Dai territori dell’ex Urss fino al Myanmar si allarga il fronte della resistenza agli autoritarismi del XXI secolo. Parlano gli esperti
di Antonio Giuliano
Era armato solo di un sacchetto di plastica, di quelli della spesa. Ma era convinto di poter fermare i carri armati di Pechino. Sono passati ormai vent’anni da quando quello sconosciuto ragazzino in piazza Tienanmen sfidava la follia del regime comunista cinese. Eppure la sua immagine ritorna prepotente in queste settimane in cui nuovi dissidenti si ergono contro gli autoritarismi del XXI secolo. Dal Myanmar, che processa il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, alla Cecenia, dove dopo l’omicidio della giornalista Nataliya Estemirova, erede di Anna Politkovskaja, a farne le spese sono stati altri attivisti per i diritti umani. Per non parlare della Cina in cui si fa sempre più duro il giro di vite verso intellettuali e oppositori. Ma lo slavista Vittorio Strada precisa subito: «Bisogna distinguere caso per caso. Ci sono senz’altro Paesi dove le aspettative del crollo del Muro di Berlino si sono rivelate del tutto fallaci: a Cuba o in Cina, il regime politico è rimasto immutato. E poi Stati autoritari che non possono essere definiti né comunisti, né post comunisti, come il Venezuela. Come diversa è la situazione del regime iraniano o quella attuale del Caucaso. Certo c’è un unico comune denominatore: la richiesta di libertà». Anche sull’identità di chi si oppone Strada chiarisce: «Lo stesso termine dissidente venne fuori verso la fine del secolo scorso nei Paesi dell’ex blocco sovietico. Ma già allora si intravedevano due opposizioni distinte: più 'politica' negli Stati satelliti dell’Unione Sovietica, come Ungheria, Cecoslovacchia o Polonia dove ebbe grande rilevanza il sindacato 'Solidarnosc'; più 'intellettuale' in Urss dove ebbero influenza anche fenomeni di costume occidentali. Anche ora in Russia, nonostante le condizioni politiche siano cambiate, è più forte una dissidenza culturale. E non è un caso se, pur tollerando la libertà d’espressione, il governo russo tenda a mettere il bavaglio ai mezzi d’informazione». Così come sono cambiati gli scenari. «Oggi, crollato il totalitarismo comunista, – continua Strada – sono spuntate nuove forme di oppressione legate a pulsioni nazionaliste. L’ambizione russa di estendere la propria influenza sui territori dell’ex impero sovietico produce tensioni non solo in Cecenia o in Georgia, ma anche in Ucraina che presto potrebbe essere un nuovo fronte caldo. Il problema è che non vedo in giro intellettuali come un tempo Solzenicyn, Sacharov, Havel, Walesa: c’è un generale decadimento della funzione degli uomini di cultura, anche in Occidente, che rende debole la dissidenza. E gli interessi economici degli Stati occidentali con Paesi come Russia e Cina non favorisce cambiamenti. Ancora più difficile per i dissidenti dei regimi islamici, dove la saldatura tra potere religioso politico culturale economico soffoca l’opposizione». Khaled Fouad Allam, sociologo dell’islam e saggista, ribatte: «C’è però da tener in considerazione la storia e le culture diverse dei Paesi islamici: molti sono reduci da anni di terrorismo e guerre, come l’Algeria. In realtà rispetto alla dissidenza degli anni Settanta guidata più dalle élite intellettuali, c’è oggi un maggior coinvolgimento delle masse. Grazie ai nuovi supporti tecnologici legati al Web la dissidenza è cresciuta ovunque. Ma non è detto che gli effetti siano più forti. Per produrre cambiamenti c’è bisogno di un coinvolgimento totale della società civile che richiede tempi diversi in relazione alle varie vicende storiche degli Stati: in quelli islamici occorre più tempo». Per Allam nel corso degli anni ci sono state analisi e strategie approssimative: «È stato sottovalutato l’Islam fondamentalista attivo già all’inizio del secolo scorso. E spesso c’è uno scarso interesse dei media e dell’opinione pubblica mondiale per i fenomeni di dissidenza. Occorre senz’altro una nuova 'grammatica' delle relazioni internazionali che privilegi il dialogo fra le culture. Certo la spinta deve avvenire all’interno delle società islamiche: interessante appare il caso iraniano, perché mi pare si tratti di una 'perestrojka', una trasformazione del regime dall’interno. Ma non è detto che ci sarà un effetto domino sugli altri Paesi. Incoraggiano però le aperture del potere politico in Marocco e in Giordania». Più ottimista Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews: «Se guardiamo soprattutto al caso cinese, la vera novità è la rivendicazione non solo di un particolare diritto umano: la libertà di stampa, la libertà d’espressione, eccetera. Ma la coscienza di nuova valutazione dell’uomo e della sua dignità, per cui ci si batte attivamente al fianco della popolazione nei soprusi che sopporta: come l’esproprio delle terre, l’inquinamento atmosferico o quello delle fabbriche. La dissidenza ha una visione non più ideologica, anche buona, dei diritti umani. Ma punta alla difesa integrale della persona umana e questo dipende anche dal fatto che molti dissidenti oggi sono diventati cristiani, protestanti o cattolici. L’influenza della religione è molto forte per cui le richieste ai regimi insistono sul valore assoluto della persona. E ne vediamo già gli effetti: per esempio molti avvocati cinesi oggi non fanno soltanto gli attivisti ma operano gratis per la difesa di queste popolazioni, come nel caso di cristiani o buddisti tibetani. A tal punto che il governo cinese preoccupato sta cercando di eliminare dall’albo degli avvocati queste persone...». Colpisce la brutalità e la ricorrenza dei fenomeni di repressione: « Succede – spiega Cervellera – perché i poteri politici si sentono sempre più braccati dall’aumento di consapevolezza delle popolazioni. In Cina ci sono 87 mila rivolte ogni anno. E anche in Vietnam e in Myanmar cresce questo legame tra religione e dissidenza che preoccupa i regimi. Ma i dissidenti si fanno sentire pure nel mondo islamico, anche se sono perseguitati duramente. In Arabia Saudita chiunque osa proclamare i diritti umani viene messo in prigione. In Egitto chi rivendica l’uguaglianza tra uomo e donna viene accusato di apostasia. Purtroppo però i governi occidentali hanno rapporto solo con i governi e non sostengono le società civili. Ma le voci dei dissidenti si fanno ogni giorno più forti».
«Avvenire» del 18 agosto 2009
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