di Fulvio Panzeri
Gli scrittori italiani quando parlano di adolescenti proprio non riescono ad azzeccare il tono giusto. O costruiscono romanzetti seriali tutto latte e miele alla Moccia o si lasciano andare a quella drammatizzazione dei sentimenti che è tipica dell’adolescenza e che fanno da esca sugli improvvidi lettori. E di romanzi che ci raccontano queste adolescenze troppo sfortunate, dove ne capitano di tutti i colori, dalla perdita dei genitori alle malattie inguaribili dei fratelli, negli scorsi mesi se ne sono visti davvero tanti in libreria. È mai possibile che uno scrittore non riesca ad avere l’adeguata distanza per capire che l’adolescenza va raccontata non da adolescenti, ma da adulti, quindi con un sano spirito critico che riesca a dare ritratti un po’ meno stereotipati di quella che è l’età critica per i ragazzi? Sono considerazioni che nascono dopo aver letto il nuovo racconto lungo di Paola Mastrocola, La narice del coniglio (Guanda) che non sceglie un adolescente come protagonista del libro, ma una ragazza che è già pienamente nell’età adulta e ha una particolarità, un’espressione, quella della 'narice del coniglio', che a volte la mette in imbarazzo, perché è un movimento che le viene senza che lei possa evitarlo, mettendola in situazioni complicate, soprattutto nei rapporti con gli altri. Ebbene Paola Mastrocola, pur non scrivendo un libro che ha per protagonista un adolescente, ci mostra ancora una volta quanto invece il buon senso e l’assenza di melò, possano essere molto più credibili e veritieri di tutti quei drammoni che la moda editoriale ha sfornato. La Mastrocola parla di adolescenza nel raccontare a flashback la storia di Barbara, questo suo piccolo vezzo, che può provocare vergogna, insicurezza. O può essere usata anche come arma strategica, un modo per farsi notare, tanto più che dopo la scuola è diventata un’organizzatrice di 'eventi', come si dice oggi, mestiere che lei approccia inizialmente un po’ goffamente, ma nel quale poi riesce a destreggiarsi con un certo savoir faire, a meno che non le scappi quell’espressione sul viso. Nei romanzi precedenti Paola Mastrocola ha raccontato il tema della formazione, che le è particolarmente caro, anche dal punto di vista educativo. Allora perché ad equilibrare le sorti di un naufragio espressivo degli adolescenti nei romanzi italiani, tra il troppo amore scritto ovunque e il troppo dolore a volte inverosimile è rimasta Paola Mastrocola, anche quando non tratta l’argomento in modo diretto, ma emerge dal contesto della storia? La questione è semplice e non di secondaria importanza: innanzitutto la Mastrocola è una narratrice che conosce il mondo giovanile, in quanto insegnante, quindi ha un innato senso della realtà, ma anche del paradosso che della realtà viene veicolato dai mass media. Anche in questo breve racconto non perde l’occasione per lanciare qualche frecciata in questo senso. C’è poi un’altra grande qualità che contraddistingue la Mastrocola: la sua sottilissima ironia che regala alla sua scrittura un tono brillante che ricorda quello di una grande attrice del calibro di Franca Valeri. Sa anche la scrittrice che gli adolescenti hanno bisogno di essere 'sdrammatizzati' nei loro eccessi, umorali e sentimentali e che l’ironia può essere utilissima per questo raffreddamento necessario. Così l’adolescenza diventa un po’ più normale e vera, come quella di Barbara, accompagnata semplicemente da sbuffi della narice, giornate agre e inevitabili euforie.
"Avvenire" del 7 agosto 2009
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