Della società, non dello stato
di Giuseppe Dalla Torre
Le recenti polemiche sull’ora di religione hanno evidenziato, ancora una volta, quanto siano diffusi certi singolari modi di concepire la scuola 'pubblica'.
Uno di questi attiene al rapporto tra Stato, scuola e società civile. Si parla spesso, infatti, di scuola statale intendendola – forse non del tutto lucidamente – come apparato attraverso il quale lo Stato modella la società nelle sue più giovani generazioni. Siffatto modo di concepire la scuola pubblica ha radici nella nostra storia. In effetti, nell’età post- risorgimentale, quando realizzata l’Italia si dovevano formare gli italiani, la scuola statale fu l’apparato attraverso il quale la classe sociale che aveva fatto il Risorgimento cercò, tra l’altro, di modificare la cultura dominante nelle masse popolari, tradizionalmente cattoliche, per orientarla piuttosto nel senso di un’ideologia laica. Si pensi solo alla lettura per eccellenza, e di tanto successo, delle prime classi scolastiche: il Cuore di De Amicis. Ebbene, in questo testo, pure di buona letteratura, di eccellenti sentimenti, di ispirati valori civici e morali, che raffigura nei particolari la vita quotidiana dell’'Italietta', si parla di tutto, ma non c’è mai un riferimento a Dio, alla religione, alla Chiesa; passano reggimenti con la bandiera nazionale, di fronte alla quale si invitano i piccoli astanti a togliersi il copricapo, ma non passano mai processioni o funerali religiosi; si parla dell’aula, e del suo arredo, dove insegnava la maestrina dalla penna rossa, ma non si fa mai cenno al crocifisso che pure era appeso sul muro alle sue spalle.
Ora, è davvero singolare questa rappresentazione dell’Italia del secondo Ottocento, da cui religione e cattolicesimo, assolutamente dominanti nella vita pubblica e sociale, sono del tutto silenziati e ignorati. Lo stesso potrebbe dirsi per il capolavoro di Collodi, Pinocchio; e la giusta osservazione secondo cui dietro la morale laica del racconto è tutta l’anima cattolica dell’Italia altro non è, a ben vedere, che il «perché non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce.
Si tratta dunque di una letteratura talmente lontana dalla realtà, da indurre a pensare che ci fosse una volontà di modificare, attraverso di essa, sentimenti e cultura dominanti.
Poi venne il fascismo, ed a maggior ragione la scuola statale divenne luogo privilegiato di indottrinamento e di manipolazione delle intelligenze, nel contesto di una più generale politica del regime diretta ad educare verso l’ideologia dominante. È singolare che, nonostante l’avvento della Repubblica e della sua Carta costituzionale, quel modo di concepire la scuola di tanto in tanto riaffiori. La Costituzione, infatti, con i suoi principi del personalismo e del pluralismo, con il suo orientamento degli apparati pubblici secondo criteri di sussidiarietà, con la sua valorizzazione della società civile, postulerebbe un pensare diverso. Nella misura in cui lo Stato è a servizio della società civile, e non viceversa, la scuola statale dovrebbe essere apparato formativo a servizio della società civile e non il contrario. La scuola è di Stato perché dallo Stato è istituita e mantenuta, ma è la casa della società civile, in cui questa forma le più giovani generazioni. Ad eccezione dei valori e principi costituzionali, che fondano il vivere insieme, lo Stato non ha un suo pensiero al quale indottrinare, lasciando che nella sua scuola si rifletta la società civile nella sua realtà e complessità.
Se ci si pone in questa prospettiva, anche la questione della laicità dello Stato, risollevata nelle polemiche sull’ora di religione, acquista un differente profilo. Perché laico è certamente lo Stato, che non ha una religione od una ideologia da imporre ai consociati; ma laica non è la società civile, nella quale la religione è e si esprime pubblicamente
Uno di questi attiene al rapporto tra Stato, scuola e società civile. Si parla spesso, infatti, di scuola statale intendendola – forse non del tutto lucidamente – come apparato attraverso il quale lo Stato modella la società nelle sue più giovani generazioni. Siffatto modo di concepire la scuola pubblica ha radici nella nostra storia. In effetti, nell’età post- risorgimentale, quando realizzata l’Italia si dovevano formare gli italiani, la scuola statale fu l’apparato attraverso il quale la classe sociale che aveva fatto il Risorgimento cercò, tra l’altro, di modificare la cultura dominante nelle masse popolari, tradizionalmente cattoliche, per orientarla piuttosto nel senso di un’ideologia laica. Si pensi solo alla lettura per eccellenza, e di tanto successo, delle prime classi scolastiche: il Cuore di De Amicis. Ebbene, in questo testo, pure di buona letteratura, di eccellenti sentimenti, di ispirati valori civici e morali, che raffigura nei particolari la vita quotidiana dell’'Italietta', si parla di tutto, ma non c’è mai un riferimento a Dio, alla religione, alla Chiesa; passano reggimenti con la bandiera nazionale, di fronte alla quale si invitano i piccoli astanti a togliersi il copricapo, ma non passano mai processioni o funerali religiosi; si parla dell’aula, e del suo arredo, dove insegnava la maestrina dalla penna rossa, ma non si fa mai cenno al crocifisso che pure era appeso sul muro alle sue spalle.
Ora, è davvero singolare questa rappresentazione dell’Italia del secondo Ottocento, da cui religione e cattolicesimo, assolutamente dominanti nella vita pubblica e sociale, sono del tutto silenziati e ignorati. Lo stesso potrebbe dirsi per il capolavoro di Collodi, Pinocchio; e la giusta osservazione secondo cui dietro la morale laica del racconto è tutta l’anima cattolica dell’Italia altro non è, a ben vedere, che il «perché non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce.
Si tratta dunque di una letteratura talmente lontana dalla realtà, da indurre a pensare che ci fosse una volontà di modificare, attraverso di essa, sentimenti e cultura dominanti.
Poi venne il fascismo, ed a maggior ragione la scuola statale divenne luogo privilegiato di indottrinamento e di manipolazione delle intelligenze, nel contesto di una più generale politica del regime diretta ad educare verso l’ideologia dominante. È singolare che, nonostante l’avvento della Repubblica e della sua Carta costituzionale, quel modo di concepire la scuola di tanto in tanto riaffiori. La Costituzione, infatti, con i suoi principi del personalismo e del pluralismo, con il suo orientamento degli apparati pubblici secondo criteri di sussidiarietà, con la sua valorizzazione della società civile, postulerebbe un pensare diverso. Nella misura in cui lo Stato è a servizio della società civile, e non viceversa, la scuola statale dovrebbe essere apparato formativo a servizio della società civile e non il contrario. La scuola è di Stato perché dallo Stato è istituita e mantenuta, ma è la casa della società civile, in cui questa forma le più giovani generazioni. Ad eccezione dei valori e principi costituzionali, che fondano il vivere insieme, lo Stato non ha un suo pensiero al quale indottrinare, lasciando che nella sua scuola si rifletta la società civile nella sua realtà e complessità.
Se ci si pone in questa prospettiva, anche la questione della laicità dello Stato, risollevata nelle polemiche sull’ora di religione, acquista un differente profilo. Perché laico è certamente lo Stato, che non ha una religione od una ideologia da imporre ai consociati; ma laica non è la società civile, nella quale la religione è e si esprime pubblicamente
«Avvenire» del 25 agosto 2009
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