di Maurizio Cucchi
Il libro è una passione, è un simbolo. È qualcosa di indissolubilmente legato al nostro desiderio di sapere, di capire; alla nostra esigenza irrinunciabile di esprimere noi stessi e il nostro vitale bisogno di conoscenza. Ma il libro è un oggetto, per molti come me forse l’oggetto più caro, e anche gli oggetti hanno una durata, una presenza storica, e sono destinati spesso, prima o poi, a scomparire. Di questi tempi anche il libro vacilla, l’elettronica lo sta mettendo in crisi, l’editoria si interroga, e l’e- book non è più, ormai, un pensiero fantascientifico, lontano nel futuro o nell’immaginazione. E allora? Dobbiamo prepararci con dolore alla scomparsa del libro, del libro tradizionale? Chissà … Certo, in proposito, le opinioni di molti, e soprattutto di scrittori, o di lettori di antica data, sono varie ma generalmente malinconiche. C’è chi dice che il libro di carta non potrà scomparire, c’è chi, come Sandro Veronesi, in un’intervista recente a « Repubblica » , sostiene che « sopravvivrà e non per feticismo, ma perché è perfetto, giustamente ingombrante, pieno di eros » . A parte il risvolto da battuta vanamente salottiera dell’ultimo dettaglio, lo scrittore ha quasi ragione nel trovarlo « perfetto » , il libro. In fin dei conti è una perfezione relativa. Vale a dire legata a un modo di lettura acquisito e consolidato nei secoli. Quanto all’ingombro… Beh, penso a uno strumento come l’iPod, che ci consente di immagazzinare in uno spazio tascabilissimo una quantità impressionante di ore musicali. Qualcosa del genere applicato alla letteratura sarebbe formidabile. Resta, s’intende, il nostro amore per l’oggetto- libro, che non è né facile né sensato smantellare. Non sono un bibliofilo, ma una casa senza libri mi fa orrore. Eppure troppi libri, soprattutto nel nostro tempo, sono tali solo in quanto oggetti. Quanti sono, in realtà, i cosiddetti non- libri, o pseudo- libri? Una considerazione mi sembra decisiva: il libro è uno strumento, non è essenziale all’opera, che deve poter sussistere indipendentemente e non essere condizionata dal luogo che la ospita, anche se spessissimo e sempre più, nel corso del tempo, elementi accessori, grafici, sono intervenuti nel corpo stesso del testo. Potremmo dire, parlando di luogo che ospita l’opera, che si tratta di una sorta di casa in affitto, non di proprietà del testo stesso, che deve poter avere vita autentica anche altrove. Dunque, anche in un congegno elettronico. Lo stesso Veronesi ammette che vedere la sua opera in e- book non gli dispiacerebbe; a « rimetterci – precisa – sarebbe il lettore » , che perderebbe la « fisicità della lettura » . E qui si aprirebbe un tema ben più rilevante, un tema davvero centrale, cioè quello del rapporto diretto e fisico col reale che nel nostro tempo si va facendo sempre più vago e aleatorio, tanto da produrre in noi un senso di perdita, una sorta di nostalgia della realtà. Ma questa è un’altra storia. Quello che conta, però, libro o e- book, è che rimanga l’opera, che rimanga la scrittura.
"Avvenire" del 13 agosto 2009
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