Gli allarmi per il consumo di alcol
di Davide Rondoni
Facciamoli ubriacare, va bene. Ma di altro. Non di pessimo alcool in ritrovi di allegria che sfuma, comprato abusivamente nel centro di Milano. Facciamoli ubriacare sì, ma non di queste porcherie. Facciamo conoscere loro l’ebbrezza di una vita piena. Troppo facile lamentarsi perché cercano ebbrezza in ritrovi selvatici e in bottiglie quasi sempre da pochi euro, e poi presentare a loro noi adulti vite spettrali, entusiaste di niente, o piagate da interessi e meschinerie. I nostri ragazzi bevono. Troppo. E anche male. Molti genitori lo scoprono tardi, troppo. Si ubriacano di alcol invece che di vita e di impegno. E se in pochi giorni in quattro casi si arriva quasi alla tragedia del coma etilico, o del malore grave, significa che il fenomeno non è più una questione di gestione un po’ disordinata del tempo libero. Ma è il segno che siamo in una dittatura. Su questo genere di cose non serve a niente dire: ragazzi, attenti vi fate male. Il fatto è un altro. È che nella vita occorre qualcosa che dia una specie di ebbrezza, che dia il gusto profondo dell’esser vivi. Insomma, occorre, specie da giovani, trovare qualcosa che sveli la potenza, la forza, l’entusiasmo di esser vivi. L’uomo è così. È sempre stato così. Lo sa chiunque abbia minima conoscenza della storia e di sé. L’ubriachezza che degenera è il fenomeno triste di una mancanza di gusto. Di entusiasmo per la vita reale. È una copia orrenda di qualcosa che la vita cerca, specie da giovani: l’entusiasmo. È una scimmia, una copia, un idolo muto e cieco, e pure con il mal di testa. Si dice: si beve per dimenticare. Ma cosa deve dimenticare uno a quindici anni ? Non il passato, ma quel che è peggio: deve dimenticare il presente. La mancanza di gusto che annoia il presente. Una generazione che non ha trovato motivi di gusto nel reale ha tirato su figli ubriachi. Una generazione che ha teorizzato che la realtà è una specie di gabbia, una terra senza possibilità di soddisfazione al desiderio di verità e di letizia, una generazione che ha portato a estremo sviluppo teorico e pratico l’idea per cui la vita è una specie di condanna dove provare a cavarsela, ecco, questa generazione assiste sgomenta e impotente all’autodistruzione così banale, senza nessuna gloria, dei propri figli. Avendo eliminato dalla educazione dei giovani tutto ciò che dà gusto profondo e entusiasmo all’esistenza (Dio, l’arte, il cuore dei desideri investiti nella realtà), ci si stupisce poi di ritrovarli con la bottiglia in mano. Forse dei giovani tirati su a educazione civica, a tv banale, a regolette per non disturbare e obbedienza alle leggi dello Stato, può generare qualcosa di diverso che questa fuga in un fondo di bottiglia ? Lo sanno bene coloro che hanno sperimentato la vita sotto i regimi totalitari. I giovani si ubriacavano. In tutti i modi. Significa che c’è qualcosa di totalitario anche qui. Qualcosa che non ha divise o carri armati per la strada. Ma una più pervasiva e sistematica forza. Ora di fronte al viso gonfio di questi ragazzi, alla loro terribile incoscienza e alla loro ancor più terribile coscientissima ricerca dell’ebbrezza da alcool, non ce la si può cavare con qualche considerazione sulla gioventù. No, va visto cosa c’è di totalitario che domina sulla loro vita. Sulla vita della maggioranza tra loro. E che abbiamo istituito noi adulti. Che abbiamo edificato e perfezionato noi adulti. Con mille leggi scritte e non scritte. Occorre che questa società di adulti che hanno eliminato Dio, l’arte e il cuore dei desideri dalla vita comune si guardi in faccia. E guardi le tristi feste dei propri figli come a un giudizio tremendo. Ci state tirando su in una dittatura, ci dicono. E bevono.
"Avvenire" del 13 agosto 2009
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