Uno studio accusa la critica di aver ignorato la visione del mondo dello scrittore russo scomparso il 3 agosto di un anno fa
Di Edward E Ericson Jr.
Per Solzenicyn la realtà ultima delle cose consiste nel regno trascendente, e i principi morali fanno parte della creazione divina allo stesso titolo degli elementi naturali e degli esseri umani. Questi principi non sono né auto-generati, né costruiti dall’uomo. Una delle numerose componenti tematiche di questo universo morale — la giustizia — emerge nello sviluppo di Gleb Nerzin, l’alter ego dell’autore in Primo cerchio. Avendo attraversato le fasi del marxismo giovanile e del successivo scetticismo, alla fine il personaggio approda all’idea che la «giustizia non è mai relativa», ma anzi è «la pietra angolare, il fondamento dell’universo», e che «siamo nati con il senso della giustizia nell’anima ». Queste riflessioni fanno parte dello sforzo cosciente di Nerzin di elaborare una propria visione del mondo, attraverso le continue discussioni con i due amici della šaraška di Marfino, ognuno dei quali ha una propria visione ben delineata: Lev Rubin il marxista e Dmitrij Sologdin il cristiano. Nello stesso romanzo anche Innokentij Volodin rivede la propria visione della vita e del mondo. Se prima agiva secondo il principio «si vive una volta sola», attraverso una dura esperienza, arriva a comprendere che «si ha anche una coscienza sola». Volodin arriva addirittura a postulare l’idea di «una giusta visione del mondo».
La letteratura critica della visione del mondo non è fine a se stessa, ma aiuta una lettura intelligente. Il credere nel mondo morale dà forma all’autocoscienza di Solzenicyn anche come scrittore.
Nel suo discorso per il premio Nobel Solzenicyn descrive due tipi di artisti. Il suo tipo di artista «riconosce sopra di sé un potere più alto e lavora gioiosamente come un umile apprendista sotto il cielo di Dio» e «non ha alcun dubbio sul fondamento di questo mondo». L’altro tipo di artista «immagina di essere il creatore di un mondo spirituale autonomo» che riceve impeto dalla propria esperienza soggettiva, la sua concezione della letteratura dipende dall’idea del proprio ego autonomo. In tal modo incarna ciò che Solzenicyn identificava nel suo discorso di Harvard come «autonomia umanistica», o «antropocentrismo» che è il nucleo della visione del mondo del modernismo filosofico scaturito dall’Illuminismo. Solzenicyn si scaglia contro questa concezione del mondo moderna, così come contro il suo discendente bastardo, il post-modernismo. Nei decenni suc- cessivi ai due saggi scritti da Šmeman, altri critici occidentali hanno seguito la sua linea e hanno sviluppato quanto egli aveva iniziato. La raccolta di saggi che sarà pubblicata da Russkij put’ ha come premessa il fatto che la generazione attuale di studiosi russi di Solzenicyn, che è poi anche la prima, si avvicina molto di più all’approccio standard degli studi occidentali su Solzenicyn che non alla critica della visione del mondo sviluppata da un gruppo abbastanza ristretto di critici occidentali. Far conoscere al grande pubblico questi studi controcorrente e spesso trascurati, è forse il miglior servizio che l’Occidente possa fornire in questo momento ai russi che studiano Solzenicyn. Questi studi colmano il vuoto lasciato dagli studi accademici convenzionali.
Richard Tempest, promotore del convegno su Solzenicyn all’Università dell’Illinois nel 2007, osservava nel suo intervento che, al di là dei meriti di certi studi strutturalisti, lo scrittore è stato, stranamente, molto poco studiato. Come mai?
Immaginiamo per un momento un futuro studioso che ne indaghi il motivo. Sicuramente questo studioso troverà un grande distacco tra Solzenicyn e i dipartimenti accademici che dovrebbero studiarlo. Il nostro studioso immaginario descriverà la rivoluzione avvenuta negli studi accademici occidentali verso la fine del XX secolo, quando la teoria (a volte con la lettera maiuscola) diventa l’interesse principale degli studiosi.
E questa considerazione lo porterà a vedere alcune discrepanze clamorose tra l’autore e gli studi accademici. E osserverà che l’approccio teoretico ha eclissato l’interesse per la letteratura in sé, che ha svalutato la lettura diretta delle opere letterarie per quello che sono, e ha innalzato l’atto critico a un tale grado di importanza da rivaleggiare se non addirittura superare l’atto creativo; e cercherà di capire come questi sviluppi possano aiutare a capire meglio l’opera di Solzenicyn.
E si chiederà come l’interesse crescente in materia di razza e di genere possa servire a illuminare il cuore della visione morale di Solzenicyn. E rifletterà come la morte dell’Autore si possa conciliare con una produzione letteraria così fortemente autobiografica come quella di Solzenicyn. E si chiederà come possa un critico fondato su presupposti relativistici affrontare l’opera di un autore certo del carattere fondamentalmente non arbitrario della vita morale. E capirà allora il rapporto problematico fra un autore che assume valori universali metastorici come la natura umana non modificabile e l’ordine morale oggettivo, e un critico che accetta la contingenza storica come spiegazione sufficiente di qualsiasi convinzione. E dal momento che queste domande ne generano un’altra serie infinita, il nostro futuro studioso potrebbe giustamente arrivare a chiedersi: perché mai un membro di un dipartimento di letteratura dovrebbe essere indotto a dedicare una parte significativa delle sue energie per studiare la visione del mondo di un autore i cui valori sono così sfacciatamente in contrasto con i concetti che il critico ha così cari? Solzenicyn, come ha detto Treadgold, sarebbe effettivamente un vero enigma per certi critici.
La letteratura critica della visione del mondo non è fine a se stessa, ma aiuta una lettura intelligente. Il credere nel mondo morale dà forma all’autocoscienza di Solzenicyn anche come scrittore.
Nel suo discorso per il premio Nobel Solzenicyn descrive due tipi di artisti. Il suo tipo di artista «riconosce sopra di sé un potere più alto e lavora gioiosamente come un umile apprendista sotto il cielo di Dio» e «non ha alcun dubbio sul fondamento di questo mondo». L’altro tipo di artista «immagina di essere il creatore di un mondo spirituale autonomo» che riceve impeto dalla propria esperienza soggettiva, la sua concezione della letteratura dipende dall’idea del proprio ego autonomo. In tal modo incarna ciò che Solzenicyn identificava nel suo discorso di Harvard come «autonomia umanistica», o «antropocentrismo» che è il nucleo della visione del mondo del modernismo filosofico scaturito dall’Illuminismo. Solzenicyn si scaglia contro questa concezione del mondo moderna, così come contro il suo discendente bastardo, il post-modernismo. Nei decenni suc- cessivi ai due saggi scritti da Šmeman, altri critici occidentali hanno seguito la sua linea e hanno sviluppato quanto egli aveva iniziato. La raccolta di saggi che sarà pubblicata da Russkij put’ ha come premessa il fatto che la generazione attuale di studiosi russi di Solzenicyn, che è poi anche la prima, si avvicina molto di più all’approccio standard degli studi occidentali su Solzenicyn che non alla critica della visione del mondo sviluppata da un gruppo abbastanza ristretto di critici occidentali. Far conoscere al grande pubblico questi studi controcorrente e spesso trascurati, è forse il miglior servizio che l’Occidente possa fornire in questo momento ai russi che studiano Solzenicyn. Questi studi colmano il vuoto lasciato dagli studi accademici convenzionali.
Richard Tempest, promotore del convegno su Solzenicyn all’Università dell’Illinois nel 2007, osservava nel suo intervento che, al di là dei meriti di certi studi strutturalisti, lo scrittore è stato, stranamente, molto poco studiato. Come mai?
Immaginiamo per un momento un futuro studioso che ne indaghi il motivo. Sicuramente questo studioso troverà un grande distacco tra Solzenicyn e i dipartimenti accademici che dovrebbero studiarlo. Il nostro studioso immaginario descriverà la rivoluzione avvenuta negli studi accademici occidentali verso la fine del XX secolo, quando la teoria (a volte con la lettera maiuscola) diventa l’interesse principale degli studiosi.
E questa considerazione lo porterà a vedere alcune discrepanze clamorose tra l’autore e gli studi accademici. E osserverà che l’approccio teoretico ha eclissato l’interesse per la letteratura in sé, che ha svalutato la lettura diretta delle opere letterarie per quello che sono, e ha innalzato l’atto critico a un tale grado di importanza da rivaleggiare se non addirittura superare l’atto creativo; e cercherà di capire come questi sviluppi possano aiutare a capire meglio l’opera di Solzenicyn.
E si chiederà come l’interesse crescente in materia di razza e di genere possa servire a illuminare il cuore della visione morale di Solzenicyn. E rifletterà come la morte dell’Autore si possa conciliare con una produzione letteraria così fortemente autobiografica come quella di Solzenicyn. E si chiederà come possa un critico fondato su presupposti relativistici affrontare l’opera di un autore certo del carattere fondamentalmente non arbitrario della vita morale. E capirà allora il rapporto problematico fra un autore che assume valori universali metastorici come la natura umana non modificabile e l’ordine morale oggettivo, e un critico che accetta la contingenza storica come spiegazione sufficiente di qualsiasi convinzione. E dal momento che queste domande ne generano un’altra serie infinita, il nostro futuro studioso potrebbe giustamente arrivare a chiedersi: perché mai un membro di un dipartimento di letteratura dovrebbe essere indotto a dedicare una parte significativa delle sue energie per studiare la visione del mondo di un autore i cui valori sono così sfacciatamente in contrasto con i concetti che il critico ha così cari? Solzenicyn, come ha detto Treadgold, sarebbe effettivamente un vero enigma per certi critici.
"Avvenire" del 1 agosto 2009
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