che si trattava di una truffa in perfetto stile Totò). Il titolo del pezzo era significativo: «Il ruggito di Seul». Nello stesso numero si esaltava la creazione, a Singapore, di Biopolis, un enorme campus destinato ad attrarre capitali internazionali da investire nella ricerca biotecnologica. Solo un anno fa, il Corriere della Sera ospitava un intervento dell’esperto Robert Paarlberg in cui si invitava l’Europa a «seguire l’esempio di Singapore e della Corea del Sud», ritenute la punta di diamante della ricerca internazionale. Oggi, però, gli scienziati abbandonano tristemente Singapore. Se ne vanno alla spicciolata – l’ha appena fatto anche Alan Colman, che insieme a Ian Wilmut clonò la famosa pecora Dolly – lasciandosi alle spalle quello che doveva essere il paradiso della libertà di ricerca. Invece – è ancora notizia di ieri – un gruppo italiano conquista la copertina della rivista scientifica internazionale Cell Stem Cell con uno studio assai promettente sulla cura della distrofia muscolare grazie alle staminali adulte.
Impressionante, no? Eppure chissà se tutto questo basterà per convincere i governi europei a fermarsi a riflettere, e a sospendere la distruzione seriale degli embrioni nei laboratori. Chissà se basterà a convincere qualche scienziato a guardare nel microscopio, e a stupirsi di quanto un minuscolo embrione possa essere simile a suo figlio.
«Avvenire» del 13 dicembre 2007
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