di Franco Cardini
Il Graal continua ad essere di gran moda: ma non si direbbe che, nonostante il baccano pubblicitario che gli si sta facendo intorno – o forse proprio a causa di esso –, le idee diffuse sulla sua natura siano granché più chiare. Continua ad essere un 'oggetto misterioso': anzi, qualcosa di cui s’ignora perfino se sia in effetti un oggetto, cioè una reliquia, o la forma medievale e occidentale di un mito di sapienza e di potenza concentrato in un oggetto simbolico. Nonostante ciò, gli strumenti a disposizione di chi volesse una buona volta capirne qualcosa senza lasciarsi guidare dal Martin Mystère o dal Dan Brown di turno ci sarebbero. Basterebbe ad esempio affidarsi al bel libro Il Graal. I testi che hanno fondato la leggenda, a cura di Mariantonia Liborio, con un’Introduzione di Francesco Zambon (Mondadori, 2005). Parola che indicava un recipiente a forma di vassoio o di coppa in alcuni dialetti celto-latini (è superstite nel valdostano 'grolla'), il Graal assurse a oggetto prezioso e carico di valore sacrale nel romanzo Perceval del trovatore Chrétien de Troyes, attivo in alcune corti principesche franco-orientali della seconda metà del XII secolo. Quello scritto ebbe tanto successo che ne nacque ben presto un vero e proprio ciclo cavalleresco presto sviluppatosi in numerose e naturalmente non omogenee 'continuazioni': insomma, in una serie di soap opera che si diffusero dal Due al Quattrocento per poi scomparire alla fine del XV secolo.
E si capisce bene perché scomparissero: da una parte la Chiesa non aveva mai troppo apprezzato quei romanzi, che parlavano talora un linguaggio mistico-misterico mentre altre volte erano intrisi d’un ambiguo erotismo, e in cui erano onnipresenti il Cristo e il Mistero eucaristico mentre il ruolo dei ministri del culto, assenti o quasi, era giocato semmai da eroi cavallereschi; dall’altra il loro carattere appunto fortemente legato all’Eucarestia e all’Adorazione del Santo Sangue del Cristo si scontrava con le radici stessi della riforma protestante. Cattolici e protestanti voltarono pertanto concordi le spalle al mito graalico, che non a caso sarebbe ricomparso – ma in un contesto teistico, esoterico e neopagano – soltanto tra Sette e Ottocento, con Schlegel, Scott, Tennyson e Wagner.
Ma ancor oggi si stenta a diffondere, su questo tema, delle letture e delle conoscenze adeguate. Insieme con le tesi esoterico-occultiste sviluppate non tanto da personaggi come René Guénon o Julius Evo- la quanto dai loro numerosi 'discepoli' ed epigoni, grande successo hanno avuto ad esempio i libri d’un curioso erudito tedesco, Otto Rahn, wagneriano e nazista – nonché, sotto il profilo storico-filologico, gran pasticcione –, innamorato di quel 'Paese pirenaico' nel quale sorge la rocca di Montségur (l’ultima fortezza catara, conquistata solo nel 1244 dai crociati) e che aveva fantasiosamente connesso il simbolo graalico con la fede catara. Il movimento neocataro, sviluppatosi nel Novecento soprattutto tra le popolazioni francomeridionali dove forti sono i gruppi che sognano l’autonomia di un’'Occitania' estesa dalla sponda destra del Rodano a Barcellona e alla Loira, ha teso a presentarsi come la facies religiosa dell’irredentismo, addebitando alla Chiesa cattolica e alle sue scelte nel Duecento la fine della libertà occitana.
Le cose stanno naturalmente in modo ben più complesso. Tra XII e XIII secolo in Occitania (come anche altrove, ad esempio in Lombardia e in Toscana) il movimento religioso cataro (che si presentava come un’istanza di ritorno alla purezza cristiana delle origini ma era in realtà una vera e propria religione dualista, che contrapponeva il Bene e il Male e scorgeva quest’ultimo in ogni manifestazione della materia, Creazione compresa) parve addirittura trionfare, sradicare la Chiesa dalle sue fondamenta e imporre una morale e un assetto socio-religioso nuovi. Contro questo pericolo – che nel suo odio per tutto quel che fosse materiale si configurava sostanzialmente come una vera e propria religio mortis: e che pure aveva saputo attrarre trovatori e giovani amanti dell’eros e addirittura fautori di un’indiscriminata libertà sessuale – la cristianità del primo Duecento fu costretta a difendersi: e, falliti gli strumenti della persuasione e della rievangelizzazione, si usarono quelli, spesso spietati, della crociata.
Del catarismo e della 'crociata degli albigesi', che sradicò l’eresia ma desolò la Francia meridionale nella prima metà del Duecento, Michel Roquebert è oggi uno dei maggiori studiosi. Non stupisce quindi che egli sia autore di un libro come I catari e il Graal. Il mistero di una grande leggenda e l’eresia albigese, nel quale si affronta di nuovo il tema del rapporto tra Graal e catarismo rovesciando completamente le tesi care al Rahn. Data l’estrema complessità del 'ciclo' graalico e l’eterogeneità di molti degli autori dei romanzi che lo compongono, è ovvio che all’interno di alcuni di essi esistano anche elementi culturali e filosofici di tipo eterodosso e tentazioni gnostiche, come ha per esempio dimostrato il nostro Francesco Zambon, studioso finissimo di uno dei principali autori di romanzo graalico, Robert de Boron. Ma ciò non vuol affatto dire che vi fossero contaminazioni tra Graal e catarismo.
Al contrario: la chiesa del Duecento dovette affrontare una durissima offensiva spiritualista, mossagli contro da una parte da Gioacchino da Fiore con la sua profezia della futura 'età dello Spirito Santo', dall’altra dal catarismo che, con la sua neomanichea contrapposizione di spirito e Materia, finiva con l’attaccare alla radice l’Incarnazione e il Mistero eucaristico. Ebbene: i romanzi del Graal furono – esattamente al pari della cattedrale d’Orvieto, eretta per onorare un miracolo eucaristico – parte della controffensiva cattolica incentrata sul cristocentrismo, sul Cristo Dio e Uomo. Roquebert riesce a dimostrarlo con impeccabile logica erudita e con grande eleganza, sistematicamente utilizzando i testi dei romanzi graalici duecenteschi. E con ciò riconduce all’ortodossia cattolica una grande espressione letteraria e, insieme, mitica, della nostra letteratura. Le radici dell’Europa, in quanto cristiane, sono anche graaliche. La sia pur artisticamente parlando sublime mistificazione wagneriana viene smascherata in pieno.
Michel Roquebert, I CATARI E IL GRAAL, Il mistero di una grande leggenda e l’eresia albigese, San Paolo. Pagine 254. Euro 22,50
E si capisce bene perché scomparissero: da una parte la Chiesa non aveva mai troppo apprezzato quei romanzi, che parlavano talora un linguaggio mistico-misterico mentre altre volte erano intrisi d’un ambiguo erotismo, e in cui erano onnipresenti il Cristo e il Mistero eucaristico mentre il ruolo dei ministri del culto, assenti o quasi, era giocato semmai da eroi cavallereschi; dall’altra il loro carattere appunto fortemente legato all’Eucarestia e all’Adorazione del Santo Sangue del Cristo si scontrava con le radici stessi della riforma protestante. Cattolici e protestanti voltarono pertanto concordi le spalle al mito graalico, che non a caso sarebbe ricomparso – ma in un contesto teistico, esoterico e neopagano – soltanto tra Sette e Ottocento, con Schlegel, Scott, Tennyson e Wagner.
Ma ancor oggi si stenta a diffondere, su questo tema, delle letture e delle conoscenze adeguate. Insieme con le tesi esoterico-occultiste sviluppate non tanto da personaggi come René Guénon o Julius Evo- la quanto dai loro numerosi 'discepoli' ed epigoni, grande successo hanno avuto ad esempio i libri d’un curioso erudito tedesco, Otto Rahn, wagneriano e nazista – nonché, sotto il profilo storico-filologico, gran pasticcione –, innamorato di quel 'Paese pirenaico' nel quale sorge la rocca di Montségur (l’ultima fortezza catara, conquistata solo nel 1244 dai crociati) e che aveva fantasiosamente connesso il simbolo graalico con la fede catara. Il movimento neocataro, sviluppatosi nel Novecento soprattutto tra le popolazioni francomeridionali dove forti sono i gruppi che sognano l’autonomia di un’'Occitania' estesa dalla sponda destra del Rodano a Barcellona e alla Loira, ha teso a presentarsi come la facies religiosa dell’irredentismo, addebitando alla Chiesa cattolica e alle sue scelte nel Duecento la fine della libertà occitana.
Le cose stanno naturalmente in modo ben più complesso. Tra XII e XIII secolo in Occitania (come anche altrove, ad esempio in Lombardia e in Toscana) il movimento religioso cataro (che si presentava come un’istanza di ritorno alla purezza cristiana delle origini ma era in realtà una vera e propria religione dualista, che contrapponeva il Bene e il Male e scorgeva quest’ultimo in ogni manifestazione della materia, Creazione compresa) parve addirittura trionfare, sradicare la Chiesa dalle sue fondamenta e imporre una morale e un assetto socio-religioso nuovi. Contro questo pericolo – che nel suo odio per tutto quel che fosse materiale si configurava sostanzialmente come una vera e propria religio mortis: e che pure aveva saputo attrarre trovatori e giovani amanti dell’eros e addirittura fautori di un’indiscriminata libertà sessuale – la cristianità del primo Duecento fu costretta a difendersi: e, falliti gli strumenti della persuasione e della rievangelizzazione, si usarono quelli, spesso spietati, della crociata.
Del catarismo e della 'crociata degli albigesi', che sradicò l’eresia ma desolò la Francia meridionale nella prima metà del Duecento, Michel Roquebert è oggi uno dei maggiori studiosi. Non stupisce quindi che egli sia autore di un libro come I catari e il Graal. Il mistero di una grande leggenda e l’eresia albigese, nel quale si affronta di nuovo il tema del rapporto tra Graal e catarismo rovesciando completamente le tesi care al Rahn. Data l’estrema complessità del 'ciclo' graalico e l’eterogeneità di molti degli autori dei romanzi che lo compongono, è ovvio che all’interno di alcuni di essi esistano anche elementi culturali e filosofici di tipo eterodosso e tentazioni gnostiche, come ha per esempio dimostrato il nostro Francesco Zambon, studioso finissimo di uno dei principali autori di romanzo graalico, Robert de Boron. Ma ciò non vuol affatto dire che vi fossero contaminazioni tra Graal e catarismo.
Al contrario: la chiesa del Duecento dovette affrontare una durissima offensiva spiritualista, mossagli contro da una parte da Gioacchino da Fiore con la sua profezia della futura 'età dello Spirito Santo', dall’altra dal catarismo che, con la sua neomanichea contrapposizione di spirito e Materia, finiva con l’attaccare alla radice l’Incarnazione e il Mistero eucaristico. Ebbene: i romanzi del Graal furono – esattamente al pari della cattedrale d’Orvieto, eretta per onorare un miracolo eucaristico – parte della controffensiva cattolica incentrata sul cristocentrismo, sul Cristo Dio e Uomo. Roquebert riesce a dimostrarlo con impeccabile logica erudita e con grande eleganza, sistematicamente utilizzando i testi dei romanzi graalici duecenteschi. E con ciò riconduce all’ortodossia cattolica una grande espressione letteraria e, insieme, mitica, della nostra letteratura. Le radici dell’Europa, in quanto cristiane, sono anche graaliche. La sia pur artisticamente parlando sublime mistificazione wagneriana viene smascherata in pieno.
Michel Roquebert, I CATARI E IL GRAAL, Il mistero di una grande leggenda e l’eresia albigese, San Paolo. Pagine 254. Euro 22,50
«Avvenire» del 22 dicembre 2007
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