Le elezioni nei licei
di Giorgio De Rienzo
Nelle elezioni studentesche dei licei cedono i collettivi di sinistra, vincono i cattolici e (forse) la destra o piuttosto i gruppi apolitici. Pronta l'analisi (velenosetta) di Carlo Pedretti, preside del Parini, uno dei licei protagonisti del '68. Secondo lui ai giovani d' oggi mancano idee, progetti e prospettive. «I collettivi sono orfani della sinistra», dice: «Del resto questi ragazzi non sanno nemmeno chi è Marx». Poi smorza il suo pensiero: assistiamo a «un ritorno all'apolitica», cioè «di fronte allo spettacolo penoso dei politici, i giovani si ritraggono». Scelgono perciò il disimpegno. Mi pare un'interpretazione antica per una scuola che, se nella sua impalcatura rimane sicuramente vecchia, fra i ragazzi si fa pian piano nuova. Gli slogan dei vincitori, al di là di cadute inevitabili nel linguaggio goliardico, possono sembrare troppo semplicistici. Dicono nella sostanza di pretendere «una scuola più accogliente» e dunque attenta ai problemi di chi studia. «Siamo risentiti - dice un volantino - contro un ministro che ci ha messo con le spalle al muro ma non fa nulla di concreto» contro troppi «professori incompetenti e impreparati». Non credo si possa liquidare sbrigativamente con il marchio di «qualunquismo» una richiesta esplicita di cose tanto semplici ma essenziali di ragazzi che si aggregano, senza un'appartenenza (ma a chi dovrebbero appartenere mai?), su temi concreti e anche - perché no? - spiccioli. Al Berchet «Cl» ha fatto pari con i collettivi di sinistra e il candidato più amato dai compagni non esulta, ma ribatte il concetto fondamentale di «voler vivere meglio le lezioni», nonché «usare i laboratori, organizzare un' edicola nell' atrio, proporre gite all' osservatorio di Merate, partecipare a qualche corso universitario, installare le macchine da caffè al terzo piano». Caffè a parte, non è politica questa? Come ha giustamente detto Lanfranco Senn, ex allievo di don Giussani, ora docente alla Bocconi, il maestro «ha incarnato non tanto un' idea, ma un coinvolgimento nella vita, nella scuola, nella cultura. Questa voglia di concretezza e di positività piace ai ragazzi più di tanti dibattiti»: troppi e sgangherati, aggiungerei.
«Corriere della sera» del 16 novembre 2007
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