Paranoie della modernità. Così ci si allontana dal reale
di Francesco D'Agostino
Così le ha chiamate Giovanni Jervis, l’illustre psicoanalista da poco scomparso: paranoie della modernità. Jervis alludeva alle innumerevoli forme di sospetto e soprattutto di 'iperinterpretazione' che a livello di mentalità diffusa vengono elaborate contro ciò che non vogliamo far rientrare nei nostri schemi mentali. Invece di cercare di conoscere le cose come stanno, di scioglierne i nodi, di comprometterci con la realtà, la respingiamo, la stigmatizziamo, facendo in modo di trovarci sempre dalla parte dei 'buoni' e di qualificare quelli che ci si contrappongono come 'cattivi'. Gli esiti di questo atteggiamento possono essere più o meno gravi, ma in ogni caso attivano incomprensioni, regressi culturali, fraintendimenti, faziosità e soprattutto il più delle volte arcigne forme di ostilità che è difficilissimo rimuovere. Si vuole un esempio? Pensiamo a come la cultura laicista sta (mal) recependo una delle dimensioni del magistero di Benedetto XVI, la condanna del relativismo. È evidente che per il Papa l’alternativa al relativismo è Cristo stesso, l’unico uomo nella storia che abbia mai detto di se stesso: «Io sono la verità». Ma è anche evidente che l’insegnamento del Papa sul relativismo non ha un’esclusiva finalità catechetica: anche il non credente (e Giovanni Jervis era tra questi) è bene in grado di percepire come nel mondo di oggi il relativismo sia un cancro non solo 'teoretico', ma soprattutto 'pratico': infatti, se il bene non è oggettivo (ma il cristiano, con Dostoevskij, direbbe piuttosto: «Se Dio non c’è») perché non dovremmo permetterci letteralmente tutto, anche le azioni più infami e crudeli, ove fosse nelle nostre possibilità compierle impunemente? Qui nasce il problema, che molti laicisti rifiutano addirittura di riconoscere come un problema, riducendo il discorso del Papa a quello di chi, volendo fondare l’etica su Dio, arriverebbe di fatto a fondarla solo sulla minaccia dell’inferno (!!!). «Non va bene così!», essi ci spiegano pazientemente: l’etica si fonda sull’autonomia! Come può chi voglia comportarsi moralmente abdicare all’autonomia individuale, al principio fondamentale dell’umanesimo? Paranoie della modernità. Dio viene pensato dai laicisti non come colui che ci dà la libertà, ma colui che, per il solo fatto di esistere, ce la toglierebbe.
Scatta qui l’'iperinterpretazione': non solo Dio ci toglierebbe la libertà, ma arriverebbe a toglierci anche l’amore: se è Dio che ci ha amato per primi, come potremmo noi a nostra volta amare 'autonomamente' ed essere moralmente soddisfatti di noi stessi? E a questo punto la paranoia diviene di fatto un vero e proprio delirio: non si nasconderà dietro il riferimento a Dio – si chiedono alcuni – un’occulta e malevola volontà da parte dei nostri parlamentari di clericalizzare la nostra legislazione, di darci leggi che assomigliano più a precetti religiosi che a norme giuridiche? «Opinioni!», faceva dire Ugo Foscolo al suo Didimo Chierico. Dobbiamo rispettare le opinioni di tutti. Opinioni, certamente, ma corrosive. Opinioni che ci indeboliscono moralmente, che ci inducono a ritenere che esistano comunque in noi forze adeguate, in grado di autorigenerarci ogni giorno. E se queste forze ci portassero verso l’indifferenza, il disimpegno, l’egoismo, la crudeltà? Quando la nostra coscienza morale viene davvero messa alla prova dal male presente nel mondo, quando pensiamo ai cadaveri degli extra-comunitari annegati nel canale di Sicilia, capiamo che l’etica non si fonda sulle nostre autonome, insindacabili opinioni, per nobili che esse pretendano di essere, ma su di una radicale e doverosa scelta per il bene. Possiamo liberarci dalle paranoie della modernità?
Possiamo, perché dobbiamo. La paranoia altera la nostra percezione della realtà, la impoverisce e la umilia. Dal richiamo a Dio e (con un linguaggio più filosofico) all’Assoluto non abbiamo nulla da temere. Lo sapeva benissimo perfino il più cinico degli illuministi settecenteschi, quando insegnava che solo Dio può essere il garante morale dell’umanità. Per noi, che non siamo illuministi (o non lo siamo in quel senso), Dio è ben altro che il controllore del buon comportamento sociale degli uomini: è nostro 'padre'. E quando si comprende che del padre non bisogna aver paura, perché tutto ciò che egli ci chiede è solo fiducia ed amore, che cominciamo a liberarci dalla paranoia. Possiamo farlo, dobbiamo farlo.
Scatta qui l’'iperinterpretazione': non solo Dio ci toglierebbe la libertà, ma arriverebbe a toglierci anche l’amore: se è Dio che ci ha amato per primi, come potremmo noi a nostra volta amare 'autonomamente' ed essere moralmente soddisfatti di noi stessi? E a questo punto la paranoia diviene di fatto un vero e proprio delirio: non si nasconderà dietro il riferimento a Dio – si chiedono alcuni – un’occulta e malevola volontà da parte dei nostri parlamentari di clericalizzare la nostra legislazione, di darci leggi che assomigliano più a precetti religiosi che a norme giuridiche? «Opinioni!», faceva dire Ugo Foscolo al suo Didimo Chierico. Dobbiamo rispettare le opinioni di tutti. Opinioni, certamente, ma corrosive. Opinioni che ci indeboliscono moralmente, che ci inducono a ritenere che esistano comunque in noi forze adeguate, in grado di autorigenerarci ogni giorno. E se queste forze ci portassero verso l’indifferenza, il disimpegno, l’egoismo, la crudeltà? Quando la nostra coscienza morale viene davvero messa alla prova dal male presente nel mondo, quando pensiamo ai cadaveri degli extra-comunitari annegati nel canale di Sicilia, capiamo che l’etica non si fonda sulle nostre autonome, insindacabili opinioni, per nobili che esse pretendano di essere, ma su di una radicale e doverosa scelta per il bene. Possiamo liberarci dalle paranoie della modernità?
Possiamo, perché dobbiamo. La paranoia altera la nostra percezione della realtà, la impoverisce e la umilia. Dal richiamo a Dio e (con un linguaggio più filosofico) all’Assoluto non abbiamo nulla da temere. Lo sapeva benissimo perfino il più cinico degli illuministi settecenteschi, quando insegnava che solo Dio può essere il garante morale dell’umanità. Per noi, che non siamo illuministi (o non lo siamo in quel senso), Dio è ben altro che il controllore del buon comportamento sociale degli uomini: è nostro 'padre'. E quando si comprende che del padre non bisogna aver paura, perché tutto ciò che egli ci chiede è solo fiducia ed amore, che cominciamo a liberarci dalla paranoia. Possiamo farlo, dobbiamo farlo.
«Avvenire» del 26 agosto 2009
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