Dagli anni Sessanta in poi si è affermato un concetto di democrazia che privilegia soltanto le pretese individuali a danno del bene comune. Una riflessione del filosofo francese Pierre Manent
Di Pierre Manent
Di Pierre Manent
La democrazia ha avuto due nascite: una più antica e una più moderna. La prima nascita della democrazia è avvenuta nella polis greca.
Passando dal regime delle tribù – delle famiglie allargate – al regime della città, si è passati da un ordine umano in cui non c’era nulla in comune a un altro ordine dove c’è una cosa inaudita, una cosa che molti gruppi umani non hanno mai conosciuto e che molti uomini tuttora non conoscono: la cosa comune.
La cosa pubblica, la cosa comune, la città, e questa cosa pubblica è un bene comune. Non c’è democrazia, non c’è città senza bene comune, senza una cosa in comune. In un secondo tempo vi è stata una seconda nascita della democrazia, e questa seconda nascita è avvenuta con modalità molto diverse. Quella greca è scomparsa dal mondo molto in fretta. Ci sono stati vari periodi: quello romano, il Cristianesimo, il feudalesimo. Riassumendo una storia comunque molto complicata, a un certo punto della storia dell’Europa, intorno al XVI-XVII secolo, abbiamo dovuto aprirci una strada nel disordine incredibile della politica moderna. C’erano le città, c’erano i regni, l’Impero romano, la Chiesa, le chiese, la Riforma: una storia davvero molto complicata. Tanto che gli Europei hanno preso una decisione molto audace, hanno costituito un progetto davvero audace. Se non introducono un ordine politico stabile, moriranno perché faranno la guerra. Nel XVI secolo, e soprattutto nel XVII, si elabora una nuova definizione dell’ordine politico. Si parte dall’individuo: l’individuo che non vuole morire, l’individuo che scopre i propri diritti e i propri bisogni, e l’ordine politico assume un nuovo senso. L’ordine politico diventa un mezzo di protezione, di tutela dei diritti individuali. Ecco la grande opposizione tra la prima e la seconda nascita della democrazia. La prima è nata come scoperta del bene comune, mentre il secondo progetto democratico nasce come la scoperta dei diritti individuali.
Con la ridefinizione dell’ordine politico che ne scaturisce si arriva alla tutela dei diritti individuali.
In seguito, nella storia della democrazia, le due definizioni cercheranno naturalmente di congiungersi in un qualche modo. La democrazia, in un contesto nazionale così come l’abbiamo conosciuta a partire dalla Rivoluzione francese fino alla metà del XX secolo, è un’armonia, o meglio un impegno, uno sforzo, per cercare di fare in modo che tutto tenga: i diritti individuali e i diritti della cosa comune. Mi sembra invece che a partire dagli anni Sessanta – non dirò dal Sessantotto, sapendo che gli eventi di quegli anni tutto sommato rappresentano i segni di questa trasformazione – la seconda definizione della democrazia, quella di protezione e attuazione dei diritti abbia la meglio sempre di più sulla prima definizione di democrazia. La democrazia come tutela dei diritti individuali ha la meglio sulla democrazia che invece attuava l’altra idea, quella del bene comune. La conseguenza forse più negativa è che ormai la rivendicazione dei diritti non si preoccupa più di essere giustificata. Se voi prendete le vecchie formule del diritto vedrete che, per essere giustificate, riprendevano i grandi trattati filosofici di Hobbes, di Locke, il Contratto sociale di Rousseau, il concetto kantiano della dignità umana, la Critica della ragion pura, la Dottrina del D iritto e la Dottrina della Virtù.
Oggi, invece, il diritto viene giustificato nel momento in cui viene rivendicato. In nome del diritto è come se ci fosse una pretesa per la quale non c’è nemmeno più bisogno di argomentare razionalmente, e questo viene messo sulla piazza pubblica. In altre parole, noi stiamo abbandonando quello che era stato comune nella filosofia antica e moderna, cioè questo bisogno del logos e della ragione, di dare una ragione a quello che si dice, di giustificare quello che si dice, di poggiare su delle ragioni tutte le cose che si propongono. Mi sembra che questa sia la situazione attuale della rivendicazione dei diritti. Le nostre democrazie si trovano davanti a grandi difficoltà, e questa irrazionalità della rivendicazione dei diritti è una difficoltà. Il compito dell’Europa è avere una visione più equilibrata della propria storia politica e spirituale. Non è certo una scoperta quella che sto per dirvi, ma questa verità banale deve essere presente nella nostra mente. L’Europa è stata fatta grazie a tre tradizioni, le nostre nazioni attingono a tre tipologie di fonte. Della terza fonte ne ho già parlato, è la tradizione liberale dei diritti individuali, che a un certo punto è come impazzita, come si può dire del motore di un auto che a un certo punto è andato in panne. Dovremmo riuscire a far partecipare al dibattito pubblico le altre due grandi tradizioni, senza le quali la vita comune dell’Europa va squilibrandosi. Della prima tradizione dirò solo una parola: tradizione cristiana. L’idea che l’uomo è un essere che ha dei diritti viene equilibrata dal cristianesimo; per cercare di esprimermi nel modo più semplice, ogni vita umana è l’avventura di un’anima immortale. L’altra tradizione – che non possiamo dimenticare e che forse è la prima tradizione europea – è la tradizione repubblicana nel senso più ampio del termine, la tradizione elaborata ad Atene e poi continuata a Roma; è l’idea stessa della vita politica, della vita comune, del bene comune, quello che a Firenze si chiamava il vivere civile, libero, il viver politico. Quindi c’è la tradizione repubblicana, la tradizione cristiana e quella liberale. C’è un problema di alta politica nel cercare di far fronte alle difficoltà che ci sono oggigiorno a causa dei diritti individuali così come noi li sentiamo. C’è una tentazione: andare in guerra, aprire la guerra contro questa nuova tradizione poco razionale del diritto individuale. Negli Stati Uniti, per esempio, in un contesto certo diverso, ma analogo, si parla di guerra fra culture. Personalmente non sono convinto della fertilità di questo tipo di approccio. Le varie modalità polemiche possono essere necessarie in un ordine politico, ma in un ordine spirituale ci vogliono approcci forse più indiretti, perché sono più utili. Il miglior modo di temperare questi diritti individuali, che sono appunto non razionali, non è denunciarne l’assenza di ragioni – che è quello che fra l’altro ho appena fatto – ma cercare di mostrare tutte le ragioni che ci sono nella tradizione repubblicana del bene comune e nell’altra tradizione.
Auspico quindi che la tradizione liberale, la tradizione dei diritti individuali, trovi un posto più equilibrato in una vita comune europea in cui le altre due grandi tradizioni ritrovino un posto più conforme ai loro meriti intellettuali, morali, politici e spirituali.
Passando dal regime delle tribù – delle famiglie allargate – al regime della città, si è passati da un ordine umano in cui non c’era nulla in comune a un altro ordine dove c’è una cosa inaudita, una cosa che molti gruppi umani non hanno mai conosciuto e che molti uomini tuttora non conoscono: la cosa comune.
La cosa pubblica, la cosa comune, la città, e questa cosa pubblica è un bene comune. Non c’è democrazia, non c’è città senza bene comune, senza una cosa in comune. In un secondo tempo vi è stata una seconda nascita della democrazia, e questa seconda nascita è avvenuta con modalità molto diverse. Quella greca è scomparsa dal mondo molto in fretta. Ci sono stati vari periodi: quello romano, il Cristianesimo, il feudalesimo. Riassumendo una storia comunque molto complicata, a un certo punto della storia dell’Europa, intorno al XVI-XVII secolo, abbiamo dovuto aprirci una strada nel disordine incredibile della politica moderna. C’erano le città, c’erano i regni, l’Impero romano, la Chiesa, le chiese, la Riforma: una storia davvero molto complicata. Tanto che gli Europei hanno preso una decisione molto audace, hanno costituito un progetto davvero audace. Se non introducono un ordine politico stabile, moriranno perché faranno la guerra. Nel XVI secolo, e soprattutto nel XVII, si elabora una nuova definizione dell’ordine politico. Si parte dall’individuo: l’individuo che non vuole morire, l’individuo che scopre i propri diritti e i propri bisogni, e l’ordine politico assume un nuovo senso. L’ordine politico diventa un mezzo di protezione, di tutela dei diritti individuali. Ecco la grande opposizione tra la prima e la seconda nascita della democrazia. La prima è nata come scoperta del bene comune, mentre il secondo progetto democratico nasce come la scoperta dei diritti individuali.
Con la ridefinizione dell’ordine politico che ne scaturisce si arriva alla tutela dei diritti individuali.
In seguito, nella storia della democrazia, le due definizioni cercheranno naturalmente di congiungersi in un qualche modo. La democrazia, in un contesto nazionale così come l’abbiamo conosciuta a partire dalla Rivoluzione francese fino alla metà del XX secolo, è un’armonia, o meglio un impegno, uno sforzo, per cercare di fare in modo che tutto tenga: i diritti individuali e i diritti della cosa comune. Mi sembra invece che a partire dagli anni Sessanta – non dirò dal Sessantotto, sapendo che gli eventi di quegli anni tutto sommato rappresentano i segni di questa trasformazione – la seconda definizione della democrazia, quella di protezione e attuazione dei diritti abbia la meglio sempre di più sulla prima definizione di democrazia. La democrazia come tutela dei diritti individuali ha la meglio sulla democrazia che invece attuava l’altra idea, quella del bene comune. La conseguenza forse più negativa è che ormai la rivendicazione dei diritti non si preoccupa più di essere giustificata. Se voi prendete le vecchie formule del diritto vedrete che, per essere giustificate, riprendevano i grandi trattati filosofici di Hobbes, di Locke, il Contratto sociale di Rousseau, il concetto kantiano della dignità umana, la Critica della ragion pura, la Dottrina del D iritto e la Dottrina della Virtù.
Oggi, invece, il diritto viene giustificato nel momento in cui viene rivendicato. In nome del diritto è come se ci fosse una pretesa per la quale non c’è nemmeno più bisogno di argomentare razionalmente, e questo viene messo sulla piazza pubblica. In altre parole, noi stiamo abbandonando quello che era stato comune nella filosofia antica e moderna, cioè questo bisogno del logos e della ragione, di dare una ragione a quello che si dice, di giustificare quello che si dice, di poggiare su delle ragioni tutte le cose che si propongono. Mi sembra che questa sia la situazione attuale della rivendicazione dei diritti. Le nostre democrazie si trovano davanti a grandi difficoltà, e questa irrazionalità della rivendicazione dei diritti è una difficoltà. Il compito dell’Europa è avere una visione più equilibrata della propria storia politica e spirituale. Non è certo una scoperta quella che sto per dirvi, ma questa verità banale deve essere presente nella nostra mente. L’Europa è stata fatta grazie a tre tradizioni, le nostre nazioni attingono a tre tipologie di fonte. Della terza fonte ne ho già parlato, è la tradizione liberale dei diritti individuali, che a un certo punto è come impazzita, come si può dire del motore di un auto che a un certo punto è andato in panne. Dovremmo riuscire a far partecipare al dibattito pubblico le altre due grandi tradizioni, senza le quali la vita comune dell’Europa va squilibrandosi. Della prima tradizione dirò solo una parola: tradizione cristiana. L’idea che l’uomo è un essere che ha dei diritti viene equilibrata dal cristianesimo; per cercare di esprimermi nel modo più semplice, ogni vita umana è l’avventura di un’anima immortale. L’altra tradizione – che non possiamo dimenticare e che forse è la prima tradizione europea – è la tradizione repubblicana nel senso più ampio del termine, la tradizione elaborata ad Atene e poi continuata a Roma; è l’idea stessa della vita politica, della vita comune, del bene comune, quello che a Firenze si chiamava il vivere civile, libero, il viver politico. Quindi c’è la tradizione repubblicana, la tradizione cristiana e quella liberale. C’è un problema di alta politica nel cercare di far fronte alle difficoltà che ci sono oggigiorno a causa dei diritti individuali così come noi li sentiamo. C’è una tentazione: andare in guerra, aprire la guerra contro questa nuova tradizione poco razionale del diritto individuale. Negli Stati Uniti, per esempio, in un contesto certo diverso, ma analogo, si parla di guerra fra culture. Personalmente non sono convinto della fertilità di questo tipo di approccio. Le varie modalità polemiche possono essere necessarie in un ordine politico, ma in un ordine spirituale ci vogliono approcci forse più indiretti, perché sono più utili. Il miglior modo di temperare questi diritti individuali, che sono appunto non razionali, non è denunciarne l’assenza di ragioni – che è quello che fra l’altro ho appena fatto – ma cercare di mostrare tutte le ragioni che ci sono nella tradizione repubblicana del bene comune e nell’altra tradizione.
Auspico quindi che la tradizione liberale, la tradizione dei diritti individuali, trovi un posto più equilibrato in una vita comune europea in cui le altre due grandi tradizioni ritrovino un posto più conforme ai loro meriti intellettuali, morali, politici e spirituali.
"Avvenire" del 4 agosto 2008
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